Amundi. Era già l’ora che volge il disio. Commento di Giordano Beani

DISRUPTIONCanto VIII del Purgatorio, Dante in sole due terzine dipinge la descrizione più poetica e sublime del tramonto che la letteratura mondiale abbia mai prodotto ad oggi. Il tramonto che intenerisce il cuore dei naviganti che hanno detto addio agli amici più cari, il tramonto che punge d’amore il pellegrino che sente una campana da lontano, la quale sembra piangere il giorno che finisce. Ci sembra questo il modo migliore per cominciare il racconto della settimana che ha visto di fatto l’addio di Mario Draghi alla Presidenza della BCE. E si badi bene, lungi da noi l’intenzione di dare una connotazione di qualsiasi sorta al tramonto dell’era Draghi alla guida dell’istituto centrale dell’Area Euro. Non ci interessa il merito, ma il metodo. E al di là di ogni giudizio che esperti di politica monetaria, di economia, e di politica attribuiscono e attribuiranno all’operato di Draghi, non possiamo non sentire la nostalgia dei naviganti e del pellegrino per ’approssimarsi della fine di un mandato condotto con umiltà, rigore ed abnegazione. Molti sono oggettivamente gli aspetti controversi della politica dei tassi negativi, ma cosa ne sarebbe dell’economia dell’Area Euro e degli anelli più deboli della catena dell’Unione Monetaria se qualcuno non avesse pronunciato la storica frase del luglio 2012, nota ormai anche ai non anglofili, “the ECB si ready to do whatever it takes…”, cioè la BCE è pronta a fare qualsiasi cosa necessaria per preservare l’Euro?

Certo, lo ha sempre sottolineato il Presidente, e lo ha ribadito con forza lo scorso settembre, la sola politica monetaria è condizione necessaria, ma non sufficiente per raggiungere l’obiettivo. La politica fiscale, indirizzata dai singoli Governi dell’Unione in assenza sinora di una politica fiscale unitaria europea, deve fare la sua parte. Ed è questa l’eredità che ci auspichiamo possano cogliere gli Esecutivi affinché il tramonto dell’era Draghi si trasformi nella nuova alba dell’idea di Europa. Nella settimana dell’addio di Draghi i mercati finanziari hanno continuato a scrollarsi di dosso i dati macroeconomici che dipingono tuttora un’economia globale in evidente affanno, con gli indici PMI della Germania ormai in territorio di recessione conclamata, allungando ancora una volta lo sguardo oltre l’orizzonte, fiduciosi che il peggio sia alle spalle. Questa sensazione è fondata proprio sull’atteggiamento estremamente accomodante delle principali Banche Centrali mondiali, sulle aspettative di un imminente primo accordo concreto tra Stati Uniti e Cina e sulla risoluzione non traumatica della Brexit che continua ad avere evoluzioni imprevedibili quanto alla sua realizzazione finale, ma con l’ormai pressoché certezza di evitare l’uscita senza paracadute (hard Brexit). I mercati azionari internazionali hanno chiuso, infatti, un’altra settimana in rialzo con l’indice statunitense S&P 500 che si avvicina di nuovo ai massimi assoluti, chiudendo in rialzo del 1,22 a 3022 55 punti. Bene anche l’Area Euro il cui Indice Eurostoxx 50 tocca i massimi dell’anno a 3624 7 punti (1,26%). La stagione delle pubblicazioni trimestrali societarie continua ad essere mediamente migliore delle aspettative, ma caratterizzata da una forte dispersione, come mostrano la caduta di oltre il 20 di Nokia e Twitter ed i rialzi invece di Tesla 20 PayPal 8 ed Intel 8 solo per citare alcuni esempi. Avanzano anche il Giappone con un 1 36 del Nikkei 225 ed i mercati emergenti con un 1 15 dell’indice MSCI Emerging. Sui mercati obbligazionari settimana tranquilla con rendimenti pressoché invariati in Area Euro ed in lieve rialzo negli Stati Uniti, dove il Treasury decennale si riporta vicino al livello di rendimento di 1,80% (+4 punti base). Quanto alle commodity in rialzo il Brent a 62 dollari al barile 4 38 e l’oro si riporta sopra quota 1 500 con un rialzo dello 0,98%. Infine, sulle valute internazionali da segnalare l’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro con il cambio che si riporta lievemente sotto quota 1 11 e la stabilità della sterlina nonostante le incertezze sul futuro cammino della Brexit. In conclusione, la nuova era Lagarde alla guida della BCE si apre con economie ancora asfittiche ed in decelerazione, ma con la speranza dei mercati finanziari che il peggio sia dietro di noi Il nostro auspicio è che “l’ora che volge il disio” a Mario Draghi sia un arrivederci e non un addio.

Azioni

La settimana è stata positiva per i mercati azionari di tutto il mondo. Le azioni globali hanno registrato dei progressi per la terza settimana consecutiva. Quest’ottimismo è stato messo alla prova dall’avviso sugli utili di Amazon; la società ha registrato il primo calo di utili in oltre due anni. I mercati azionari europei sono rimasti positivi anche quando si è tenuta l’ultima riunione della BCE sotto la guida di Mario Draghi, che ha deciso di lasciare i tassi invariati. La crescita degli utili sta rallentando. Vista la fase di correzione ciclica è meglio mantenere un atteggiamento difensivo sul breve termine, ma dobbiamo tenerci pronti in caso di una rapida inversione. Continuiamo a credere che i titoli Growth siano più a rischio dei titoli Value. Probabilmente questi ultimi torneranno a essere protagonisti solo se ci sarà un aumento dei rendimenti obbligazionari. In questa fase, i titoli Value “difensivi” sembrano rappresentare la scelta migliore.

Obbligazioni governative

I rendimenti nominali si sono stabilizzati a dei livelli che scontano una riduzione dei rischi politici sul fronte del conflitto commerciale USA-Cina (in ottobre non ci sono stati nuovi dazi americani sulle merci cinesi) e della Brexit (il rischio di una Brexit senza accordo è ormai molto basso). Così come si attendeva il mercato, durante la riunione della BCE non ci sono stati eventi particolari. Dopo essersi ripresi, i rendimenti nominali si sono stabilizzati a livelli che scontano una riduzione dei rischi politici legati al conflitto commerciale sino-americano e alla Brexit. I dati preliminari PMI di ottobre mostrano alcuni segnali di stabilizzazione, con l’indice composito della zona Euro che è rimasto invariato rispetto al mese scorso. Nel contesto attuale, privilegiamo ancora le obbligazioni societarie denominate in euro alla luce dei fattori tecnici molto più solidi.

Obbligazioni corporate

Dopo il restringimento delle settimane precedenti, gli spread del credito sono rimasti relativamente stabili nel corso della settimana sia per quanto riguarda il mercato speculativo, sia quello investment grade. I mercati del credito sembrano adottare un atteggiamento attendista in vista dell’esito degli sviluppi politici dopo le recenti notizie incoraggianti sul fronte della Brexit e su quello commerciale. La politica continua a essere al centro dell’attenzione perché i dati macroeconomici sembrano avere meno peso in questa fase. Secondo gli ultimissimi dati, gli indici PMI europei mostrano una stabilizzazione generale, mentre in termini di politica monetaria i riflettori sono puntati sul prossimo FOMC perché il mercato continua a fissare i prezzi scontando l’altissima probabilità di un taglio dei tassi. Nel contesto attuale, privilegiamo ancora le obbligazioni societarie denominate in euro grazie a alla maggior solidità dei loro fattori tecnici.

Tassi di cambio

Tra le valute dei Paesi del G10, il dollaro americano si è rafforzato dello 0,40% su tutte le valute ad eccezione del dollaro canadese e della corona norvegese. Nell’area dei Mercati emergenti, il cambio effettivo del dollaro ha perso terreno principalmente nei confronti della lira turca e della corona ceca, mentre si è rafforzato sul peso argentino e sul peso cileno. Dopo aver perso più del 2% nelle prime 3 settimane di ottobre, il dollaro USA si è ripreso, mentre il rischio rispetto al sentiment del mercato si è leggermente ridimensionato. C’è stata una sorpresa positiva riguardo ai dati preliminari dell’indice PMI a ottobre, con il settore manifatturiero negli Stati Uniti che ha contribuito a sostenere il biglietto verde. La riunione della BCE non è stata caratterizzata da eventi particolari e, di conseguenza, la coppia EUR/USD è rimasta sostanzialmente invariata.

Materie prime

Questa settimana i mercati delle materie prime sono rimasti sostanzialmente invariati. Il prezzo del petrolio è aumentato, con WTI e Brent che sono stati quotati rispettivamente 56 e 62 dollari, mentre le scorte di greggio sono inaspettatamente diminuite negli Stati Uniti.  L’oro è stato scambiato attorno ai 1.500 dollari l’oncia anche questa settimana e non ha reagito in modo particolare alla riunione della BCE. I metalli di base hanno guadagnato l’1%. Le preoccupazioni per l’interruzione degli approvvigionamenti e la debole domanda mondiale determineranno le quotazioni del petrolio nelle prossime settimane, mentre la debolezza del quadro economico globale rimarrà cruciale per il futuro delle materie prime cicliche. Il nostro target rimane per il momento entro un range di 55-65 dollari per il WTI e di 60-70 dollari per il Brent. Il quadro generale è favorevole ai metalli di base in quanto si prevede un accordo al conflitto commerciale tra USA e Cina.

Stati Uniti

I dati preliminari sull’indice Markit PMI a ottobre mostrano che l’indice dei servizi è salito dal 50,9 di settembre a 51, in linea con le aspettative.  L’indice manifatturiero è passato da 51,1 a 51,5, un dato superiore alle aspettative. L’indice PMI composito ha registrato un leggero rialzo da 51 a 51,2. Le principali sottocomponenti dell’indice dei servizi e dell’indice manifatturiero stanno seguendo due trend diversi; segnali preoccupanti giungono dal fronte dell’occupazione nei servizi, che ha registrato una flessione per due mesi consecutivi, mentre la stessa sottocomponente è migliorata nel settore manifatturiero. Il nuovo rilevamento sulla fiducia delle imprese evidenzia un  peggioramento per il settore dei servizi, mentre c’è stato un miglioramento dei nuovi ordinativi nel settore manifatturiero.

Zona Euro

Stabilizzazione della fiducia delle imprese. La stima flash dell’indice PMI composito della zona Euro è rimasta quasi stabile a ottobre (50,2 rispetto al 50,3 atteso e al 50,1 di settembre. La componente manifatturiera è rimasta invariata a 45,7, mentre quella dei servizi è leggermente migliorata a 51,8.  In Germania l’indice IFO è rimasto stabile a quota 94,6.  La componente “Condizioni attuali” è peggiorata, mentre la componente “Aspettative” è migliorata. Il quadro economico generale della zona Euro rimane quello di un rallentamento congiunturale dovuto principalmente alle difficoltà nel settore manifatturiero con qualche segnale di contagio ai servizi. Riteniamo che la debolezza del settore manifatturiero proseguirà ancora per qualche mese prima di vedere dei miglioramenti nel 2020.  Tuttavia, questi miglioramenti avverranno solamente se ci sarà un ridimensionamento dei principali rischi politici (Brexit e protezionismo USA).

Mercati Emergenti

Settimana scorsa, così come previsto dal mercato, la banca centrale indonesiana (BI) ha tagliato il reverse rapo rate di 25 pb portandolo al 5%. Una valutazione costruttiva del rischio, insieme ad alcuni miglioramenti fondamentali esterni e alla stabilità valutaria, hanno convinto la BI a portare avanti la sua politica di allentamento monetario. Nel corso degli anni, la BI ha tenuto particolarmente conto delle dinamiche della valuta e della bilancia dei pagamenti nel determinare il suo orientamento di politica monetaria.  I dati sulla bilancia commerciale fanno prevedere una riduzione del deficit delle partite correnti in questo terzo trimestre grazie a importazioni ancora deboli rispetto alle esportazioni. La rupia indonesiana si è rafforzata.

Giappone

Le esportazioni hanno continuato a diminuire a settembre rispetto all’anno scorso; si tratta del decimo calo mensile consecutivo.  Il crollo delle vendite mondiali dei veicoli ha pesato sulle spedizioni di automobili e parti di ricambio, di motori e batterie. Nel frattempo, la scarsa domanda di semiconduttori ha indebolito  l’appetito per le apparecchiature per la produzione di semiconduttori. Anche le importazioni hanno registrato su base annua la quinta flessione mensile consecutiva, un dato che riflette la stagnazione dell’economia interna. Non è la Cina, bensì gli Stati Uniti, a soffocare le aziende esportatrici giapponesi. Le esportazioni verso gli Stati Uniti sono fortemente diminuite su base annua, mentre le esportazioni verso la Cina registrano il calo più contenuto degli ultimi cinque mesi. Le spedizioni di semiconduttori verso la Cina si sono stabilizzate. Nel frattempo, le esportazioni verso l’UE continuano a dar prova di buona tenuta, nonostante il marcato deprezzamento della coppia EUR/JPY, grazie al graduale miglioramento delle esportazioni di automobili riconducibile al venir meno dell’impatto delle procedure più rigorose per i test sulle emissioni delle automobili.

Giordano Beani, head of Multi-Asset Fund Solutions Italy di Amundi SGR

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