Selectra. Il Bitcoin consuma energia elettrica quanto metà dell’Irlanda

id693743_1Milano 15 gennaio – Il Bitcoin e le altre criptovalute potrebbero rappresentare un’incertezza non solo per la finanza globale, ma anche per l’ambiente. Questo aspetto solo apparentemente secondario delle nuove monete elettroniche basate su tecnologie blockchain potrebbe diventare sempre più rilevante nel prossimo futuro e senz’altro ha giù un peso nella reale catena di valore di questi discussi asset. All’attenzione degli analisti in questo caso non è finita la volatilità di questo asset o la natura di coloro che gli acquistano, ma il consumo di energia che l’impiego di questo criptovaluta impone. A fare i calcoli ci ha pensato da ultima Selectra, la società di gestione dei fondi di investimento di Farad, gruppo lussemburghese specializzato nei servizi B2B del settore assicurativo e finanziario che fa riferimento a Marco Caldana. Secondo Selectra, “l’utilizzo dei bitcoin in tutto il mondo richiede ogni secondo una potenza elettrica di quasi 1,5 miliardi di Watt, ed un dispendio annuale di ben 13 TWh, corrispondenti alla metà della quantità di energia utilizzata dall’Irlanda”. Per avere un’idea dei valori in gioco basti pensare che si tratta dei consumi annuali di Calabria, Umbria, Basilicata e Molise messe insieme. Ogni singola transazione in bitcoin corrisponde a un consumo di 100 kWh, pari a quasi 2 settimane di consumi elettrici della famiglia-tipo italiana.

La stima di Selectra parte dal concetto di hash rate, un’unità di misura necessaria per capire la potenza di elaborazione della rete bitcoin. L’hash è un algoritmo che viene impiegato nella rete bitcoin (in pratica una funzione che trasforma una stringa di lunghezza variabile in una stringa di dimensioni fisse) per i sistemi di crittografia. La rete del bitcoin ormai opera con una potenza di stimata nei calcoli di Selectra in 15.000.000.000.000.000.000 hash al secondo (15 EHash/s per abbreviare) una quantità immensa di calcoli che servono a garantire la sicurezza, ma che richiedono energia alle macchine che le eseguono.
Qui entrano in gioco altri presupposti: le macchine più moderne ed efficienti sul mercato sono attualmente gli Antminer S9 che sono impiegati, fra l’altro proprio per il mining delle criptovalute. Per tali calcoli ne servirebbero più di un milione. Se si sommano i consumi di queste macchine si ottiene dunque che la rete del bitcoin da sola copre la metà del consumo elettrico annuale dell’Irlanda.

Non si tratta di valutazioni del tutto nuove. Già di recente Alex de Vries, esperto di blockchain e Bitcoin impiegato da PwC, ha elaborato un indice dei consumi elettrici reali della rete del Bitcoin che giunge addirittura a stimare in oltre 40,23 TWh l’anno il consumo alla data dell’11 gennaio 2018 partendo sempre dal presupposto dell’impiego di Antminer che consumano 1.400 watt l’ora. Nell’interno della Mongolia, che ospita alcuni dei “miner” più importanti di Bitcoin, è nota la presenza di 8 edifici che consumano insieme 40 MW l’ora per un’emissione tra le 24 e le 40 tonnellate di anidride carbonica ogni sessanta minuti, ossia (calcola ancora de Vries) un impatto paragonabile a quello di Boeing 747-400 e calcolabile in 2-3 chilogrammi di CO2 per transazione.

Altri calcoli simili, già agli albori del bitcoin, erano stati effettuati dagli studiosi Karl J. O’Dwyer e David Malone dell’Hamilton Institute (Maynooth National University of Ireland). Di certo per quanto virtuale sia il bitcoin (e calcoli affini sono effettuabili ed effettuati anche per le altre criptovalute) questi impatti sono senz’altro tangibili e gettano un’ombra sulla sostenibilità di questo intero sistema monetario alternativo.

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