Il Toro carica le Borse, ma adesso c’è il rischio di un crollo

La Borsa di Wall Street a New York, simbolo dei mercati finanziari. Dagli Stati Uniti nel 2008 è partita la crisi finanziaria che ha poi contagiato tutto il mondo.

La Borsa di Wall Street a New York, simbolo dei mercati finanziari. Dagli Stati Uniti nel 2008 è partita la crisi finanziaria che ha poi contagiato tutto il mondo.

Il rally dei mercati azionari – dal Brasile dove l’indice Bovespa guadagna il 7,2% questo mese fine al Giappone e agli Stati Uniti, dove l’indice di riferimento S&P 500, dopo 57 anni di storia, ha chiuso ieri per la prima volta sopra i 2mila punti – ha fatto salire il valore delle Borse globali al record di 66mila miliardi di dollari. Dallo scorso agosto, l’azionario mondiale ha guadagnato 2.200 miliardi: l’ottimismo sul fatto che le banche centrali continueranno a sostenere la crescita economica ha fatto salire del 3,8% l’indice Msci All-Country World, che si è risollevato dai minimi toccati il mese scorso.

“Il governatore della Bce Mario Draghi ha dato chiare indicazioni su possibili ulteriori misure per stimolare la crescita e questo aiuta la fiducia complessiva. Gli eventi geopolitici sono gravi, ma non abbastanza per fermare le forze economiche in gioco, soprattutto in America”, ha detto Patrick Spencer, a capo della divisione azionaria di Robert W. Baird & Co. Il picco precedente dell’azionario globale era stato toccato a 63.000 miliardi nel 2007, mentre a marzo 2009 era sceso a 25.000 miliardi. Davanti all’euforia delle Borse non manca chi comincia a temere che siamo in presenza di una Bolla speculativa, che, prima o poi, potrebbe deflagrare con un effetto – domino sulle economie, com’è avvenuto recentemente con la crisi seguita alla fine della speculazione immobiliare e ai famigerati mutui sub-prime, che hanno fatto da innesco alla crisi economica e alla successiva crisi fiduciaria nelle istituzioni finanziarie e in particolare nelle banche alle prese con i titoli “tossici”.  Adesso, tre premi Nobel per l’economia mettono in guardia dagli eccessi registrati in queste settimane sui mercati azionari. Come si legge sul quotidiano tedesco “Die Welt”, tre premi Nobel per l’economia sono d’accordo nel considerare eccessivi i livelli raggiunti dai listini azionari in tutto il mondo, a cominciare da Wall Street, in quanto il rally degli ultimi mesi si basa in buona parte non su solidi tassi di crescita economica o su una maggiore redditività delle aziende ma è piuttosto conseguenza del denaro “facile” distribuito dalle Banche centrali che, in mancanza di alternative, si ammassa sui mercati azionari. “E’ possibile un crollo del 20%”, dice Lars-Peter Hansen, professore all’Università di Chicago e vincitore del premio Nobel nel 2013 per le sue ricerche su rischi e incertezze dei mercati, mostrandosi stupefatto della mancanza di cautela degli investitori a fronte di rischi crescenti: “Sono sorpreso dalla bassa volatilità dei mercati”, spiega. Martedì ricorda “Die Welt” l’indice S&P 500 di Wall Street ha chiuso per la prima volta nei suoi 57 anni di storia sopra la soglia dei 2mila punti con un rialzo da gennaio dell’8,2% e del 20% su base annua. Le 500 imprese americane inserite nell’indice hanno un valore di 18.500 miliardi di dollari, pari al 115% del Pil Usa.

Robert Shiller, economista americano, premio Nobel per l'economia, ritiene possibile un crollo del 20% dei mercati azionari.

Robert Shiller, economista americano, premio Nobel per l’economia, ritiene possibile un crollo del 20% dei mercati azionari.

Anche il rapporto Pe (price-earnings) delle “big” statunitensi mostra degli squilibri con un 18,6 ben superiore alla media di lungo periodo. Al dibattito partecipa anche Robert Shiller, professore a Yale e premio Nobel con Hansen nel 2013: l’indice Shiller-Pe (price-earnings, ovvero prezzi delle azioni – utili delle società quotate), creato dallo stesso economista, è salito oltre quota 26, in area pericolo, come ha fatto solo tre volte in passato, e cioè nel 1929, al momento del boom Internet in Borsa e durante la bolla immobiliare tra il 2004 e il 2007. Un altro segnale di eccessi è la disponibilità ad aprire posizioni speculative a debito: il cosiddetto “margin debt” ha raggiunto quota 460 miliardi di dollari a Wall Street in luglio, il doppio del 2010 e soltanto 6 miliardi sotto i massimi della primavera. “Il mondo a tassi zero – commenta William Sharpe, professore emerito alla Stanford University e premio Nobel nel 1990 – ha cambiato completamente l’architettura dei mercati finanziari”.

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