I cambiamenti possibili del Paese nell’analisi dell’economista Alberto Quadrio Curzio

Alberto Quadrio Curzio è Professore Emerito di Economia politica all'Università Cattolica, dov’è stato ordinario dello stesso insegnamento dal 1976 al 2010. E' Vice-Presidente e Presidente della Classe di Scienze Morali della Accademia Nazionale dei Lincei.

Alberto Quadrio Curzio è Professore Emerito di Economia politica all’Università Cattolica, dov’è stato ordinario dello stesso insegnamento dal 1976 al 2010. E’ Vice-Presidente e Presidente della Classe di Scienze Morali della Accademia Nazionale dei Lincei.

Accelerare sul federalismo fiscale avvicinando centri di spesa e di entrata. Bene il Governo Letta sugli incentivi all’occupazione giovanile. La BCE ha fallito: la stretta creditizia frena la domanda aggregata. Risolvere il dualismo Nord-Sud.  

Espressioni come “abbiamo superato il punto di minimo” e “la crisi è finita” si ripetono più o meno ogni semestre, a partire da quel settembre 2008 in cui fu Trichet a dichiarare “abbiamo toccato il fondo”. La recessione è finita? O ci sono rischi al ribasso a causa dell’instabilità politica?

“La crisi non è finita. Tuttavia in Italia ed Europa si va  meno peggio solo perché la decrescita del 2013 sarà minore di quella del 2012. Nel 2014 dovremmo avere crescita ma solo con politiche adeguate per rafforzarla. Prescindendo da quello che dovrebbe fare l’Europa guardiamo all’Italia. Tre sono i grandi temi di politica economica. Il primo è quello delle riforme strutturali con una seria spending review unita alla riforma fiscale  per rilanciare gli investimenti e la domanda interna. Il secondo è quello degli investimenti esteri in Italia. Se non si fanno le riforme dette caleranno ancora pur a fronte di enormi flussi finanziari mondiali (compresi i fondi sovrani) in cerca di destinazione. Il terzo è quello del dualismo Nord-Sud. Adesso si è innestata la marcia indietro sul federalismo. Non crediamo sia la scelta corretta. Bisogna arrivare al federalismo fiscale solidale ed efficiente avvicinando sempre più i centri di spesa e quelli di entrata. ALBERTO QUADRIO CURZIO

La Spagna ha effettuato nei giorni scorsi il sorpasso sull’Italia nella corsa dello spread tra Bonos e BTP, poi l’Italia è tornata  a distanziare nuovamente il Paese iberico. E’ il riflesso delle preoccupazioni,anche politiche, degli investitori verso l’Italia?

“Certamente. La Spagna ha un primo vantaggio sull’Italia: la stabilità politica. Su questa si sono progettate e attuate riforme sia con tagli di spesa, sia con certezza di regole che attraggono investimenti. La manifattura italiana è molto più forte della spagnola ma nelle istituzioni vale il contrario. Ed ancora le Banche italiane erano più forti di quelle spagnole ma Madrid agli inizi del 2012 ha chiesto ed avuto dal fondo salva Stati europeo un prestito di 100 miliardi di cui 40 erogati così ristrutturando le banche stesse. In Italia il Governo Letta opera bene date le condizioni di incerta sopravvivenza. Se avesse un orizzonte certo di legislatura o almeno fino alla fine del 2014 per la conclusione del semestre europeo a presidenza italiana riuscirebbe ad agganciare solidamente la ripresa. Comunque in questo momento c’è una ripresa di interesse da parte degli investitori internazionali per tutti i titoli europei. L’Italia deve essere in grado di approfittare di questo rinnovato interesse.

La disoccupazione ha raggiunto percentuali intollerabili: 12,0% a luglio; 39,5% il tasso di disoccupazione fra i giovani. In Europa fan peggio Spagna e Grecia. Come valuta gli interventi varati dal Governo Letta per stimolare gli investimenti, alleggerire il peso della burocrazia e creare lavoro? Ritiene che bastino?

Guardando all’Italia credo che tre siano le possibili strategie per ridurre la disoccupazione. Innanzitutto correlare meglio retribuzioni e produttività andando verso la contrattazione aziendale dentro cornici di contrattazione settoriale e nazionale. In secondo luogo correlare formazione e lavoro come avviene in Germania con il sistema duale. Infine agire sul fronte fiscale, sia con la decontribuzione dei salari di produttività, sia con la riduzione del cuneo fiscale e contributivo. Il problema è sempre quello delle risorse per politiche fiscali rivolte all’occupazione. Sotto questo profilo è solo il taglio della spesa pubblica improduttiva e il recupero dell’evasione che ci consentirà di operare con forza. Il governo Letta e il ministro Giovannini si sono però mossi molto bene con gli incentivi alla assunzione dei giovani e i primi risultati già si vedono. Bisogna anche notare che è merito loro se il vertice europeo di giugno ha messo al centro il tema della lotta alla disoccupazione giovanile.

Come fare a recuperare risorse per tutte queste iniziative? E per rilanciare in ultima analisi la crescita?

Per rilanciare la crescita risulta essenziale alleggerire il carico fiscale sui redditi da lavoro e sulle imprese. Sono solo due le strade per riuscirci. Da un lato fare in modo che tutti paghino le tasse dunque essenzialmente contrastare l’evasione e il nero. Dall’altro tagliare la spesa in modo strutturale andando cioè a incidere anche sui processi e sui nodi decisionali delle amministrazioni pubbliche. Ovvero spendere meno per potere tassare meno cittadini e imprese. Per riuscirci non si deve tagliare in percentuale la spesa di ogni singolo ministero. E’ necessario imparare a distinguere tra spesa buona e cattiva e concentrare i tagli solo sulla seconda. Per fare un esempio, non è ipotizzabile tagliare indiscriminatamente gli investimenti in ricerca, nell’istruzione e nelle infrastrutture. Un paese che taglia in quei settori, compromette la sua capacità di crescita nel lungo termine.

L’Italia ha versato 10 miliardi per prestiti bilaterali (Grecia), 32 miliardi all’EFSF e 8,6 miliardi all’ESM. Contribuzioni che pesano sul debito ormai a 2.075 miliardi e che assieme al pagamento dei debiti verso le imprese rendono più arduo il raggiungimento del pareggio di bilancio, prescritto dalla Costituzione dal 2014 e dal Fiscal Compact? Le condizioni dell’Italia sono arcinote. E’ possibile che l’Italia debba aiutare gli altri, aggravando la propria posizione?

Innanzitutto va precisato che i prestiti bilaterali, i contributi ai fondi salva stati e il pagamento dei debiti della PA incidono principalmente sul debito, mentre sul deficit solo in piccolissima misura. Dunque è utile sottolineare che non sono quegli interventi che rendono il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale più difficile. Il raggiungimento di quegli obiettivi è complicato in sé, ma non per la contribuzione ai fondi salva stati. Inoltre il pagamento dei debiti della PA è un atto dovuto verso il mondo delle imprese che avrà effetti benefici in termini di crescita. Il fatto di non avere chiesto gli aiuti del fondo salva stati come invece ha fatto la Spagna rappresenta oggi uno svantaggio competitivo per l’Italia. D’altra parte nel momento in cui non si sono chiesti gli aiuti, erogare il proprio contributo ai fondi salva stati diventa inevitabile.

Perdura la stretta creditizia. Le misure ordinarie e straordinarie adottate dalla BCE saranno pure servite a migliorare il clima di fiducia dei mercati finanziari, a ridurre la frammentazione e la leva finanziaria, ma le banche restano caute negli affidamenti e applicano tassi sui prestiti elevati. Se non aumenta la domanda aggregata, come si può tornare a crescere?

La domanda aggregata aumenta solo se la stretta creditizia si allenta su famiglie e imprese. Le misure ordinarie e straordinarie della BCE sono sì servite a ripristinare un clima di maggiore fiducia nella tenuta dell’area euro e hanno dunque decisivamente contribuito a contenere il rischio di crollo dell’euro. Tuttavia la trasmissione della politica monetaria dalla banca centrale alla periferia non ha funzionato in modo proprio. Ci sono paesi in cui gli impulsi espansivi della politica monetaria della BCE non sono arrivati o sono arrivati troppo flebilmente. Si tratta di quei paesi, tra cui il nostro, in cui il più alto spread a livello di titoli sovrani, si traduce in un più alto costo del denaro per imprese e famiglie. E questo non aiuta certo la ripresa della domanda aggregata.

Le banche si difendono ricordando il peso delle sofferenze (+ 22,2%) a giugno con ben 70,6 miliardi netti. Tra un mese l’Eba, l’autorità bancaria europea farà chiarezza su crediti deteriorati e sofferenze. Il che potrebbe far lievitare i dati sui crediti incagliati. Le banche italiane hanno bisogno di ricapitalizzarsi? E’ configurabile un intervento dello Stato?

Concordo sul fatto che le banche italiane abbiano bisogno di ricapitalizzarsi. Un modo per farlo è rivalutare le quote che queste detengono nel capitale della Banca d’Italia. Cosa che tra l’altro sanerebbe il problema che il controllato detiene la proprietà del controllore. In un articolo di Fulvio Coltorti e mio avanziamo un’ipotesi su come ciò si possa realizzare. La Banca d’Italia stessa ha adesso nominato una commissione per valutare tali quote. Quale che sia la soluzione si configura un modo significativo per ricapitalizzare le banche italiane con effetti positivi sul credito.

 

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