Turchia. Ankara uscirà dalla crisi con tagli alle spese e rigore fiscale

La Borsa di Istambul

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Milano, 16 agosto – La Turchia sceglie la strada del rigore per cercare di uscire dall’attuale crisi finanziaria che ha visto la lira precipitare la scorsa settimana fino a toccare un massimo storico di 7,23 lire per un dollaro. Oggi la moneta ha invece proseguito per il terzo giorno consecutivo il suo tentativo di recupero guadagnando il 4% e chiudendo a 5,72 lire per un dollaro. La risalita della divisa turca è iniziata tre giorni fa quando la banca centrale ha annunciato che fornirà alla banche tutta la liquidità di cui hanno bisogno per superare la crisi mentre ieri il governo di Erdogan ha incassato la promessa da parte del Qatar di investimenti nel paese della mezzaluna per 15 miliardi di dollari. Oggi l’offensiva diplomatica ha conosciuto un altro momento cruciale con una teleconferenza fra il ministro delle finanze Berat Albayrak e ben 6mila investitori stranieri a cui è stato recapitato il messaggio che la Turchia uscirà più forte di prima dalla crisi attuale e che non ha alcun bisogno di un aiuto da parte dell’Fmi, aiuto che è sempre accompagnato da una programma di riforme e numerose condizioni da rispettare. Nella teleconferenza, il ministro ha spiegato che il paese intende fare ampio uso di misure fiscali per rallentare l’economia, ridurre il pesante deficit delle partite correnti e mettere un freno all’inflazione che corre al 16% annuo. Albayrak ha aggiunto che il governo chiederà ai ministeri tagli delle spese compresi fra il 10 e il 30 per cento e che l’obiettivo è di arrivare ad avere un surplus primario di 6 miliardi di lire turche per il resto dell’anno. La Turchia, ha aggiunto il ministro, sta progettando di inserire nella costituzione il principio della disciplina di bilancio. Sullo sfondo rimangono tuttavia le tensioni con gli Stati Uniti che poco fa hanno annunciato di voler imporre nuove sanzioni se non verrà rilasciato il pastore Andrew Brunson, arrestato due anni fa a Izmir e da allora trattenuto in carcere perché accusato di complicità nel fallito colpo di stato del 2016, di sedizione e legami con il leader religioso Fetullah Gulen che vive in esilio proprio negli Stati Uniti.

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