Nordea AM. Una luce sul Black Monday: tre lezioni

La Borsa di Wall Street a New York

La Borsa di Wall Street a New York

Lo scorso lunedì gli investitori hanno avuto un brusco risveglio: il mercato azionario americano è sceso notevolmente, richiamando alla memoria il famigerato Black Monday del 1987. Nella seduta del 5 febbraio sono stati azzerati tutti i rialzi segnati da inizio anno. La volatilità implicita, considerata il “termometro della paura” dei mercati, ha segnato il maggiore aumento giornaliero mai registrato. Solo pochi giorni fa il sentiment degli investitori era vicino all’euforia e ora si è capovolto nell’arco di poche sessioni di trading. Possiamo individuare tre ragioni alla base di questo improvviso cambiamento d’umore. La dura realtà: dopo anni di bassa inflazione, di recente ci sono stati segnali di una sua ripresa. Negli Stati Uniti, dalla grande recessione ad oggi i redditi su base oraria non erano mai stati così alti e i costi unitari del lavoro sono aumentati in un contesto di produttività debole. Detto in breve, le paure inflattive sono tornate. Perché questa è la dura realtà? Perché i salari sono un elemento chiave del ciclo dei profitti aziendali e, quindi, dell’economia reale in genere. Costi dei salari più elevati possono spazzare via i margini societari e costringere la banca centrale ad essere (più) aggressiva in termini di politica monetaria. Questo di solito segna l’inizio della fine del ciclo americano e, pertanto, del mercato azionario rialzista.

La soglia del dolore: l’inflazione sembra aver rallentato se non concluso la sua corsa al ribasso e le banche centrali stanno mettendo in atto politiche più severe. In questo contesto, nel 2018 i tassi d’interesse si sono mossi al rialzo rapidamente, sfondando gli ultimi intervalli di scambio. Dopo Lehman, i bassi tassi d’interesse sono stati la forza propulsiva del mercato azionario rialzista. Naturalmente, i tassi in crescita rappresentano un rischio notevole per i mercati. La domanda a cui nessuno è ancora in grado di rispondere è: a quale livello dei tassi il mercato azionario sarà danneggiato sul serio? Quello che invece sappiamo è che, negli episodi verificatisi in precedenza, una divergenza rispetto al trend affermatosi circa i tassi d’interesse spesso è stata sinonimo di problemi per il mercato azionario. Quest’ultimo stava mostrando debolezza già prima del crollo improvviso di lunedì quindi la soglia del dolore potrebbe essere inferiore a quello che molti investitori pensano.

Sappiamo di non sapere: anche fattori specifici del mercato stanno svolgendo la loro parte. Vale la pena notare il ruolo delle strategie short-volatility, studiate per generare profitti in uno scenario di bassa volatilità. Queste strategie hanno una storia piuttosto recente (ultimi 3/4 anni), il che rende difficile trarre lezioni dal passato riguardo ai loro possibili effetti sul mercato. Per certi versi, stiamo parlando di cose che sappiamo di non conoscere. Chi ha scommesso sulla bassa volatilità è stato colto in fallo. Questo ha inasprito ulteriormente la volatilità di lunedì, quando queste strategie hanno subito forti perdite. Inoltre, entrano in gioco altri fattori tecnici durante i sell-off rapidi, come ad esempio le strategie che seguono i trend, che contribuiscono ad amplificare il movimento al ribasso.

Cosa abbiamo imparato? Per prima cosa, stiamo osservando un allontanamento dal contesto di mercato a bassa volatilità degli ultimi anni. Dal nostro punto di vista, questo è l’inizio di un ciclo a volatilità crescente alimentata dalla stretta monetaria che porterà al peggioramento del profilo di rischio/rendimento per gli asset rischiosi. In secondo luogo, per quanto appaia improbabile che il mercato tocchi i suoi massimi prima della seconda metà del 2018, ciò a cui abbiamo assistito potrebbe segnare l’inizio della fase di rallentamento e consolidazione che precede l’inversione. La crescita è ancora robusta e la paura dell’inflazione ci sembra un po’ esagerata. L’inversione definitiva del mercato azionario richiederebbe segnali più chiari di una stretta monetaria che incida sull’economia reale. Possiamo consolarci col fatto che gli effetti sulle altre asset class per ora sono stati limitati. Coloro che investono nel credito normalmente sono tra i primi ad fiutare i rischi di una recessione, ma i movimenti sugli spread di credito sono stati pacati rispetto a quello che abbiamo visto sul mercato azionario americano. Infine, le strategie corte in volatilità sono relativamente nuove e restano “un’incognita nota” con il potenziale di amplificare ulteriormente la volatilità di mercato nelle fasi ribassiste. Morale della favola: mutamento dello scenario di mercato sì, inversione definitiva del ciclo non ancora.

Witold Bahrke

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