L’Italia è ripartita, all’appello manca solo il Mezzogiorno. Intervista con Luca Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria

paolazzi-luca-2

Quali sono le aspettative sulla crescita e il commercio mondiali per il secondo semestre?

“Si sta assistendo ad una nuova accelerazione della crescita mondiale e, quindi, della domanda mondiale che ha inciampato alla fine del 2014 e all’inizio del 2015 in una “falsa partenza”: ovvero una serie di fattori passeggeri, tra i quali la frenata degli Stati Uniti per eventi meteorologici avversi e lo scioperi nei porti nonché per il contraccolpo subito dall’industria petrolifera che ha ridotto la domanda di beni di investimento a causa del dimezzamento del prezzo del greggio. La riduzione del costo del greggio è stato ed è tuttora un fattore positivo per la crescita in generale e dei Paesi non produttori in particolare, ma ha provocato un taglio della domanda interna nei Paesi produttori e esportatori di petrolio: Russia, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Nigeria, Venezuela, Messico per citare alcuni tra i maggiori produttori. Per queste ragioni il commercio mondiale ha frenato. Ci aspettiamo una ripartenza più rapida nel secondo semestre dell’anno e nel 2016. Ma non ci sarà più il dinamismo dell’economia e del commercio mondiale come l’abbiamo conosciuto prima della crisi”.

L’economia di Eurolandia secondo stime del FMI segnerà l’1,5% quest’anno e l’1,7% nel 2016.

“Non c’è molta differenza tra l’1,5 e l’1,7%. Ritengo che la dinamica resti bassa. Prima della crisi la crescita era intorno al 2,5%. Ed è una crescita insufficiente perché continuano ad esserci gravi difficoltà nell’Eurozona legate alle conseguenze della crisi e alla gestione della crisi dei debiti sovrani che ha colpito l’Eurozona ma non il resto del mondo. Il resto del mondo si è comportato diversamente nella gestione dei conti pubblici e la rappresentazione di ciò che è avvenuto in Europa lo vediamo nel caso della Grecia”.

Lo stato delle finanze pubbliche rimane il tallone d’Achille prevalentemente degli Stati periferici UE. E’ di pochi giorni fa l’aggiornamento del debito delle amministrazioni pubbliche italiane che a maggio è aumentato ancora a 2.218,234 miliardi. Deficit e debiti elevati, bassa crescita, riforme insufficienti, pesano sulla ripresa economica.

“Sulla questione della finanza pubblica italiana, certo il debito pubblico è alto, continua a salire, ma io sono tra quelli che storcono un po’ il naso quando leggono che c’è un nuovo record di debito pubblico. Finché abbiamo un deficit ci sarà sempre un nuovo record del debito pubblico. Il punto fondamentale è se questo debito pubblico è sostenibile o meno. Per capirlo bisogna guardare a due indicatori: la dinamica dei tassi di interesse e la dinamica della crescita. Nel primo caso i tassi di interesse resteranno a lungo bassi, e, nonostante la Grecia, si è visto che non c’è stato un “contagio” pesante rispetto all’Italia; il problema fondamentale è il rilancio della crescita e da questo punto di vista è vero la necessità di ridurre il  deficit e il debito costituiscono un ostacolo. La nostra opinione è che si crea crescita sostenibile di lungo periodo con le riforme strutturali e una maggiore capacità del sistema di adattarsi ai cambiamenti e questo significa capacità di risposta rapida e quindi maggiore flessibilità, più efficienza della Pubblica amministrazione, semplificazione, giustizia più rapida, un sistema di istruzione che prepara adeguatamente le persone”.

Alcuni indicatori sono tornati positivi: fatturato e ordinativi industriali, investimenti, consumi e lavoro hanno tutti il segno più dopo molti trimestri. Abbiamo voltato pagina?

“Sì. Non nego il fatto che ci sia un ritorno alla crescita con un miglioramento degli indicatori congiunturali sia quantitativi, sia qualitativi come la fiducia nelle imprese e nelle famiglie che si traduce in maggiore domanda di consumi e di investimenti. Purtroppo di ripresa non si può parlare nel senso che ho spiegato perché torneremo ai livelli precedenti alla crisi non prima del 2019. Però vorrei sottolineare che non possiamo dirci soddisfatti da questo ritorno alla crescita perché è insufficiente a risolvere una serie di questioni create dalla crisi, si pensi, ad esempio, alla disoccupazione strutturale, delle persone cioè che cercano un impiego da oltre 12 mesi. Osserviamo che siamo in un contesto in cui l’economia italiana è sostenuta da fattori internazionali molto favorevoli: il dimezzamento del prezzo del petrolio, la svalutazione del cambio euro – dollaro, tassi di interesse molto bassi. Questi fattori avrebbero dovuto portarci a crescere quest’anno di circa due punti percentuali, invece dobbiamo accontentarci di uno 0,8%. E di altri due punti percentuali l’anno prossimo, invece, non andremo forse oltre l’1,4%. C’è da chiedersi perché l’economia italiana è così poco reattiva!”.

Dopo sette anni di crisi. Le imprese tornano a crescere nel Sud. E’ un segnale positivo. In fondo il Mezzogiorno d’Italia resta una delle aree più problematiche nell’Europa con ben quattro regioni tra le più grandi e popolose all’interno dell’Obiettivo Convergenza che appare dati alla mano sembra allontanarsi anziché avvicinarsi con il passare del tempo.

“E’ una tematica antica la questione meridionale. Non si risolve se non con una maggiore crescita. Nel Rapporto diffuso a fine giugno parlavamo della necessità di sostenere lo sviluppo del Mezzogiorno con investimenti e uno Stato più presente: infrastrutture, sanità, controllo del territorio, istruzione. Quello che è mancato negli anni al Sud anche in riferimento al periodo in cui operava la Cassa per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno è stata appunto un intervento “normale” da parte della Pubblica amministrazione e fa la differenza tra chi fa impresa al Sud e chi la può fare al Nord”.

Parlavamo di causa della crescita debole dell’Italia. Potrebbe essere proprio lo stato in cui versa il Mezzogiorno a frenare la crescita dell’Italia come Paese?

“Assolutamente sì. Il Mezzogiorno essendo una macro area demograficamente oltre che territorialmente forte e,quindi, fa media, contribuisce a tenere bassa la crescita del Paese, ma dobbiamo dire che anche le altre regioni non hanno brillato durante la crisi. Sicuramente la questione del Mezzogiorno va tenuta ai primi posti nelle agende delle politiche economiche, ma non pensando di fare cose miracolistiche inventandosi qualche istituzione finanziaria o progetti faraonici. Quello che è mancato finora è una buona e ordinaria amministrazione”.

 

Questa voce è stata pubblicata in Economia e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


tre + = sette

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>