AcomeA SGR. Inflazione Usa: sorprese al rialzo e dubbi sulla disinflazione

Nella foto la Federal Reserve

Nella foto la Federal Reserve

Anche il dato sull’inflazione di marzo negli Stati Uniti stupisce il consenso del mercato al rialzo e mette in discussione il processo di disinflazione, qualunque aggregato del paniere si guardi. Infatti, tra le componenti più volatili del paniere dei beni al consumo, la componente energetica negli ultimi mesi ha riaccelerato. Tra le componenti meno volatili, i prezzi al consumo dei servizi continuano a rimanere abbastanza forti, in particolare a marzo quelli relativi ai servizi di trasporto e ai servizi medici.

Il dato di inflazione di marzo era atteso con particolare attenzione dal mercato, la Fed rimane infatti strettamente dipendente dai dati nel guidare le proprie scelte di politica monetaria e già i dati di inflazione di gennaio e febbraio avevano stupito il consenso al rialzo. Finora la Fed non si è mostrata preoccupata dell’accelerazione della crescita dei prezzi al consumo di inizio anno, sostenendo piuttosto che un paio di dati non cambiano il quadro generale. Tuttavia, il fatto che anche a marzo, e per tre mesi consecutivi, i prezzi al consumo si mostrino più forti delle attese, può legittimamente mettere in dubbio il fatto che il processo di disinflazione che abbiamo visto in tutta la seconda metà dello scorso anno sia entrato in una fase di stallo. La domanda rimane dunque quanto tempo durerà questa fase di stallo e se questa situazione permetterà ugualmente alla Fed di tagliare i tassi di riferimento di 75bp entro fine anno, come mostrato dalle proiezioni della Fed stessa di marzo.

Guardando alle componenti dell’inflazione, oltre alla componente energetica, che rimane tra le più volatili, e che in un contesto di tagli all’offerta e tensioni geopolitiche potrebbe fare fatica a scendere, la componente che rimane più persistente è quella relativa ai servizi, particolarmente correlata ai salari. Per ora ci sono stati solo miti segnali di un ribilanciamento tra domanda e offerta di lavoro, ma ancora non accompagnati da un rallentamento della crescita dei salari. Certo, se il recente rafforzamento dei dati di produttività dovesse continuare, questo potrebbe giustificare la crescita salariale senza renderla inflazionistica.

Inoltre, la Fed si trova in questo momento non solo di fronte a uno stallo del processo di disinflazione, ma anche di fronte a una crescita economica che rimane molto resiliente e un mercato del lavoro forte che, come dimostrato anche dal report pubblicato la scorsa settimana dal Bureau of Labor Statistics, anche a marzo ha creato più di 300mila nuovi posti di lavoro, e con un tasso di disoccupazione sceso a 3.8%. A questo quadro si aggiunge l’incertezza relativa all’esito delle imminenti elezioni politiche e le prospettive di un aumento della spesa fiscale che andrà a pesare ulteriormente sul deficit degli Stati Uniti.

 A cura di Martina Daga, Macro Economist, AcomeA SGR

 

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