Il Pil torna a crescere e il Centro studi di Confindustria rivede al rialzo le stime: + 0,8% per il 2015 e + 1,4% per il 2016. Sono le nuove previsioni di “Scenari economici” che a dicembre stimava una crescita dello 0,5% per il 2015 e dell’1,1% per il 2016, dopo un 2014 negativo. Il Paese è fuori dalla recessione, “la risalita è iniziata, ma sarà lunga e difficile, perciò la parola ripresa è inappropriata, anche politicamente: è da evitare”. Secondo il CsC, “venti a favore continuano a soffiare”, ma e ci sono “freni straordinari”: il Pil “è in lento recupero” rispetto al “terreno perduto dal 2007.
Di questo passo, infatti, l’Italia tornerà ai livelli di Pil di otto anni fa nel 2022”; per questo è “importante proseguire rapidamente lungo la strada delle riforme strutturali” e migliorare la distribuzione del reddito. Il Pil è cresciuto dello 0,3% nel primo trimestre dell’anno e nel secondo trimestre, stima il direttore del Centro studi, Luca Paolazzi, “la crescita dovrebbe essere dello 0,2%”. I due incrementi consecutivi, si sottolinea nel rapporto, “mettono ufficialmente fine alla lunga recessione iniziata nel terzo trimestre del 2011 e sostanzialmente proseguita fino al terzo trimestre del 2014”. La variazione positiva del Pil, secondo il CsC, “rappresenta una svolta dopo un triennio di profonda contrazione: – 4,9% cumulato. La dinamica del Pil è prevista in accelerazione nel secondo semestre di questo anno e in graduale attenuazione nel 2016”. Un andamento sostenuto “dal pieno dispiegarsi degli effetti positivi della svalutazione dell’euro, del prezzo del petrolio basso, della riduzione dei tassi di interesse e della maggiore domanda interna nell’Euro area”. Gli indicatori sono positivi e se i dati saranno migliori del previsto nel terzo e nel quarto trimestre, secondo Paolazzi, la crescita del Pil nel 2015 potrebbe “arrivare anche a + 1%”. Le nuove stime del CsC non incorporano due fattori di rischio: trend globale più debole e contagio della crisi greca.
La cattiva distribuzione del reddito e la bassa crescita, secondo il CsC, sono legate a doppio filo. Nel nostro Paese la distribuzione personale del reddito sfavorisce la crescita economica. “La questione salariale – si spiega nel rapporto – intesa come dinamica delle retribuzioni percepita come insoddisfacente, dipende esclusivamente dall’arretramento del reddito prodotto dal Paese, e non da una penalizzazione del fattore lavoro, che anzi è stato favorito nella distribuzione del valore aggiunto”. Anche il “drammatico aumento dei poveri negli anni della crisi è dovuto all’arretramento generale del reddito del Paese”, rendendo “più fragili società ed economia”. Le retribuzioni reali, secondo il CsC, negli anni della crisi hanno comunque tenuto meglio del Pil pro-capite e nell’industria le buste paga sono aumentate ma “slegate dalla produttività”, che resta al di sotto dei salari. Occorre, dunque, “distribuire meglio per crescere di più”, stimolando “la crescita della produttività tramite il progresso tecnologico, per cui sono cruciali sia le attività di ricerca e sviluppo, che vanno incentivate e agevolate, sia il sistema di istruzione, che deve essere maggiormente integrato con il mondo produttivo”. La dinamica dei salari va allineata “meglio” alla produttività, “spostando il baricentro della contrattazione collettiva verso il livello aziendale” e vanno rimosse le “restrizioni alla concorrenza nei mercati dei servizi, da cui proviene una pressione al rialzo dei prezzi al consumo che riduce la competitività”.