Quel lumicino della ragione nella ricerca della verità

Gaetano Pecora ci illustra la lezione laica di Norberto Bobbio, il grande filosofo del dubbio

Gaetano Pecora ci illustra la lezione laica di Norberto Bobbio, il grande filosofo del dubbio

Di Giambattista Pepi. Il lumicino debole, la fiammella tremolante che appena un alito di vento può smorzare lasciandoci al buio e con le dita bruciate: il laicismo di Bobbio si svolge da qui, dalla consapevolezza della fragilità pericolante della ragione che però… che però è tutto quello che abbiamo. Non accenderla questa piccola fiamma, o lasciarla spegnere significherebbe spegnere noi stessi. Il lumicino della ragione è un’immagine alla quale Norberto Bobbio, massimo teorico del diritto e uno tra i maggiori filosofi italiani della politica,  ricorreva per spiegare le ragioni e i modi del suo “convinto laicismo”, come lo definiva lui stesso. All’insegnamento e alla testimonianza di questo grande maestro del pensiero filosofico, Gaetano Pecora ha dedicato il libro Il lumicino della ragione. La lezione laica di Norberto Bobbio (Donzelli, 208 pagine, 10,00 euro).

L’immagine, il lumicino della ragione, ripresa da John Locke (filosofo e medico inglese, considerato il padre del liberalismo classico, dell’empirismo moderno e uno dei più influenti anticipatori dell’illuminismo e del criticismo) ben si addice a illustrare un laicismo che trova il proprio centro in una concezione dello Stato che nel conflitto tra la religione e l’irreligione non prende posizione né per la credenza né per la miscredenza, lasciando che ognuno se ne vada per le strade che gli comanda la sua spiritualità. Sarà buona quella strada, o cattiva? Non sappiamo. Sappiamo soltanto che è la sua strada. E tanto basta per chi “ritiene che la verità abbia molte facce, e non vi sia alcun criterio oggettivo e assoluto per distinguere la verità dall’errore” (sono parole di Bobbio). In questo caso, spiegava, “l’unico rimedio è l’incontro o lo scontro delle opinioni, dei giudizi, delle idee, vale a dire una situazione che non può attuarsi senza libertà”, a cominciare evidentemente dalla libertà di coscienza che proprio perciò è la pietra angolare del laicismo bobbiano. E dunque, contro l’oggettivismo morale, il relativismo etico. Contro i richiami di una fede obbediente, le esigenze di una volontà autonoma. E contro i privilegi del confessionalismo, le parificazioni dello Stato laico: pur con i toni conversevoli che testimoniavano la squisitezza dell’uomo, quello di Bobbio è un pensiero “contro” che perciò non sopporta contaminazioni spurie né troppo elastiche interpretazioni.

L’autore del volume (ordinario di Storia delle dottrine politiche nell’Università del Sannio e alla Luiss, ha pubblicato molti saggi. Qui ricordiamo Uomini della democrazia, con prefazione di N. Bobbio edito da Esi nel 1987 e rieditato nel 2007); Il pensiero politico di Hans Kelsen pubblicato da Laterza nel 1995; tradotto in Brasile nel 2015 e Il liberalismo anomalo di Friedrich August von Hayek  uscito per i tipi di Rubbettino, nel 2002; tradotto in inglese nel 2015), ci introduce l’argomento così.

“Quando si dice la potenza delle parole! Dobbiamo all’inventiva del genio italico la distinzione fra il “laico” e il “laicista”. Dove il “laicista” viene fulminato d’anatema perché – così si sostiene – indulge ad atteggiamenti protervi, urticanti e alla fine luciferini nella loro sfida a qualunque manifestazione della vita religiosa. Mentre il “laico” è carezzato di favori perché frena le sue punte, e alla chiusa unilateralità degli invasati sostituisce un’espansione di rispetto verso le gerarchie ecclesiastiche. Le quali gerarchie – sempre così si sostiene – sono depositarie di valori senza i quali lo Stato laico si riduce a misera cosa; a nulla più che a un sistema di dispositivi giuridici, freddi e incolori perciò, come solo i ritrovati giuridici sanno essere”. E aggiunge. “Stando così le cose, mi è parso opportuno riflettere sulla lezione di Norberto Bobbio. Dove ad altri oggi piace duplicare l’esperienza laica ora in una versione corretta e ora in una versione corrotta (il mai sufficientemente abominato «laicismo»), ecco che esattamente lì Bobbio riportava tutto sotto la copertura di lemmi sinonimici: laicità e laicismo erano termini che, se non sempre, certo quasi sempre, nel suo magistero si ribadivano l’un con l’altro e si passavano la voce per dire esattamente la stessa cosa: che cioè lo Stato laico è tale finché non decampa dal principio giuridico della eguale libertà di coscienza e di culto, per cui esso non è né temperante né intemperante, né difensivo né offensivo della fede. Luciferino. Ma luciferino chi? Il laico? E perché lo sarebbe? E’ lo stesso Bobbio, ricorda l’autore del saggio, a rispondere, a questa provocazione. “Io trovo – leggiamo nel suo Dubbio e Mistero – che questo voler avere la verità assoluta (l’ho anche scritto ad un amico cattolico) è qualcosa di luciferino. Luciferino, perché non è questa la condizione umana come la conosciamo, come l’abbiamo letta attraverso la storia della vicenda umana, che è la storia dell’incertezza, dell’insicurezza, del dubbio, della ricerca certo, ma della ricerca che non ha mai fine, di problemi che non hanno mai una soluzione”. Come meravigliarsi di questi ragionamenti molto sottili di Bobbio per il modo di sentire comune? Perché mai le riflessioni e le affermazioni sul laicismo e sulla laicità (come molte altre sull’etica, lo Stato, la democrazia, la libertà) rimangono (volutamente?) in una condizione di sospensione? La risposta, se mai dovessimo darla, è che tutto il suo pensiero, soprattutto tra gli intellettuali dell’area socialista, fu un modello esemplare, grazie al suo “sapere impegnato”, certamente “più preoccupato di seminare dubbi che di raccogliere consensi”, quale secondo lui dovrebbe essere il ruolo dell’intellettuale. “Mi ritengo un uomo del dubbio e del dialogo” aggiungeva Boggio stesso nel suo Elogio della mitezza (Linea d’ombra edizioni, Milano, 1994) “Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre, o esponendo la gamma delle possibili risposte, o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto alla prova continuamente con coloro che presumo ne sappiano più di me”. Ecco la lezione esemplare lasciataci come eredità culturale e spirituale da Bobbio: l’uomo di pensiero deve essere un testimone della verità, non il detentore, deve essere libero nella ricerca della verità, deve poterla scandagliare, riportarla alla luce, discuterla, metterla alla prova, criticarla, rivederla se occorre, in un lavoro e in un lavorio incessante, illuminata dal pensiero razionale. Non da una luce sfolgorante, non da una fiamma vividamente rischiarente, ma da un semplice lumicino, appunto, il lumicino della ragione…

 

 

 

 

 

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