Un appello alla responsabilità, prima che sia troppo tardi

Il filosofo Ferdinando Menga riflette sulla crisi della contemporaneità e ci invita a ripensare ora il nostro rapporto con i destini del Pianeta e con le generazioni future

Il filosofo Ferdinando Menga riflette sulla crisi della contemporaneità e ci invita a ripensare ora il nostro rapporto con i destini del Pianeta e con le generazioni future

Giambattista Pepi. Un video girato dallo smartphone di un passante all’inseguimento affannato e sbigottito della carovana composta da un’anatra e i suoi piccoli che, silente e indisturbata, sfilava lungo il ciglio di una strada deserta del centro di una cittadina del Nord-est mentre l’Italia era stata “fermata” da un lockdown mai visto prima dalle autorità allo scopo di arginare la diffusione del Sars-CoV-2, il virus responsabile della pandemia da Covid-19. Una giovanissima studentessa svedese, Greta Thunberg, nella sua azione di sciopero prolungato dalla scuola finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del cambiamento climatico incita le autorità del suo Paese, e non solo, a una decisa inversione di rotta nelle odierne politiche ambientali. Questo circoscritto atto di disobbedienza ha generato e alimentato uno dei movimenti giovanili di protesta più nutriti e trasversali che la storia abbia conosciuto: i Fridays for Future. Queste due immagini con le quali esordisce Ferdinando G. Menga  nel libro L’emergenza del futuro. I destini del pianeta e le responsabilità del presente (Donzelli, 152 pagine, 16,15 euro) evocano e danno voce a quelli  che egli definisce i “più vulnerabili e invisibili; gli emarginati dagli spazi pubblici; insomma, gli esclusi dalla sfera di apparenza del mondo.

Nel primo caso, sono gli animali ai quali si va ogni giorno che passa sempre di più sottraendo lo spazio vitale; nel secondo, parliamo di persone, ovvero delle nuove generazioni che saranno coloro i quali maggiormente – e, al pari dei primi, “inermi” – sopporteranno i costi degli scellerati comportamenti  dei contemporanei.

Cosa accomuna queste due vicende, in apparenza, ma solo in apparenza, non collegate?

Al netto delle differenze fra “l’evento Covid-19” e “l’evento Greta” spiega l’autore (professore associato di Filosofia del diritto all’Università della Campania «Luigi Vanvitelli» e visiting professor stabile all’Institut für Ethik dell’Università di Tubinga. È risultato vincitore nel 2017 del programma ministeriale di rientro dei cervelli “Rita Levi Montalcini”. È co-direttore delle riviste “Etica & Politica” ed “Endoxa/Prospettive sul presente) entrambi possono essere compresi come avvenimenti che segnano una crisi della contemporaneità. Sebbene con modalità diverse, tutti e due penetrano il nostro presente, lo scuotono, lo interrogano, ne mettono in discussione i dispositivi vigenti, e, così facendo, lo spingono inevitabilmente a un ripensamento non più rinviabile del nostro rapporto con i destini del Pianeta e con le generazioni future.

È per questo motivo che una delle parole-chiave che sono maggiormente circolate negli ultimi tempi è esattamente futuro. Quali, allora, le poste in gioco di una responsabilità intergenerazionale? Quali le difficoltà di pensarla in modo radicale? Con quali strumenti e attraverso quali modelli? Queste sono le sfide che si impongono alle nostre comunità politiche e devono essere da esse accolte e affrontate?

Il libro di Menga offre un agile percorso di riflessione sul tema senza, però, aggirarne le difficoltà teoriche e pratiche. Assieme alla presentazione delle questioni di fondo, il volume delinea anche alcune traiettorie di risposta, insistendo sulla necessità di risintonizzare le nostre istituzioni democratiche sul tema dell’appello radicale dei senza voce per eccellenza: le generazioni future e, aggiungiamo noi, le altre forme di vita sulla Terra, del mondo vegetale e animale, e degli eco sistema naturali complessi, minacciati di estinzione.

Proprio a partire dagli eventi recenti, che ci hanno messi di fronte a tutta la nostra fragilità strutturale, le nostre comunità sono così chiamate – secondo l’autore – a ripensarsi a partire da un’ingiunzione che proviene loro, letteralmente, da “vulnerabilità a venire”.

 

 

 

 

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