Ignazio Visco. L’economia italiana e le banche: implicazioni della pandemia e prospettive

Il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco

Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco

La congiuntura e le risposte di politica economica. Le conseguenze della gravissima crisi globale causata dalla diffusione del nuovo coronavirus sono ancora molto difficili da valutare. La portata di questo evento senza precedenti nella storia recente è evidente nei costi che tuttora produce in termini di vite umane, di relazioni sociali, di risultati economici. L’incertezza sulle prospettive incide negativamente sulle decisioni di spesa delle famiglie e delle imprese; nonostante una recente, leggera, tendenza al miglioramento, la fiducia rimane, non solo in Italia, su valori molto bassi. Nei primi mesi di quest’anno la crescita della propensione al risparmio ha riflesso, in Italia, gli ostacoli agli acquisti di beni e servizi conseguenti alla chiusura di attività non essenziali, in un contesto di offerta limitata di molti prodotti; dal secondo trimestre soprattutto l’emergere di ragioni di ordine precauzionale. Nei primi due trimestri la forte caduta dei consumi, degli investimenti e della domanda estera ha determinato una diminuzione cumulata del prodotto di oltre il 17 per cento, facendolo arretrare sui livelli dei primi anni Novanta; a essa sembra far seguito, come previsto, un consistente recupero dell’attività produttiva.

Nel complesso, anche grazie alle misure di stimolo della domanda, monetarie e di bilancio, il rafforzamento della congiuntura nel trimestre in corso potrebbe essere lievemente migliore di quanto delineato in luglio nello scenario di base delle nostre previsioni. Al momento, gli andamenti che stiamo osservando restano a grandi linee coerenti con il risultato per l’anno prefigurato in quello scenario: una caduta del PIL di poco inferiore al 10 per cento, con una successiva, molto graduale, ripresa.

Sulle prospettive di crescita gravano ancora importanti rischi che richiedono chiarezza sull’orientamento delle politiche, anche nel medio periodo. La pandemia non sta evolvendo, a livello globale, come molti avevano sperato. Se protratto, l’elevato risparmio precauzionale, diffuso anche in altri paesi avanzati, può frenare la ripresa globale nei prossimi mesi, rischiando di radicarsi nei comportamenti delle famiglie e delle imprese;

nei nostri sondaggi la propensione alla riduzione delle spese considerate comprimibili, quali quelle per viaggi, vacanze, ristoranti, cinema e teatro, sembra interessare finora non solo i nuclei con maggiori difficoltà economiche, ma anche una quota rilevante di famiglie che non sono incorse in perdite di reddito significative e che non prevedono di subirle neanche in futuro. Una ulteriore fonte di incertezza a livello globale riguarda la capacità dei debitori, e specialmente delle imprese, di tornare a onorare regolarmente i pagamenti, una volta che giungeranno a scadenza le misure introdotte a loro favore in molti paesi. Questo rafforza la necessità di interventi di natura strutturale volti a sostenere la ripresa delle economie e la solidità delle imprese con prospettive di sviluppo.

Nonostante il graduale recupero dai minimi registrati in marzo, nella prima metà di settembre nell’area dell’euro le aspettative di inflazione a breve termine implicite nelle quotazioni delle attività finanziarie sono state appena positive; quelle a più lungo termine poco sopra l’1 per cento. Occorre quindi continuare a operare per assicurare l’efficace trasmissione della politica monetaria in tutti i paesi dell’area, contrastando il rischio che l’attuale debole andamento dell’inflazione porti ad accrescere i debiti in termini reali e riduca, anche per tale via, la capacità dei debitori di onorare i propri impegni.

La scorsa settimana il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha confermato che l’orientamento della politica monetaria resterà molto accomodante per un periodo prolungato, essendo pronto, se necessario, ad adeguare tutti gli strumenti disponibili per adempiere il suo mandato. L’accomodamento monetario mira a conseguire l’obiettivo del progressivo ritorno a una crescita dei prezzi prossima al 2 per cento; andranno a tal fine valutati tutti i fattori che possono ostacolare questo percorso, considerando, e contrastando, tutte le possibili pressioni al ribasso: quelle conseguenti ad andamenti della domanda di beni e servizi e dell’occupazione peggiori del previsto, così come quelle dovute a variazioni nelle aspettative di inflazione o all’andamento del cambio.

Resta essenziale il supporto delle politiche di bilancio, a livello sia nazionale sia europeo. I provvedimenti in favore delle famiglie e delle imprese continueranno a essere cruciali per alleviare i problemi di liquidità, sostenere la domanda aggregata, lenire il disagio sociale e contrastare l’ampliamento delle disuguaglianze. Per ridurre l’incertezza e porre le basi per il ritorno a una crescita stabile e sostenuta dell’economia e dell’occupazione, la soluzione dei problemi sanitari e le necessarie misure di stabilizzazione macroeconomica vanno però accompagnate da interventi risoluti sul piano delle infrastrutture, non solo materiali. La decisione europea di costituire un fondo volto a garantire il benessere delle “nuove generazioni” è un passo avanti di importanza storica: con le risorse del programma Next Generation EU si può, e si deve, contribuire a cambiare l’ambiente economico e sociale, favorire la nascita e la crescita di imprese che aiutino a rispondere in modo efficace alle sfide prodotte dalle modifiche delle abitudini di consumo, di interazione sociale, di organizzazione dell’attività produttiva. In tutti paesi vanno individuati percorsi di riforma volti a innalzare il potenziale di crescita, garantendo l’equità e la sostenibilità, non solo finanziaria, dello sviluppo economico.

A questo scopo, nel nostro paese occorre guardare ai progetti che le ingenti risorse messe a disposizione dai programmi europei rendono possibili non nell’ottica

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di una ordinaria legge di bilancio, ma concentrandosi su quegli interventi in grado di farci recuperare i ritardi strutturali che più hanno ostacolato, e ancora ostacolano, la ripresa della crescita e la creazione di occasioni di lavoro, qualificate e stabili. A essi può accompagnarsi la risposta dell’intero tessuto produttivo; bisogna anche considerare come gli sforzi delle famiglie e delle imprese possano essere sostenuti dall’intermediazione finanziaria. Su questo intendo ora svolgere alcune brevi riflessioni.

Il ruolo delle banche durante e dopo la pandemia

La crisi di liquidità che ha colpito le imprese italiane a seguito della pandemia ha trovato risposta da parte delle banche. I finanziamenti erogati dagli intermediari sono aumentati in misura significativa e in modo diffuso tra settori e tra aziende di diversa dimensione, incluse le più piccole. Dall’inizio di marzo alla fine di luglio i prestiti alle imprese sono cresciuti di 47 miliardi; si erano ridotti di circa 2 miliardi nello stesso periodo del 2019.

Come in altri paesi europei, il sostegno alla liquidità è stato favorito da misure di ampia portata varate dal Governo, tra cui le moratorie e le garanzie sui prestiti. Esse sono state complementari a quelle di politica monetaria adottate dal Consiglio direttivo della BCE, incluso il miglioramento delle condizioni applicate alla terza serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO3).

La misura relativa alle moratorie è stata tempestiva, ampia, attuata con efficacia. Ai primi di settembre le richieste, incluse quelle ex lege (“fondo Gasparrini”) da parte delle famiglie e quelle attivate dalle banche su base volontaria, riguardavano un ammontare di finanziamenti pari a 300 miliardi (a fronte di oltre 2,7 milioni di richieste). Le domande delle piccole e medie imprese (PMI) ai sensi del decreto “Cura Italia” (quasi 1,3 milioni) si riferivano a prestiti e linee di credito per quasi 160 miliardi.

Come ho avuto modo di rilevare, l’erogazione dei prestiti garantiti dallo Stato è stata inizialmente rallentata dall’eccezionale mole di richieste da parte di imprese di tutte le dimensioni, oltre che dalle numerose innovazioni introdotte negli schemi di garanzia. Le procedure e i tempi di lavorazione si sono poi gradualmente normalizzati, anche grazie al lavoro di raccordo svolto dalla task force coordinata dal Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF), a cui partecipa la Banca d’Italia. L’utilizzo di questi strumenti appare oggi di entità eccezionale. Da metà marzo all’8 settembre il Fondo Centrale di Garanzia ha ricevuto dalle banche oltre un milione di richieste di garanzie su prestiti alle imprese, per lo più PMI, per un importo complessivo di quasi 80 miliardi. La SACE, inoltre, ha concesso garanzie per ulteriori 13 miliardi a imprese di grandi dimensioni.

Fino a oggi l’espansione dei prestiti è stata sostenuta dalle garanzie pubbliche. Data la struttura della nostra economia, composta prevalentemente da piccole e medie aziende, con il consolidarsi della crescita le banche si troveranno a dover fronteggiare nuove domande di finanziamenti non più assistite da tali garanzie. Si può prevedere una risposta nel complesso positiva: una restrizione del credito finirebbe per ritorcersi sugli stessi bilanci bancari, ostacolandone il necessario rafforzamento; i rischi di una crescita delle sofferenze e delle “inadempienze probabili” prodotta da questa gravissima fase recessiva andranno fronteggiati con adeguati mezzi patrimoniali.

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Un aumento generalizzato delle richieste di escussione delle garanzie potrebbe altresì determinare ripercussioni sulle finanze pubbliche; queste non potranno che essere coperte con una sostenuta ripresa dell’economia, favorita dai prestiti bancari, oltre che con il necessario, progressivo, ritorno alla prudenza nelle politiche di bilancio. Per evitare che l’incertezza riguardante la capacità delle imprese di onorare regolarmente i pagamenti incida sulle condizioni di offerta del credito, frenando la crescita, vanno rese rapidamente operative le misure già introdotte per rafforzarne, ove possibile, il patrimonio.

In rapporto agli attivi ponderati per il rischio, nei primi sei mesi dell’anno il patrimonio di migliore qualità (CET1) è aumentato di quasi un punto percentuale, al 14,8 per cento. Vi hanno contribuito la capitalizzazione degli utili non distribuiti relativi all’esercizio 2019, in linea con le raccomandazioni delle autorità di vigilanza, e le misure adottate dal legislatore europeo per anticipare l’entrata in vigore di ponderazioni per il rischio più favorevoli per alcune categorie di attività e attenuare l’impatto prudenziale dei nuovi principi contabili (IFRS 9). La redditività delle banche è però nettamente diminuita. Se il calo dei costi operativi, in parte legato ai mesi di chiusura e rallentamento delle attività produttive, ha più che compensato la flessione dei ricavi, sono fortemente aumentate le rettifiche di valore su crediti. La loro crescita risponde, per la quasi totalità, alla necessità di ampliare il grado di copertura di posizioni ancora in bonis, ma il cui merito creditizio si è inevitabilmente deteriorato a seguito del peggioramento delle prospettive macroeconomiche.

Finora è proseguita la riduzione dei crediti deteriorati: tra dicembre scorso e giugno di quest’anno, al netto delle rettifiche di valore, essi sono scesi dal 3,3 al 3,1 per cento del complesso dei finanziamenti (dal 6,6 al 6,1 per cento, al lordo delle rettifiche); il rapporto tra i nuovi prestiti deteriorati e l’ammontare dei prestiti in bonis è rimasto stabile, all’1,3 per cento. Questa dinamica ha però beneficiato degli effetti delle misure di supporto alle imprese e alle famiglie varate dal Governo, dirette, come moratorie e garanzie, e indirette, come sussidi, contributi e cassa integrazione. Le perdite su crediti hanno riflesso le indicazioni fornite dalle autorità di vigilanza sull’utilizzo di margini di flessibilità nella classificazione dei prestiti coperti da garanzie pubbliche e di maggiore gradualità negli accantonamenti a fronte dei crediti deteriorati.

È necessario, tuttavia, che le banche usino con attenzione questa flessibilità, senza rinviare l’emersione di perdite altamente probabili. Le evidenze disponibili indicano che l’incremento delle rettifiche su crediti registrato nella prima metà di quest’anno è concentrato tra gli intermediari di maggiore dimensione, a fronte di difficoltà che appaiono invece diffuse. Tutte le banche devono dotarsi di strumenti idonei a identificare per tempo l’aumento della vulnerabilità dei debitori, in particolare di quelli che hanno aderito alle moratorie, per i quali le informazioni disponibili potrebbero in questa fase risultare limitate.

Nonostante la debolezza della congiuntura economica, è importante che gli intermediari continuino a preservare adeguati livelli di patrimonializzazione; su questo fronte, per assorbire le perdite sui prestiti sarà probabilmente necessario utilizzare almeno parte del capitale in eccesso rispetto ai requisiti minimi. La riduzione degli indicatori di solvibilità andrà contrastata con iniziative volte a contenere i costi e aumentare i ricavi;

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vi potrà contribuire la dismissione di attività marginali rispetto all’operatività prevalente e relativamente poco redditizie.

Nei prossimi anni sarà quindi fondamentale continuare a gestire con efficacia i crediti deteriorati per evitare che essi si accumulino nei bilanci, ostacolando le azioni di rafforzamento e incrinando la fiducia del mercato e degli investitori. I progressi finora compiuti sono significativi: dalla raccolta di dati granulari e standardizzati sulle sofferenze alla creazione di unità organizzative appositamente dedicate al recupero, dalla predisposizione di piani di riduzione all’avvio di un mercato per le transazioni su questa tipologia di attivi. Nonostante la crisi, nei primi otto mesi di quest’anno le banche italiane sono riuscite a cedere un ammontare di crediti deteriorati solo di poco inferiore rispetto a quanto programmato prima dello scoppio della pandemia. Considerando le operazioni in corso di finalizzazione, è ragionevole attendersi che gli obiettivi che le banche si erano prefisse a inizio anno verranno pienamente raggiunti. Va ora affrontata la sfida di continuare in questa direzione, assicurando il pieno supporto all’economia e mantenendo al contempo adeguati livelli patrimoniali.

Bisogna proseguire nella riduzione dei crediti deteriorati facendo leva sull’esperienza accumulata, anche in tema di ristrutturazione delle esposizioni delle imprese classificate come inadempienze probabili al fine di accrescerne la probabilità di ritorno in bonis; l’esigenza è più forte per quelle banche che non sono ancora del tutto allineate alle migliori pratiche. Come abbiamo più volte rimarcato, è importante che alle azioni degli intermediari si accompagnino interventi volti a portare in tempi rapidi l’efficienza della giustizia civile su livelli in linea con quelli delle altre economie avanzate. Una più rapida riduzione delle carenze di organico e un deciso aumento di investimenti in tecnologia nell’amministrazione giudiziaria, comunque necessari, possono dare un importante contributo. Riducendo i tempi della giustizia civile diminuirebbe notevolmente anche l’impatto sulle banche italiane delle disposizioni relative alla svalutazione dei crediti deteriorati previste dalle norme europee e dalle aspettative, pur flessibili, della Vigilanza.

Le riforme regolamentari varate a seguito della crisi finanziaria globale e l’azione di vigilanza svolta nell’ultimo decennio, in particolare dagli anni della crisi del debito sovrano, hanno avuto effetti di rilievo sia sul fronte della patrimonializzazione delle banche sia su quello della consistenza dei crediti deteriorati. Di conseguenza, la capacità delle banche italiane di affrontare shock avversi è significativamente aumentata. La portata della crisi in atto potrebbe tuttavia essere tale da richiedere interventi di natura straordinaria.

In questo contesto si sta riaprendo il dibattito a livello europeo su iniziative volte a favorire l’istituzione o a migliorare il funzionamento di società specializzate nella gestione dei crediti deteriorati (AMC, asset management companies o, nel linguaggio comune, bad banks). Ipotesi che considerino anche la partecipazione di investitori privati al capitale di queste società vanno viste con favore.

Tra le diverse possibilità di intervento vi è l’introduzione di uno schema armonizzato che consenta ai singoli Stati di operare con società nazionali in deroga ad alcuni aspetti della regolamentazione vigente, ad esempio non prevedendo l’attivazione automatica del burden sharing nel caso in cui i crediti vengano ceduti al loro “effettivo valore economico”

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e l’AMC abbia adeguate prospettive di profitto. In Italia AMCO (ex SGA), di proprietà del MEF, opera di fatto, pur attraverso una intensa interazione con la Commissione europea, come una AMC, svolgendo un ruolo molto importante nella gestione del problema nel nostro paese.

La gestione delle crisi

L’azione e gli interventi della Vigilanza sono improntati a far sì che gli intermediari siano in grado di operare sul mercato rispondendo con efficacia alle richieste di finanziamento in un contesto di sana e prudente gestione. In alcuni casi, tuttavia, l’uscita dal mercato diviene inevitabile. Ricordiamo spesso che le banche sono imprese e che possono fallire; una Vigilanza attenta e assidua può ridurre, ma non azzerare, la frequenza delle crisi. In questi casi le autorità di vigilanza e quelle di risoluzione si adoperano per minimizzare le conseguenze dirette ed evitare che il fallimento di un singolo intermediario finisca per determinare gravi rischi per la stabilità finanziaria e l’economia.

Nei sette anni successivi alla crisi finanziaria globale negli Stati Uniti si sono verificati oltre 500 casi di fallimenti di banche. Anche in Europa vi sono stati numerosi fallimenti. In Italia dal 2010 le procedure di liquidazione hanno riguardato meno di 30 banche e gruppi bancari, per la maggior parte intermediari che hanno risentito in modo particolare della doppia recessione che ha colpito la nostra economia.

Il ruolo del sistema bancario nella gestione delle crisi, attraverso i fondi di garanzia e tutela dei depositi, è stato fondamentale; ha contribuito significativamente a minimizzare le ricadute sui clienti delle banche e sugli obbligazionisti e a preservare la stabilità finanziaria. Le risorse messe a disposizione dagli intermediari sono state ingenti. In alcuni casi è stato necessario un sostegno di natura pubblica; data l’incertezza sull’evoluzione del quadro congiunturale e le condizioni di alcuni intermediari, generalmente piccoli ma nel complesso non trascurabili, non è da escludere che lo sia ancora nel prossimo futuro.

È al momento in fase di approvazione da parte della Commissione europea una misura che prevede la possibilità di utilizzare risorse pubbliche per rendere più snella la procedura di liquidazione di banche con un totale delle attività inferiore a cinque miliardi. È auspicabile non solo che un responso positivo da parte della Commissione giunga in tempi brevi, ma anche che la misura venga estesa al 2021 e ne venga ampliato il finanziamento, che ha attualmente, nel bilancio pubblico, una dotazione di soli 100 milioni.

In Europa la questione della gestione ordinata dei casi di crisi di intermediari di piccole e medie dimensioni, per i quali non sia riscontrato un interesse pubblico all’attivazione di una procedura di risoluzione (peraltro anch’essa problematica, data la difficoltà che avrebbero questi intermediari a costituire i buffer richiesti), rimane ancora irrisolta. Non si tratta di chiedere salvataggi pubblici di banche che non è bene che rimangano sul mercato, ma di facilitare quanto più possibile una loro uscita ordinata minimizzando l’impatto sulla clientela e sull’economia. Bisogna che le istituzioni si muovano rapidamente anche su questo fronte; siamo disponibili a fornire il nostro contributo.

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Ricordo, inoltre, che resta da completare l’Unione bancaria, inclusa la creazione di una rete di sicurezza finanziaria (backstop) per il Fondo di risoluzione unico nell’ambito del sistema di gestione delle crisi. Tale funzione, secondo la proposta di riforma definita lo scorso anno e tuttora in discussione, dovrebbe essere svolta dal Meccanismo europeo di stabilità.

L’esperienza in tema di gestione delle crisi maturata in giurisdizioni come gli Stati Uniti appare utile. Il confronto con il relativo assetto regolamentare, e in particolare con il modus operandi della Federal Deposit Insurance Corporation, suggerisce una serie di possibili interventi normativi in grado di ridurre la frammentarietà e la rigidità dell’approccio europeo. Si tratta di misure strettamente legate alla regolamentazione e all’utilizzo del fondo di garanzia dei depositi, nell’ambito della realizzazione del “terzo pilastro” dell’Unione bancaria. Tra gli interventi che si muovono in tale direzione vi sono quelli atti a promuovere una minore dispersione di funzioni tra istituzioni, la graduale convergenza delle procedure di liquidazione nazionali, l’adozione del “costo minimo” come criterio guida nella scelta delle modalità di intervento e come condizione di convergenza delle procedure nazionali.

Sfide e opportunità

Le sfide che derivano dalla crisi indotta dalla pandemia si affiancano a quelle che le banche stavano già affrontando. Nel prossimo futuro occorrerà soddisfare i maggiori requisiti patrimoniali connessi con l’adozione di nuove regole e il phase-in di quelle già decise (nell’ambito delle ultime riforme concordate dal Comitato di Basilea; con la progressiva deduzione dal capitale delle rettifiche di valore effettuate in sede di prima adozione del principio contabile IFRS 9; per il rispetto del requisito minimo di fondi propri e altre passività, MREL; con riferimento alla revisione dei modelli interni condotta dalla vigilanza unica). Si tratta di misure che sono state in parte rimandate o diluite nel tempo affinché non determinassero in questa fase effetti prociclici, ma alle quali è comunque necessario prepararsi in anticipo; da esse dipende, alla lunga, la capacità degli intermediari di resistere agli shock avversi e di contribuire al rafforzamento dell’economia.

Resta importante proseguire nell’azione di recupero di livelli di redditività che consentano di operare con successo sul mercato. I bassi tassi di interesse che prevarranno ancora a lungo, la presenza di reti di distribuzione fisica obsolete, l’adeguamento delle strutture informatiche, l’aumento della concorrenza da parte di nuovi operatori e delle grandi società tecnologiche continueranno a esercitare forti pressioni sulla redditività bancaria, che l’esperienza recente della pandemia non ha certo ridotto. Lo sviluppo del Fintech consente tanto alle banche quanto agli intermediari non bancari di rispondere con successo e reciproci benefici alle richieste della clientela. Non mancano ovviamente, al riguardo, i rischi, non solo di sicurezza informatica, che gli intermediari devono affrontare, anche interagendo con la Vigilanza.

Per cogliere queste opportunità occorrono peraltro competenze e investimenti che non sono alla portata di tutte le banche. La sfida è particolarmente difficile e urgente per quelle (spesso, ma non solo, di piccola dimensione) che già si trovavano in una situazione di debolezza prima dello scoppio della crisi o che hanno da poco avviato

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percorsi di rilancio a seguito di gravi difficoltà, percorsi resi inevitabilmente più complessi dall’attuale situazione congiunturale. Gli investimenti in tecnologia rivestono un ruolo primario. Grazie a essi è possibile gestire più efficacemente i rischi, ottimizzare i processi di produzione, offrire nuovi servizi. Sono fondamentali per ridurre i costi e perseguire una più efficiente organizzazione del lavoro. Informazioni preliminari mostrano, ad esempio, come una quota non trascurabile del calo dei costi operativi registrato nel primo semestre dell’anno sia riconducibile alla riduzione delle spese di manutenzione degli immobili e a quelle di movimento del personale; un utilizzo accorto, anche se certo non esclusivo, del lavoro cosiddetto agile e delle comunicazioni a distanza può consentire di rendere strutturale una parte di questi risparmi.

Nella loro azione le autorità di vigilanza non discriminano le banche per dimensione, forma giuridica, specializzazione, modello di attività; non nutrono “pregiudizi” nei confronti di specifiche categorie di soggetti vigilati. Gli obiettivi di rafforzamento del sistema possono essere conseguiti con configurazioni diverse. Approfondimenti tematici mostrano, ad esempio, che non esiste un unico modello di business in grado di rendere le banche più profittevoli e robuste; ciò che rileva, invece, è che esso sia sostenibile e che l’assetto del governo societario sia adeguato. La Vigilanza non auspica che tutte le banche si uniformino a un modello prevalente; ritiene anzi che la conservazione della “biodiversità” tenda a favorire la resilienza del sistema.

Le aggregazioni tra intermediari non sono un obiettivo in sé; se attuate in presenza di un solido piano industriale sono tuttavia uno dei pochi strumenti a disposizione delle banche, insieme con la creazione di consorzi e accordi tra intermediari, per aumentare l’efficienza e la possibilità di operare con successo sul mercato. Come abbiamo più volte ricordato, per molti intermediari le limitate dimensioni, insieme con la loro prevalente specializzazione, spesso non consentono di effettuare i necessari investimenti in tecnologia, innovare prodotti e processi, sfruttare economie di scala e di diversificazione. Le economie di scala sono specialmente evidenti al di sotto di una certa soglia dimensionale; negli anni recenti la loro rilevanza è aumentata a seguito delle riforme regolamentari, che hanno accresciuto i costi di compliance, e del progresso tecnologico, che obbliga le banche a effettuare investimenti cospicui, necessari anche per la sicurezza informatica.

La riforma del settore del credito cooperativo mira a contemperare le opportunità che rivengono da una dimensione ampia con l’esigenza di supportare l’economia locale; a conciliare il modello del credito cooperativo con la necessità di disporre di sufficienti livelli patrimoniali e di operare in condizioni di redditività adeguate per poter rimanere sul mercato. Restano certamente da chiarire alcuni aspetti riguardanti le modalità operative di conduzione dei controlli di vigilanza e la risolvibilità dei gruppi bancari cooperativi, in considerazione delle specificità della loro struttura e del loro modello di attività; questi temi sono all’attenzione del movimento cooperativo e delle autorità competenti.

Il processo di valutazione approfondita (comprehensive assessment) dei due nuovi gruppi cooperativi, che ha da poco preso avvio, rappresenta un passaggio fondamentale; porterà a definitivo compimento la riforma e costituirà un forte stimolo per questi gruppi a rafforzare l’integrazione tra le diverse componenti, migliorare i processi di gestione dei rischi, rendere più efficace il governo societario. Anche facendo tesoro di questa

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esperienza, il sistema delle rimanenti banche meno significative, in particolare il comparto delle piccole popolari (circa metà delle quali sono al momento oggetto di attenzione prioritaria da parte della Vigilanza), deve ricercare al proprio interno le soluzioni per una messa in sicurezza e un rilancio.

A questo riguardo si fatica a condividere prese di posizione che, invece di spingere per il rafforzamento istituzionale, organizzativo e patrimoniale degli intermediari, si limitano a esaltare i pregi del modello della piccola banca del territorio, non tenendo conto del fatto che la sua sostenibilità è oggi messa in pericolo dalle trasformazioni economiche in atto, non dalla volontà del regolatore o della Vigilanza. Considerazioni analoghe valgono anche per quelle banche di maggiori dimensioni che non hanno resistito alle difficoltà della crisi o che le hanno superate solo grazie al contributo del complesso degli altri intermediari e, nei limiti imposti dalle norme introdotte in Europa, del settore pubblico.

Un buon governo societario, indipendentemente dalle dimensioni delle banche, è un presupposto fondamentale per affrontare efficacemente e con risolutezza le sfide sulle quali mi sono soffermato. Abbiamo infatti più volte sottolineato gli effetti negativi di debolezze negli assetti di governance: scarsa dialettica all’interno dei consigli di amministrazione e assenza di effettivi contrappesi alle figure apicali; livelli di esperienza e professionalità inadeguati; presenza di conflitti di interesse; carenze dei meccanismi di pianificazione, che si riflettono in ritardi e scarsa lungimiranza delle scelte strategiche; debolezze nell’assetto dei controlli interni, in assenza di adeguate risorse e professionalità.

La normativa attribuisce un ruolo centrale alla composizione e alla qualità degli organi collegiali di amministrazione e controllo e assegna precise responsabilità alla supervisione dell’autorità di vigilanza. L’efficacia dei requisiti richiesti per ricoprire funzioni di vertice nelle banche va misurata rispetto all’obiettivo di assicurare competenze diversificate e coerenti con dimensioni, complessità, ambito di attività e profili di rischio, in un contesto che richiede conoscenze specialistiche e multidisciplinari, onorabilità e correttezza assolute, piena indipendenza di giudizio, sufficiente disponibilità di tempo per lo svolgimento dell’incarico.

L’adozione di più articolati e stringenti criteri di selezione degli esponenti aziendali è un primario interesse delle banche e dei loro azionisti, in particolare quelli privi di strumenti sufficientemente efficaci per controllare l’operato del management. La qualità della governance degli intermediari bancari rappresenta una delle priorità dell’attività di vigilanza per l’anno in corso e costituisce oggetto di specifici approfondimenti tematici che proseguiranno negli anni successivi. La prossima entrata in vigore di nuovi requisiti rappresenta quindi l’opportunità per rafforzare il governo aziendale, la sana e prudente gestione e la competitività degli intermediari, nel rispetto dei principi generali del nostro ordinamento e delle specificità nazionali. Risulteranno ampliati gli spazi di intervento del supervisore, grazie al più ampio novero di situazioni da prendere in considerazione per valutare l’idoneità degli esponenti.

Bilanci più solidi, redditività adeguata, buon governo societario non sono solo funzionali alla stabilità dei singoli intermediari e del sistema nel suo complesso. Essi sono

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necessari per tutelare il risparmio dei depositanti e di chi ha investito in obbligazioni e azioni bancarie, nonché per salvaguardare i clienti che accedono al credito. Sono, quindi, il presupposto per soddisfare con efficacia e trasparenza le esigenze finanziarie delle famiglie e delle imprese che si rivolgono alle banche e per una efficiente allocazione delle risorse. Di tutto questo vi è ancor più bisogno in questa fase non solo per rispondere agli effetti della crisi pandemica, ma soprattutto per sostenere l’uscita della nostra economia dalla stagnazione nella quale da lungo tempo si dibatte.

Si discute anche, in questi giorni, della possibilità che lo Stato intervenga nel sistema bancario assumendo direttamente la proprietà di quegli intermediari che stanno cercando di completare difficili processi di ristrutturazione e rilancio, al fine di creare un “polo bancario pubblico” che contribuisca al supporto dell’economia reale, soprattutto nel Mezzogiorno e nei confronti delle piccole imprese. La questione è complessa. Si può discutere del nesso tra la natura della proprietà e i risultati che si possono ottenere nella conduzione dell’attività di impresa, ma l’esperienza delle gestioni bancarie pubbliche si è non di rado caratterizzata per gravi inefficienze nei processi di allocazione delle risorse.

Non va dimenticato, inoltre, che più che del supporto di una grande banca pubblica l’economia italiana beneficerebbe innanzitutto di una pubblica amministrazione efficiente, di infrastrutture adeguate, di investimenti in innovazione e conoscenza. E comunque occorre soprattutto mirare a che banche che svolgono attività di natura commerciale operino al meglio sul piano organizzativo e gestionale, rispondendo con efficacia e trasparenza alla domanda di credito e di allocazione del risparmio di imprese e famiglie. Diversa è la natura, forse più complessa l’attività, di una banca pubblica di sviluppo; l’utilità di muovere in questa direzione e le modalità su come farlo andrebbero valutate con attenzione.

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Le condizioni delle banche, la loro capacità di erogare prestiti e servizi finanziari non possono non risentire dell’andamento dell’economia. Anche per questo è importante che interventi volti a promuovere il ritorno a un sentiero di crescita sostenuta, equilibrata e duratura accompagnino al più presto le misure adottate nell’emergenza per contenere le conseguenze della crisi determinata dalla pandemia.

Il programma Next Generation EU rappresenta da questo punto di vista una occasione importante, da non perdere. I benefici che l’Italia potrà trarne dipenderanno dalla capacità di proporre interventi mirati e coerenti con gli obiettivi e i requisiti del programma e di attuarli in tempi rapidi e senza sprechi. Si potranno così anche porre le condizioni per conseguire un progressivo e continuo riequilibrio dei conti pubblici, evitando che il maggiore indebitamento finisca per aggravare i problemi del Paese, anziché alleviarli.

Le banche, dal canto loro, devono proseguire con rinnovato vigore nell’azione di rafforzamento istituzionale, organizzativo e patrimoniale. Si tratta di un presupposto fondamentale per affrontare con successo le sfide poste dai cambiamenti intervenuti nei mercati, nella tecnologia e nella regolamentazione, per rispondere ai ritardi accumulati negli anni passati, aggravati oggi dal contraccolpo della crisi scatenata dalla pandemia.

 

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