E quale il cicognin che leva l’ala per voglia di volare. Articolo di Giordano Beani

Il Palazzo Berlaymont a Bruxelles sede della Commissione Europea

Il Palazzo Berlaymont a Bruxelles sede della Commissione Europea

Dante Alighieri nel Canto XXV del Purgatorio di fronte alla propria esitazione a formulare una domanda sui golosi al Duca Virgilio si paragona a un piccolo di cicogna che solleva l’ala per la voglia di volare, ma poi non si arrischia di lasciare il nido e la mette giù. Così ci sono sembrati i mercati azionari europei durante la settimana appena trascorsa, esitanti come il “cicognino” a seguire la mamma cicogna, nella nostra metafora il mercato statunitense, che invece vola impavida e mette a segno un rialzo del +3%, portando il recupero dai minimi del 23 marzo a +28,5% e riducendo il passivo da inizio anno a -11%. Ancor più vigoroso il volo del Nasdaq 100 che, seppur ancora lontano dai massimi di febbraio, è comunque tornato in territorio positivo da inizio anno, trainato dai colossi dell’online Amazon e Netflix e dalla tecnologia e biotecnologia in generale.

I mercati europei invece stentano e, nonostante un recupero del +21% dai minimi di marzo, sono ancora in negativo del -23% da inizio anno se guardiamo l’indice Eurostoxx 50, ma anche considerando il più ampio indice Stoxx 600, che comprende titoli anche non dell’Area Euro, il passivo è pur sempre del -20%. Anche nella settimana appena trascorsa i mercati europei sono risultati più esitanti ed hanno chiuso pressoché invariati, con mercati come l’Italia e la Spagna in negativo rispettivamente del -3,2% e del -2,8%.

Quali le ragioni di un tale divario di performance tra Stati Uniti ed Europa, tenendo conto che le notizie relative alla diffusione della pandemia appaiono migliori in Europa rispetto agli USA? A nostro avviso le ragioni sono di due ampie categorie, una di carattere politico-economico e l’altra più di mercato, legata alla composizione dei listini borsistici.

Gli Stati Uniti hanno affrontato con risolutezza sia gli aspetti legati alla politica fiscale, approvando un piano di interventi da 2.300 miliardi di dollari, pari a circa il 10% del Prodotto Interno Lordo (PIL), sia quelli legati alla politica monetaria con diverse decisioni di portata storica adottate dalla Federal Reserve, la Banca Centrale USA. Il Presidente della Fed Jerome Powell ha dichiarato, infatti, che il ruolo delle Banca Centrale si è allargato al di là del suo obiettivo abituale di mantenere la liquidità del sistema garantendone il funzionamento al fine di aiutare il Paese a ricevere gli aiuti economici e finanziari di cui ha bisogno per contrastare una grave emergenza sanitaria.

In Europa invece ci si muove in ordine sparso a livello di singolo Paese che, in base alla propria solidità di bilancio pubblico, mette in campo azioni robuste come quelle adottate dalla Germania, o più timide come quelle adottate sinora da alcuni Paesi dell’Europa periferica, incluso il nostro.

Manca invece ancora un coordinamento efficace a livello di Unione Europea e di Unione Monetaria Europea, con approcci agli interventi molto distanti tra Europa del Nord ed Europa del Sud. Interessante a questo proposito sarà vedere gli esiti in settimana del Consiglio Europeo, che si terrà giovedì 23 aprile, che dovrà pronunciarsi sulle proposte dell’Eurogruppo dello scorso 10 aprile, che ha raggiunto un primo accordo informale fra i ministri delle Finanze dei Paesi dell’Eurozona sui provvedimenti comunitari da adottare. A differenza dell’Eurogruppo, che è una riunione informale ed esterna alle istituzioni UE vere e proprie, è il Consiglio Europeo a riunire tutti i capi di governo degli Stati membri e a dare il vero impulso politico alle istituzioni comunitarie. Non solo ma anche in termini di politica monetaria, se è vero che la Banca Centrale Europea, dopo alcuni tentennamenti iniziali, ha virato sensibilmente di rotta mettendo in campo un arsenale di oltre 1.000 miliardi di Euro per acquistare titoli del debito pubblico e titoli corporate, non ha adottato, per ora, le misure più aggressive della Fed, come ad esempio l’acquisto dei titoli che hanno perso il merito di credito più elevato, cosiddetto “investment grade”, a causa della crisi o il finanziamento diretto alle imprese attraverso la partecipazione al mercato primario per la grandi aziende ed i prestiti concessi tramite il sistema bancario alle piccole e medie imprese.

Quanto alle ragioni più micro della differente performance sulle due sponde dell’Atlantico va evidenziato che i listini europei soffrono strutturalmente di una mancanza di società con modelli di business innovativi e sono ancora per la maggior parte composti da finanziari, industriali, petroliferi, settori questi tra i più colpiti dall’attuale crisi. Gli Stati Uniti invece hanno tutti i “campioni” dell’economia “virtuale” i cui modelli di business sono ben adatti alla situazione che stiamo vivendo, da Amazon a Netflix, ed anche nel campo biotecnologico, farmaceutico e della cura della salute in genere, tanto preziosa oggi, svettano nel panorama mondiale. Venendo al dettaglio delle variazioni dei mercati azionari internazionali nella scorsa settimana, come accennato l’indice statunitense S&P 500 è salito del +3%, nonostante l’avvio della stagione delle pubblicazioni trimestrali abbia penalizzato il settore bancario, mentre l’indice Eurostoxx 50 è rimasto pressoché invariato, nonostante la positiva seduta di venerdì. Bene anche il Giappone con un +2,85% dell’indice Nikkei 225, mentre i mercati emergenti sono saliti un po’ meno con l’indice MSCI Emerging in rialzo del +1,55% e con la Cina che chiude in rialzo del +1,9%, nonostante la pubblicazione della prima contrazione del PIL da quando si registrano i dati trimestrali, cioè dal 1992, con una caduta anno su anno del -6,8%.

Per quanto riguarda i mercati obbligazionari internazionali continua la normalizzazione degli spread sul mercato corporate e high yield (alto rendimento), mentre sulle curve governative si è assistito ad una discesa dei rendimenti sia sul decennale USA con il Treasury che ha visto il proprio rendimento scendere di 8 punti base a +0,64% sia sul Bund decennale con una discesa di 12 punti base a -0,47%. In allargamento invece il nostro spread con la Germania di 32 punti base a 226 punti base, in seguito al dibattito politico interno sull’utilizzo del Meccanismo di Stabilità Europea, che vede la maggioranza di Governo divisa con il Partito Democratico favorevole ed il Movimento 5 Stelle contrario. Curioso il fatto che anche l’opposizione sia divisa sul tema con la Lega e Fratelli d’Italia fortemente contrari al MES e Forza Italia favorevole a patto che siano ben chiarite in Consiglio Europeo le condizionalità dell’accesso al finanziamento del MES. Quanto alle materie prime il petrolio è tornato a scendere con il Brent che ha perso il -10,8% a 28,1 dollari al barile, affossato dai timori di un collasso della domanda, che hanno più che compensato la buona notizia del fine settimana precedente dell’accordo raggiunto dall’OPEC+ sui tagli alla produzione. L’oro ha chiuso invece invariato a 1.687 dollari l’oncia con un andamento altalenante in settimana.

Infine, per quanto riguarda le divise internazionali il dollaro USA si apprezza del +0,6% sull’Euro a 1,087, mostrando un’elevata volatilità giornaliera, ma in una forchetta ristretta.

In conclusione, i mercati azionari, con in testa gli Stati Uniti, sembrano avere una gran voglia di volare, nonostante i dati macro continuino a registrare la più grande recessione economica dagli anni ’30 del secolo scorso e permangano ancora molte incertezze con riferimento alla cosiddetta fase due sia in termini di tempi sia di modalità di riapertura progressiva delle attività. In questo contesto la prudenza rimane d’obbligo e non ci sentiamo di biasimare “il cicognin che leva l’ala per voglia di volare, e non s’attenta d’abbandonar lo nido, e giù la cala”.

Giordano Beani, Head of Multi-Asset Fund Solutions Italy Amundi SGR

 

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