Unigestion. Il rischio liquidità si è attenuato, ma lo shock macroeconomico sarà profondo

La Borsa di Wall Street a New York

La Borsa di Wall Street a New York

Come per ogni shock economico, la correzione del mercato è stata significativa nel mese di marzo. Le azioni dei Paesi sviluppati (MSCI World) sono scese del 13% nel corso del mese, mentre quelle dei Paesi emergenti del 15,6% (MSCI EM). Questi cali, consistenti su base mensile, si aggiungono a un febbraio già ribassista (tra -8% e -12% a seconda del Paese) che ha dato luogo ad uno dei peggiori trimestri della storia per i mercati azionari. L’MSCI World è così sceso del 21% nei primi tre mesi dell’anno, il terzo peggior rendimento trimestrale dopo quello del quarto trimestre 2008 (-22%) e del secondo trimestre 1974 (-23%). Il paragone tra marzo 2020 e l’ottobre 2008 evidenzia più differenze che similitudini. La caratteristica più distintiva è la portata della “corsa alla liquidità” di marzo, che potrebbe anche essere definita la “Grande Crisi di Liquidità”. La combinazione di bassa volatilità e bassi tassi di interesse aveva portato gli operatori finanziari ad aumentare la leva nei loro portafogli al fine di mantenere lo stesso livello di rendimento assoluto del passato, nonostante i minori ritorni di cassa. La ripartizione dei rendimenti dell’S&P500 nel lungo termine è un perfetto esempio dell’uso dell’ingegneria finanziaria dal 2010. Tra il 1970 e il 2010, i rendimenti totali delle azioni statunitensi sono stati in media dell’8,9%, molto simili all’11,5% registrato per il decennio 2010-2019. Tuttavia, i rendimenti in eccesso rispetto al cash sono stati sostanzialmente più elevati nell’ultimo decennio (10,9%), rispetto al precedente periodo 1970-2010 (2,9%). Quando il prezzo degli asset sottostanti si è fortemente ridotto, questo uso della leva si è rivelato distruttivo, in quanto ha generato vendite massicce con il solo scopo di aumentare il cash all’interno dei portafogli.

Questo a sua volta ha creato uno shock di correlazione, riducendo i benefici della diversificazione e aumentando la necessità di liquidare, in quanto nessun asset difensivo (oro, FX difensivo) ha compensato le enormi perdite subite dagli asset rischiosi.

Questo loop negativo di feedback ha raggiunto una velocità e una scala senza precedenti, causando una dislocazione in asset solitamente considerati liquidi, aumentando lo spread tra i prezzi di domanda e offerta e prosciugando i volumi disponibili per un dato livello di prezzo. I mercati obbligazionari hanno subito un duro colpo in quanto hanno dovuto affrontare massicci deflussi in un periodo di tempo molto breve. Come sottolineato da uno studio della BRI, il mercato obbligazionario era al centro di questa catena infernale di eventi. Mentre nell’ottobre 2008 i Barclays Global Treasuries hanno guadagnato lo 0,8%, lo stesso indice è sceso di -0,1% nel marzo 2020. Lo stesso vale per le obbligazioni di IG Credit, con l’indice Barclays Global Corporate in calo del -6% di marzo contro il -3,8% dell’ottobre 2008.

Di fronte al rischio di una massiccia liquidazione di tutti gli asset da parte di tutti gli investitori, le Banche Centrali sono intervenute molto rapidamente e con risorse nettamente superiori rispetto al 2008. Nel giro di pochi giorni, la Fed e la BCE hanno aumentato la loro capacità di acquisto di asset sia in termini di dimensioni di bilancio che di eleggibilità, diventando così i principali fornitori di liquidità per i mercati dei titoli di Stato e dei titoli di credito IG. Il bilancio della Fed è aumentato di oltre 1.500 miliardi di dollari in sole due settimane e rappresenta oggi oltre il 25% del Pil statunitense. Queste misure hanno effettivamente ridotto il rischio di liquidità e hanno dimostrato che le Banche Centrali avrebbero fatto di tutto per evitare di aggiungere il rischio sistemico ad una crisi economica. La stabilizzazione di alcuni spread interbancari riflette una significativa riduzione di tale rischio, così come il ritorno del nostro Market Stress Nowcaster a livelli inferiori a quelli osservati a metà mese. Dopo aver salvato i mercati finanziari con la cosiddetta “Fed put”, le Banche Centrali sono ora il prestatore di ultima istanza per l’intera economia, attuando il principio dell’”Helicopter Money” ideato da Milton Friedman e Ben Bernanke. Tuttavia, anche se il rischio di una massiccia “corsa alla liquidità” sembra essersi attenuato grazie a questi enormi interventi monetari, le ripercussioni macroeconomiche saranno profonde.

Le recessioni sono caratterizzate da due dimensioni: globalità e durata. Raramente nella storia economica uno shock ha paralizzato l’economia globale con questa velocità e su questa scala. Nel 2008 o nel 2001, alcune aree o settori sono stati colpiti solo in minima parte dalla crisi finanziaria e immobiliare. Non è così attualmente, dato che la maggior parte dei settori ha visto la propria attività ridursi del 50-90%. Storicamente, lo shock colpisce un settore (petrolio nel ’74, tecnologia nel 2001, finanza e real estate nel 2007-2008) per poi diffondersi al resto dell’economia attraverso un aumento della disoccupazione, creando un calo della domanda. Queste relazioni richiedono tempo e permettono un graduale adeguamento del resto dell’economia attraverso la riduzione degli investimenti e della capacità produttiva. Nel 2007-2008, il tasso di disoccupazione americano era già aumentato di 2 punti quando la crisi finanziaria colpì. Il picco del 10% di disoccupazione è stato raggiunto nell’ottobre 2009, più di due anni dopo il minimo del 4,4% osservato nell’aprile 2007. La situazione è oggi molto diversa, come dimostra il balzo di 10 milioni di disoccupati settimanali. Questo aumento, rilevato in sole due settimane, rappresenta il 6% dei posti di lavoro americani.

Storicamente, ogni recessione ha portato ad un aggiustamento al ribasso della redditività delle aziende. In media, la crescita dei profitti durante le recessioni è stata compresa tra -15% e -25% a seconda del periodo e delle zone economiche. Le nostre analisi mostrano un rapporto tra 5 (durante una crescita costante) e 7 (in una recessione) tra la variazione del Pil e la variazione dei profitti a lungo termine. Una contrazione delle attività del 4% in Europa e del 3% negli Stati Uniti nel 2020, come indicato dai nostri Growth Nowcaster, dovrebbe portare ad una significativa revisione della crescita dei profitti di un valore compreso tra il -25% e il -30% in Europa e almeno il -20% negli Stati Uniti. Ad oggi, le previsioni degli analisti per il 2020 sono molto più moderate, con l’Europa e gli Stati Uniti che dovrebbero subire una contrazione solo dell’8% e del 5% rispettivamente. Anche se la contrazione della c.d. crescita dei guadagni impliciti, contenuta nei prezzi, mostrasse cifre superiori a quelle degli analisti, l’ordine di grandezza sarebbe di gran lunga inferiore a quelli osservati in media durante una recessione.

Cosa prevedono i mercati. Una delle ragioni che potrebbero spiegare questa correzione più blanda attesa dagli analisti e dai mercati deriva dalla seconda dimensione che caratterizza una recessione: la sua durata. Il consenso degli economisti e il “pricing attuale” dei mercati azionari e ad alto rendimento anticipano una breve recessione, intorno ai due trimestri, con un rapido ritorno alla normalità (già nel quarto trimestre del 2020). Lo stimolo fiscale senza precedenti, pari a circa il 10% del Pil per la maggior parte dei Paesi coinvolti, creato per attenuare gli effetti negativi, è un elemento importante per sostenere l’idea di una ripresa a V o a U. Questa aspettativa di uno shock a breve termine spiega perché, rispetto alle precedenti contrazioni, l’aggiustamento al ribasso degli indici azionari e degli spread creditizi rimane molto più contenuto rispetto a shock economici simili. Se la durata della flessione fosse davvero così breve, sarebbe un unicum nella storia dell’economia. La storia dimostra che un “ritorno alla normalità” dopo la recessione richiede molto più di due trimestri. Ad esempio, l’indice ISM non manifatturiero è rimasto più di un anno, dalla fine del 2008 alla fine del 2009, al di sotto dei 50 punti, la soglia che indica una contrazione. Il Pil USA si è contratto durante 5 trimestri tra il 2007 e il 2009, tornando ad un tasso vicino al suo potenziale solo nell’ultimo trimestre del 2009. Anche la recessione europea del 2011-2012 sottolinea quanto tempo ci vuole per tornare alla normalità. L’attività europea ha subito una contrazione per sei trimestri consecutivi prima di risalire nel 2013.

Cosa ne pensiamo noi. Puntare su un recupero rapido e deciso è una scommessa pericolosa. Si sottovaluterebbero così due elementi chiave: 1) Gli “spillover”, accentuati dalle crescenti interdipendenze tra economie e settori. Se il periodo minimo di lockdown è di 6 settimane, ma c’è un divario di 8 settimane tra i primi Paesi che lo impongono e l’ultimo Paese colpito, questo aumenta significativamente il periodo di inefficienza dell’economia mondiale basata sul commercio e sulla mobilità delle merci e delle persone. 2) Le imprese di minori dimensioni, cioè la parte sommersa dell’iceberg, non sono rappresentate negli indici azionari o creditizi mondiali. Poiché non hanno lo stesso accesso ai finanziamenti e sono meno diversificate delle grandi imprese, le piccole imprese sono più esposte al rallentamento economico e al lockdown.

Riteniamo quindi che sia prematuro prevedere ora una rapida uscita dalla crisi e che l’economia tornerà immediatamente al suo potenziale. Inoltre, sia i nostri Nowcaster che i Newscaster evidenziano un elevato rischio di recessione. Storicamente, la durata del segnale di recessione fornito dal Growth Nowcaster è stata di 8 mesi. Durante questi periodi, la performance media dei titoli osservata dal 1985 è stata negativa (in media -10 %) e lo spread dei titoli ad alto rendimento è aumentato in media di 250 punti base. Riteniamo pertanto che gli asset rischiosi continueranno ad adeguarsi al ribasso man mano che il deterioramento della situazione si concretizzerà nei dati macroeconomici e nei report sugli utili aziendali. Sebbene il rischio di liquidazione globale sia stato ridotto grazie agli interventi delle Banche Centrali, la gestione del rischio macroeconomico rimane. A marzo i mercati sono stati trainati dal “rischio di liquidità”; nelle prossime settimane saranno trainati dal “rischio di profittabilità”. Il pricing di una significativa recessione dei mercati è ancora assente. Questo ci incoraggia a rimanere sulla difensiva e a cercare solo le opportunità più interessanti che potrebbero beneficiare direttamente del sostegno fiscale e monetario (ad esempio, il credito investment grade statunitense sostenuto dal programma di acquisto di obbligazioni societarie della Fed). Infine, stiamo monitorando attentamente la liquidità sui mercati finanziari, poiché una stretta sulla liquidità potrebbe innescare un’altra grave flessione dei mercati.

 

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