Capital Group. “Ci siamo già passati” nell’attuale fase di volatilità. Commento di Martin Romo

Wall Street

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Si tratta dell’ennesimo déjà vu. L’epidemia di coronavirus, il conseguente rallentamento economico e la violenta reazione di mercato hanno indotto molte persone a guardare con sospetto agli investimenti. L’ultima volta che è successa una cosa simile è stato durante la Grande recessione. Nel tempo, e col tempo, i mercati finanziari hanno dimostrato una straordinaria capacità di anticipare un futuro migliore anche nel mezzo di notizie orrende. La rapidità e la gravità dell’attuale epidemia di Covid-19, unitamente alle enormi conseguenze comportamentali ed economiche, per non parlare della perdita di vite umane, metteranno sicuramente alla prova la determinazione dei mercati. Il ritmo è molto più serrato rispetto alla crisi finanziaria globale, durata 18 mesi dal picco al minimo.

Stiamo navigando in acque inesplorate. La paura è tanta. È stato proprio nel mezzo di uno scenario così fosco che i mercati hanno invertito rotta. Questa volta, è difficile dire quando si verificherà l’inversione di tendenza.

Ma sapere che prima o poi i mercati si riprenderanno dovrebbe fornire conforto.

Nel novembre del 1974, erano in pochi a pensare che fosse il momento buono per investire. L’indice Dow Jones aveva perso più del 40% dal picco di gennaio 1973. Nella lettera dell’ex Presidente di Capital Group Jim Fullerton, viene citato un periodo ancora più buio nella storia degli Stati Uniti: l’aprile del 1942. Ecco le sue parole. «Coraggio! Ci siamo già passati»

Uno dei motivi per cui osserviamo un tale livello di pessimismo, sconforto, confusione e angoscia nelle menti di intermediari e investitori è che molte persone non hanno mai vissuto niente che possa somigliare all’attuale flessione dei mercati. Il nostro messaggio a tutti voi è dunque: Coraggio! Ci siamo già passati. È già successo che le fasi ribassiste durassero così tanto. I fondi comuni ben gestiti hanno già superato prove come questa e i loro azionisti e gli operatori di settore sono sopravvissuti e prosperati.

Non so se abbiamo raggiunto il minimo assoluto di questa protratta fase ribassista (mentre crediamo che molti titoli abbiano già toccato il fondo).

Ogni crisi economica, di mercato e finanziaria è diversa da quella precedente. Ma tutte hanno qualcosa in comune: ognuna è caratterizzata da un insieme specifico di fattori non ricorrenti, un insieme specifico di problemi apparentemente irrisolvibili e un insieme specifico di motivi apparentemente logici per cui ha senso essere pessimisti circa il futuro.

Oggi siamo economisti, banchieri, investitori e imprenditori sagaci, esperti e rispettati, in grado di spiegarvi in maniera articolata, logica e documentata perché questa fase ribassista è diversa, perché questa volta i problemi economici sono diversi, perché questa volta le cose peggioreranno e, pertanto, perché questo non è un buon momento per investire in azioni ordinarie, benché possano apparire scontate. L’opinione prevalente in questo momento è che le incertezze sono troppo numerose e inquietanti e i problemi che dobbiamo affrontare così smisurati, sia nel breve che nel lungo termine, da poter far sperare solo in una ripresa effimera fino a che almeno alcune di tali incognite non saranno state risolte. È una partita mai giocata prima.

Nell’aprile 1942 l’inflazione dilagava. Un bollettino della Federal Reserve recitava: «Gli aumenti dei prezzi generali sono diventati una grave minaccia alla produzione efficiente di materiali bellici e alla stabilità dell’economia nazionale.» Oggi a preoccupare è la frenata dell’edilizia residenziale. L’8 aprile 1942 l’articolo principale del Journal titolava: «Edilizia residenziale. Nettamente indietro rispetto allo scorso anno. Le nuove restrizioni di questa settimana causeranno un’ulteriore frenata…Costruttori privati gravemente colpiti.».

Oggi quasi tutte le riviste e i commenti finanziari elencano i motivi per cui gli investitori sono fermi nelle retrovie. Tra questi figurano: 1) la continua inflazione, 2) l’illiquidità del sistema bancario, 3) le carenze energetiche, 4) il potenziale scoppio di nuove ostilità in Medio Oriente e 5) i tassi d’interesse elevati. Sono tutti problemi molto seri.

Eppure, il 28 aprile 1942, in quello scenario cupo e nel bel mezzo di una guerra che stavamo perdendo, dinanzi alla prospettiva di tasse sugli utili in eccesso e di controlli su stipendi e prezzi, dinanzi alla mancanza di benzina, gomma e altre materie prime fondamentali, e con la certezza matematica che una volta finita la guerra saremmo entrati in una fase di depressione post-bellica, il mercato ha invertito rotta.

Semplicemente il ritorno alla realtà. Semplicemente la lenta ma graduale ammissione che malgrado tutte le cattive notizie, malgrado le prospettive fosche, gli Stati Uniti sarebbero sopravvissuti, e con loro le imprese americane ben finanziate e ben gestite. La realtà era che quelle aziende valevano molto di più di quanto indicassero le quotazioni di borsa delle loro azioni. E così, il 29 aprile 1943, senza nessuna ragione apparente, gli investitori tornarono a riconoscere la realtà.

Il Dow Jones Industrial Average non è la realtà. I rapporti prezzo/utili e gli studi tecnici di mercato non sono la realtà. I simboli sul nastro non sono il mondo reale. Nel mondo reale, le società creano ricchezza. I certificati azionari no. Sono semplicemente surrogati di realtà.

Martin Romo Gestore di portafogli azionari di Capital Group

 

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