Invesco. Usa. Impatto del coronavirus e reazione

Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e il Governatore della Federal Reserve, Jerome Powell

Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e il Governatore della Federal Reserve, Jerome Powell

Qual è il potenziale impatto negativo sul PIL USA? È evidente che la “cura” per la diffusione del coronavirus consiste in distanziamento sociale e isolamento. Di conseguenza, lo shock globale a livello di domanda sarà imponente e non ne conosceremo l’entità fino a quando il numero di nuovi casi al di fuori della Cina smette di aumentare. Pur avendo apparentemente arrestato la diffusione del virus, le misure draconiane attuate dalle autorità cinesi hanno determinato cali quasi del 20% delle vendite al dettaglio e della produzione industriale nel primo trimestre dell’anno. Il danno per l’economia statunitense sarà altrettanto devastante, se non peggiore, in funzione della durata degli shutdown. Fortunatamente sembra che l’attività economica cinese sia in via di ripresa. La perdita finale effettiva dell’attività economica statunitense sarà difficile da stimare con precisione. Si fa rilevare che circa il 50% dell’economia statunitense dipende da consumi non legati all’assistenza sanitaria. Settori come merci in generale e dettaglio, spettacolo e intrattenimento rappresentano oltre 2 trilioni di dollari USA della produzione economica statunitense, il che significa che intorno al 10% dell’economia avrà un’attività limitata per settimane, se non più a lungo. Per esempio, le prenotazioni a ristoranti USA sono diminuite del 56% rispetto a 12 mesi fa (la percentuale è identica in tutto il mondo). Le richieste di sussidi di disoccupazione sono già in rapido aumento e destinate a toccare massimi storici. Nei prossimi due trimestri si registreranno probabilmente flessioni dell’attività economica a livello globale, come non abbiamo mai visto prima, nemmeno durante la crisi finanziaria globale del 2008.

La questione non è più se vi sarà una recessione, bensì l’entità e la durata della recessione. I decisori politici continueranno a lavorare per supportare il sistema finanziario globale e fornire sostegno emergenziale a famiglie, imprese e comunità.

Continuiamo a credere fiduciosi nel fatto che l’accumulo della domanda latente in questo periodo protratto di distanziamento sociale, sia destinato a supportare la crescita nella seconda parte dell’anno, posto che il contenimento del virus abbia successo. Tuttavia, moderiamo le nostre aspettative di ripresa perché ci aspettiamo ripercussioni sui consumi futuri a causa dell’aumento dei lavoratori in congedo o disoccupati. In sostanza, tendiamo ad aspettarci una profonda contrazione della crescita economica statunitense nei prossimi due trimestri, seguita da una ripresa economica alimentata dalla domanda latente (tanto maggiori gli stimoli fiscali, quanto più intensa la ripresa economica; tanto minori gli stimoli fiscali, quanto più modesta la ripresa economica). Fortunatamente per gli investitori, la storia insegna che i mercati finanziari toccano il punto più basso quattro mesi prima del minimo dell’attività economica.

Brian Levitt (New York), Global Market Strategist – North America

Quali indicatori tecnici possono aiutare a determinare se i mercati azionari hanno toccato il minimo?

Per chi si occupa di strategie di mercato, l’interrogativo sull’eventualità di una recessione è puramente accademico. Alcuni segmenti di mercato stanno comportandosi come se l’economia fosse già in contrazione (p.es. l’indice S&P 500 ha perso quasi il 30% rispetto al massimo storico di febbraio), il che significa che gran parte dell’imminente danno fondamentale viene scontato.

In un contesto di mercati azionari difficile come quello odierno, l’analisi tecnica può sicuramente aiutare a definire le tempistiche di importanti punti di svolta dei mercati prima dei dati economici. Sebbene non siano da considerarsi esaustivi, di seguito sono riportati quattro utili indicatori di posizionamento e sentiment da tenere sotto controllo:

  1. L’indice di volatilità del Chicago Board Options Exchange (CBOE) (VIX) – il cosiddetto “indice della paura” degli investitori – ha registrato l’aumento percentuale storicamente maggiore, il che è positivo in un’ottica controcorrente. Dal 2008, abbiamo osservato quattro picchi di volatilità azionaria al di sopra del 70%. Il dato incoraggiante è che i rendimenti a 12 mesi sono stati positivi in ciascun episodio (esclusa l’attuale esperienza), con un rendimento mediano dell’8%.
  2. La percentuale di azioni quotate al New York Stock Exchange (NYSE) al di sopra della rispettiva media mobile a 200 giorni – una misura di ampiezza, o una relativa mancanza in questo caso – è erosa, la qual cosa è anch’essa positiva. In effetti, una percentuale estremamente bassa può rispecchiare un imminente apice delle vendite.
  3. Il rapporto put-call – una misura del rapporto tra investitori ribassisti e rialzisti – ha toccato il massimo dal 2008, al culmine della Grande Recessione e della crisi finanziaria globale. Storicamente, un pessimismo soverchiante come l’attuale si è osservato nell’imminenza di storici minimi di mercato.
  4. L’Investors Intelligence Advisors’ Sentiment Report – specificamente la percentuale di consulenti ribassisti al netto della percentuale dei rialzisti – sta per invertirsi, ma non l’ha ancora fatto. In altre parole, vi è ancora un numero di intervistati ottimisti leggermente più elevato rispetto ai pessimisti e preferiremmo osservare una prevalenza di ribassisti sul mercato.

In conclusione, il caos a breve termine può creare opportunità a lungo termine per gli investitori pazienti.

Cominciamo a intravedere il genere di angoscia che uccide mercati rialzisti vecchi e dà alla luce nuovi mercati.

A titolo di chiarimento, ricordiamo che il bottoming è un processo e l’incertezza legata al virus potrebbe continuare a gravare fino a quando il numero di nuovi casi al di fuori della Cina raggiunga il massimo e/o le risposte fiscali siano coordinate ed energiche.

Tuttavia, le indicazioni di eccessiva prudenza sul mercato dovrebbero indurre gli investitori accorti a cominciare a ricercare opportunità per operare in controtendenza, mentre gli altri sono in preda alla paura.

Talley Leger (New York) Investment Strategist

Cosa ci indica il mercato obbligazionario USA?

Durante la recente flessione, Treasury, commercial paper, bond municipali, credito investment grade e high yield hanno evidenziato segnali significativi di stress sistemico, analoghi a quelli del 2008. In questo clima di turbolenza, gli spread denaro-lettera hanno raggiunto livelli non osservati dal 2008-2009. Tuttavia, riteniamo che i fondamentali del mercato obbligazionario USA non siano compromessi. L’attuale volatilità è probabilmente riconducibile più a una riduzione dei magazzini degli operatori e alla pesante pressione a vendere, che a un degrado del mercato. Vengono ancora completate nuove operazioni e negoziazioni.

Le misure intraprese dalla Fed e dal governo federale per evitare che una crisi di liquidità si trasformi in un problema di insolvenza sono state e saranno fondamentali. La serie di programmi di recente lanciati dalla Fed dovrebbe favorire la liquidità mediante acquisti o stabilizzazione di Treasury, titoli garantiti da ipoteca (MBS) e commercial paper, nonché fornendo enormi volumi di liquidità overnight e supporto al sistema bancario. L’ambito delle ulteriori misure della Fed in futuro (seppure oggi al di fuori del suo mandato) potrebbe contemplare anche interventi sul mercato investment grade o anche dei bond municipali.

Gli spread sono ampi in termini storici e il credito societario USA investment grade appare pertanto interessante rispetto all’high yield statunitense, in considerazione del maggiore livello di flessibilità e stabilità finanziaria intrinseche in molti emittenti di alta qualità. La minore ponderazione del credito investment grade sull’energia (intorno al 3% rispetto al 12% dell’high yield) rappresenta un vantaggio aggiuntivo perché il basso prezzo del petrolio graverà in misura significativa su tali titoli di credito. Tuttavia, la ponderazione delle obbligazioni emesse da società energetiche nel mercato high yield è inferiore in rapporto al 2014, quando costituiva quasi il 18% del mercato.

A parte i Treasury, che da inizio anno sono saliti del 5,2%, l’obbligazionario USA ha registrato scarsi rendimenti positivi. I titoli garantiti da ipoteca (MBS) e da attività (ABS) sono su posizioni pressoché invariate da inizio anno (rispettivamente 0,1% e -0,2%). Le obbligazioni societarie sono scese del 10,0% e le high yield del 17,6%. Le emissioni municipali investment grade hanno ceduto il 5,2% e le high yield il 13,5%. Le correlazioni dei rendimenti sono aumentate nella maggior parte delle asset class con le azioni.

In un contesto di tensioni e turbative intensificate, un aumento dei default è praticamente assicurato a questo punto. I titoli di alta qualità hanno probabilmente maggiori capacità di assorbire gli incombenti contraccolpi finanziari. L’elevato volume di obbligazioni BBB (che rappresentano intorno a 2,4 trilioni di dollari USA dei circa 6 trilioni di dollari USA dell’universo investment grade statunitense) subirà con ogni probabilità alcuni declassamenti (“crossover”) a mano a mano che questa crisi procede. Secondo le nostre previsioni, questi sommovimenti non annienteranno l’universo high yield, ma dovrebbero essere valutati di caso in caso, soprattutto con un forte supporto politico. Molti (ma non tutti gli) emittenti BBB hanno spazi finanziari per attuare misure allo scopo di mantenere tale rating, anche nella crisi in atto ed evitare così una serie più ampia di declassamenti.

Anche se la volatilità che ha caratterizzato i mercati nelle ultime settimane è destinata a persistere nell’imminente recessione, riteniamo che questo evento offra gli investitori l’opportunità di valutare sconti e solidi fondamentali.

Tim Horsburgh (New York) CFA Investment Strategist North America

 

 

 

 

 

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