Mirabaud. È il momento per il Tesoro Usa di emettere titoli a 100 anni? Articolo di John Plassard

BONDL’entità di alcuni dei piani per la ripresa economica annunciati da molti governi per combattere gli effetti negativi del coronavirus è epocale. Queste misure eccezionali sono necessarie e ridurranno la durata della (molto probabile) recessione globale. Rimangono ancora molti interrogativi, in particolare su come ridurre in sostanza i deficit dei Paesi colpiti dalla malattia. Una soluzione sarebbe quella di emettere obbligazioni sovrane con scadenze molto lunghe… Gli Stati Uniti hanno già un deficit enorme. Il coronavirus peggiorerà seriamente la situazione e costringerà il Dipartimento del Tesoro a emettere presto bond con scadenza a 20 anni (l’ultima volta è successo nel 1986), 50 anni o addirittura 100 anni, sia per suscitare l’interesse degli investitori nel debito pubblico, sia come mezzo per finanziare il deficit crescente approfittando di tassi di interesse storicamente bassi. La questione non è nuova, ma oggi è ancor più rilevante.

A metà gennaio 2020, poco prima dell’arrivo del coronavirus negli Stati Uniti, il Dipartimento del Tesoro aveva annunciato che il deficit di bilancio USA aveva superato la soglia dei mille miliardi di dollari per il 2019, la prima volta dal 2012. Un deficit che ha raggiunto per l’esattezza 1,02 mila miliardi di dollari nell’anno fiscale da gennaio a dicembre 2019, che corrisponde più concretamente ad un aumento del 17,1% rispetto all’anno precedente (che aveva visto un incremento del 28% del deficit rispetto al 2017). L’aumento del gettito d’imposta proveniente dalle imprese aveva contribuito a ridurre il divario in relazione alle spese.

Donald Trump era ovviamente convinto che la sua strategia, in particolare la deregolamentazione e la massiccia riduzione delle imposte sulle società, avrebbe contribuito a contenere la crescita ed il valore del debito. Ma è accaduto il contrario, e i deficit sono in crescita, così come il debito a livello nazionale, che a fine gennaio era valutato a più di 23,2 mila miliardi di dollari. Gli effetti del coronavirus dovrebbero “spingere” ulteriormente le cifre del 2020.

Sono passati tre anni da quando il Segretario del Tesoro statunitense Steven Mnuchin ha chiesto al suo staff di esplorare la praticabilità dell’emissione di titoli di debito con una scadenza a 50 anni o addirittura a 100, in modo che il governo statunitense potesse emetterli abbastanza rapidamente.

L’idea di bond a lunghissimo termine era stata sollevata durante l’amministrazione Obama, ma non è andata oltre la fase di progetto, soprattutto a causa di considerazioni politiche.

Anche il recente calo nei rendimenti dei Treasury (rendimenti a 10 e 30 anni ai minimi storici) sta incoraggiando l’inclinazione del governo statunitense verso prestiti a lunghissimo termine. Gli Stati Uniti non sono i soli a prendere in considerazione l’emissione di debito governativo a lunghissimo termine. Diversi paesi hanno già fatto questo passo. Nel settembre 2017 l’Austria ha accolto il successo di uno storico prestito a 100 anni, un termine eccezionalmente lungo reso interessante dai tassi d’interesse bassi sulle scadenze più brevi.

Nel marzo 2014, il Messico ha approfittato di venti favorevoli per lanciare un prestito obbligazionario a 100 anni. Il Paese ha raccolto 1 miliardo di sterline (valuta scelta per la raccolta di questo debito) dagli investitori, a un tasso del 5,75%. Non si trattava della prima emissione centenaria del Paese: il Messico aveva già emesso titoli in dollari a 100 anni. A giugno 2017 persino l’Argentina era riuscita a emettere questa tipologia di buoni, per circa 3 miliardi di dollari, nonostante fosse stata inadempiente otto volte dal 1816.

In un contesto di tassi di interesse molto bassi, legato ai rischi di rallentamento della crescita globale e alla vigilia di una recessione, gli investitori sono alla ricerca di migliori tassi di rendimento, ovvero di scadenze più lunghe, che pagano di più per compensare il rischio che comportano.

Questa è anche una buona operazione per il governo che li emette, che assicura per il prestito un tasso basso per un periodo eccezionalmente lungo, ottenendo così dei risparmi per quanto riguarda il servizio del debito.

Inoltre, le obbligazioni a 50 e 100 anni consentirebbero ulteriori prestiti senza esercitare una pressione al rialzo sui rendimenti di altri titoli popolari, emessi a 30, 10 o 5 anni.

Con rating Aa1 / AA +, gli Stati Uniti offrono un profilo più attraente per i gestori rispetto ad altri Paesi. E, in un mondo di tassi negativi sempre più comuni, ricevere un importo positivo ogni anno sembra giustificare l’assunzione di un rischio su scadenze così lunghe.

Spesso ci si chiede chi siano gli acquirenti di questo tipo di obbligazioni. Ci sono diverse risposte a questa domanda. In primo luogo, la maggior parte del denaro proviene dai fondi che gestiscono le pensioni dei Paesi che hanno adottato il sistema pensionistico a capitalizzazione, tra cui Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna.

Il denaro proviene anche dalle banche centrali che investono le loro riserve e dalle compagnie di assicurazione. Gli investimenti da parte di singoli individui sono marginali.

Quando si tratta di titoli di questo tipo, sorgono anche alcune questioni delicate, in particolare:

•Chi può dire oggi cosa succederà tra 100 anni alle valute in cui questi debiti sono denominati?

•E se il Paese dovesse fallire nei prossimi 100 anni?

•Come reagiranno questi titoli se l’inflazione (o addirittura l’iperinflazione) ritornerà nei prossimi anni? Dovrebbe essere indicizzati all’aumento dei prezzi?

•Quanti titoli andrebbero emessi?  È necessario emetterne abbastanza per garantire la liquidità, ma non così tanti da rischiare di essere lasciati “con il cerino in mano” se le obbligazioni non dovessero avere successo

Il potenziale collocamento di obbligazioni sovrane USA a 50 o 100 anni ha sempre più senso. Prima di tutto per investitori in cerca di rendimenti, anche se ridotti, e di sicurezza. Ma anche come modo per ridurre il debito, difficile da prevedere nel tempo, del Paese.

John Plassard, Investment Specialist del Gruppo Mirabaud

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