AXA IM. Italia: equilibrio stabile? Commento di Alessandro Tentori

Il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte assieme al ministero dell'Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri

Il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte assieme al ministero dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri

Nelle sue stime economiche invernali, la Commissione ha limato la crescita annua dell’Italia da +0.4% a +0.3% nel 2020 e da +0.7% a +0.6% nel 2021. Il profilo del PIL a livello di Zona Euro è invece rimasto invariato a +1.2% per il biennio. Ovviamente, queste stime non tengono conto degli effetti del probabile rallentamento economico della Cina, che potrebbero avere ripercussioni cicliche molto importanti. Va ricordato che la Cina è altamente integrata nel network commerciale e finanziario globale, situazione molto differente dal novembre 2002 (comparsa della SARS).

Rimane quindi un quadro congiunturale Italiano abbastanza deludente, ma il problema a mio avviso è la carenza di crescita strutturale. Il potenziale di crescita di una economia è una funzione di tre fattori: lavoro, capitale e tecnologia. Non mi soffermo sulla traiettoria demografica e in particolare sulla popolazione in età da lavoro, che come in altri paesi – si guardi per esempio alla Germania – avrà un contributo negativo al PIL potenziale nell’immediato futuro. Consentitemi invece di insistere sulla carenza strutturale di investimenti. Gli investimenti (in % del PIL) siano rimbalzati dopo la Grande Crisi finanziaria in tutte le economie avanzate censite dal Fondo Monetario Internazionale. In alcuni paesi, in Germania per esempio, ci troviamo a livelli addirittura più alti del decennio 1999-2008. In Italia, invece, gli investimenti si attestano al 17.5% del PIL, cioè 4 punti percentuali sotto il livello del decennio 1999-2008.
Il debito pubblico è aumentato di quasi un punto percentuale nel quinquennio 2015-2019 e viene stimato dalla Commissione Europea a 136.2% del PIL nel 2019. Senza entrare nel merito del programma economico dei vari governi che si sono passati il testimone nell’ultimo decennio, vorrei però evidenziare come la carenza strutturale di inflazione e di crescita siano un problema per la traiettoria del debito pubblico. Mantenendo costanti il costo del debito (3.5% del PIL) e l’avanzo primario (1.3% del PIL), sia il PIL che l’inflazione devono accelerare all’1.1% per mantenere il rapporto debito/PIL costante ai livelli attuali. L’accelerazione del PIL sarebbe peraltro sorprendente in un contesto di crescita potenziale stimata a +0.5% e di crescente incertezza congiunturale proveniente dalla Cina.

Ovviamente, il fattore “costo del debito” va tenuto in considerazione: La Bce continua gli acquisti di obbligazioni nell’ambito del PSPP e la graduale riduzione dello yield sulla curva dei BTP abbassa anno dopo anno il costo del debito, riducendo così la necessità di crescere o inflazionare l’economia per mantenere costante il rapporto debito/PIL. Sottolineo ancora una volta “mantenere costante”. Si apre quindi una discussione politica in cui Mario Draghi intervenne a più riprese, cioè l’assenza di riforme necessarie allo sviluppo e alla crescita in un periodo di bonanza sul costo del debito. In poche parole, la politica europea ha perso un’occasione molto favorevole – creata dalla politica monetaria – per stabilizzare i parametri del debito pubblico.
Temo che il rallentamento ciclico registrato ancor prima della scoperta del Coronavirus ci suggerisca un livello di cautela particolarmente alto per le nostre previsioni economiche. In particolare, questa cautela va applicata a quei paesi che sono caratterizzati non solo da un deficit strutturale di investimenti (i.e. crescita potenziale bassa), ma anche da un livello di debito molto alto rispetto agli standard dei paesi avanzati. L’Italia è in pole position in questa lista. L’effetto positivo e a mio avviso necessario della politica monetaria si sente ancora, per fortuna.

Resta da capire se la politica monetaria sia lo strumento adatto per contrastare un trend che ha poco di tendenziale e molto di strutturale. Forse sarebbe più adatto un blend di strumenti, dalla politica fiscale a quella macroprudenziale, il tutto condito con una buona dose di politica monetaria.

Alessandro Tentori, Chief Investment Officer AXA Investment Managers Italia

 

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