L’Europa a un bivio di politica economica. Commento di Didier Borowski

Il grattacielo della Bce a Francoforte

Il grattacielo della Bce a Francoforte

La nuova leadership europea ai vertici della Commissione e della BCE, che si trova a operare in un contesto caratterizzato da tassi di interesse reali storicamente bassi, rappresenta un’opportunità straordinaria di ripensare le priorità così da far fronte alle sfide correnti; sfide economiche, finanziarie, ambientali e relative alla sicurezza. Sul piano economico, per rafforzare l’Europa e migliorare la sua competitività è necessario affrontare tutte queste sfide contemporaneamente. A livello di politica economica, andrà inevitabilmente ridefinito il legame tra politica monetaria e fiscale. Ma non basta. Il policy mix espansivo dovrà essere accompagnato da un miglioramento dell’architettura finanziaria.

Abbiamo individuato due elementi portanti sui quali le autorità europee dovranno intervenire in modo significativo nel 2020-2021: l’unione dei mercati dei capitali e le regole di bilancio. Si tratta di un prerequisito per affrontare gli inevitabili shock macrofinanziari che riserva il futuro.

Sul piano internazionale, l’Europa sta facendo fatica a imporsi soprattutto nei confronti di due colossi come gli Stati Uniti e la Cina. L’Unione europea (UE) dovrà pertanto rafforzarsi a tutti i livelli, politico/diplomatico, sicurezza/difesa, architettura finanziaria, sviluppo delle alte tecnologie, finanziamento della transizione energetica ecc.

La nuova leadership europea (ai vertici della Commissione e della BCE), che si trova a operare in un contesto caratterizzato da tassi di interesse reali storicamente bassi, rappresenta un’opportunità straordinaria di ripensare le priorità così da far fronte alle sfide correnti.

•   Sfida economica: sulle prospettive a medio e lungo termine si addensano le minacce di una crescita potenzialmente bassa e di un elevato debito pubblico e privato. Ovviamente non si tratta solo di un problema europeo, ma urgono altre riforme strutturali. Un’altra priorità sarà quella di canalizzare gli abbondantissimi risparmi in progetti di investimento promettenti.

•   Sfida finanziaria: l’Europa dei capitali è ancora troppo frammentata; da un lato fa troppo affidamento sul suo sistema bancario, dall’altro gli investimenti cross-border nella regione sono chiaramente insufficienti (i risparmi circolano poco tra nord e sud) e ciò limita la tenuta della zona Euro nel caso di uno shock asimmetrico. Inoltre, le banche sono ancora troppo esposte ai titoli sovrani detenuti nei loro bilanci; tale fenomeno si chiama “doom loop”, ovvero spirale negativa.

•   Sfida ambientale: la “domanda sociale” in quest’area è molto elevata come dimostra il successo dei Verdi alle ultime elezioni europee. C’è un senso di urgenza che deve essere affrontato. La Commissione è pronta a scendere in campo. La BCE dice di essere pronta a dare una mano. Per affrontare questa sfida si devono attivare tutte le leve possibili (investimenti, tasse, legislazione).

•   Sfida riguardo alla sicurezza mondiale: ci sono molte aree di tensione. Questa non è una novità, ma la situazione è destinata a protrarsi, soprattutto se Donald Trump sarà rieletto presidente nel novembre del 2020. L’Europa dovrà acquisire una struttura di difesa credibile e ciò richiederà un aumento degli investimenti nelle tecnologie e nella sicurezza; nel frattempo l’incertezza aumenterà per via delle tensioni tra i due blocchi.


Sul piano economico per rafforzare l’Europa e migliorare la sua competitività è necessario affrontare tutte queste sfide contemporaneamente. Come ebbe a dire Kennedy nei primi anni Sessanta, è meglio riparare il tetto quando splende il sole1.  Tuttavia le nubi si stanno addensando.  L’incertezza sul futuro dell’Europa grava sul clima degli affari e ripristinare la fiducia è la condizione sine qua non per gli investimenti. “La casa europea” ce la farà nonostante alcune intemperie (ovvero una recessione moderata), ma la sua architettura finanziaria è ancora troppo debole (eccessiva frammentazione economica, finanziaria e normativa, politiche fiscali scoordinate, politica monetaria che sta raggiungendo i limiti d’efficacia) per resistere a una tempesta (forte recessione e/o grave crisi finanziaria). Per non parlare poi della sua debolezza sul piano militare soprattutto rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, ma questa è un’altra storia.

A livello di politica economica, andrà inevitabilmente ridefinito il legame tra politica monetaria e politica fiscale. Ma non basta. Il peso della stabilizzazione macroeconomica non può gravare solamente sulla banca centrale. I tassi di interesse negativi e il QE della BCE stanno finendo con l’indebolire il sistema macro-finanziario, mentre il loro impatto economico è sempre più discutibile. La politica fiscale può servire a stimolare gli investimenti perché il vincolo del debito è allentato dai tassi di interesse bassi con la conseguenza che aumentano i margini di manovra.  Il debito pubblico è già però fin troppo alto in molti Paesi ed è per questo che conviene concentrare l’attenzione su quegli Stati della Zona euro che hanno i mezzi per agire (la Germania in primis). Tuttavia, la politica fiscale non è l’alfa e l’omega della capacità di stabilizzazione dell’Europa, e di certo le autorità non riusciranno a migliorare la concorrenza europea solo attraverso di essa. Aumentare la competitività esterna non basata. L’obiettivo principale è quello di migliorare l’attrattività degli investimenti. La zona Euro è penalizzata dalla sua architettura finanziaria che è troppo fragile agli occhi di molti investitori stranieri. Di conseguenza esiste una sorta di premio al rischio politico sugli attivi europei (nei confronti dei quali aumenta la sfiducia non appena peggiorano le condizioni mondiali).

Il policy mix espansivo deve essere accompagnato da un miglioramento dell’architettura finanziaria.  Spesso viene citata la necessità di un bilancio federale, necessità che va di pari passo con quella di creare un porto sicuro europeo. Questo progresso è fondamentale per la stabilità a lungo termine dell’Unione europea. Detto ciò, dobbiamo essere realisti; gli Stati europei non sono ancora pronti a un passo del genere, questo può essere solo il culmine di un processo di maggior integrazione finanziaria.

La zona Euro beneficia di abbondantissimi risparmi e soffre per la carenza di investimenti. È quindi prioritario migliorare la circolazione dei risparmi al suo interno. L’allocazione degli attivi delle famiglie non corrisponde più alla nuova situazione finanziaria. I loro risparmi sono spesso sovrainvestiti nei titoli di debito. Per rimediare a questa situazione, si dovrebbe migliorare l’educazione finanziaria dei risparmiatori che dovrebbero essere spronati a diversificare i loro risparmi e a investirne una parte negli attivi rischiosi, tra cui gli investimenti europei cross-border. La zona Euro dipende ancora troppo dal suo sistema bancario: si dovrebbe facilitare l’accesso al mercato dei capitali per le piccole e medie imprese, tanto più che le banche sono indebolite dai bassi di interesse e dal fatto di detenere titoli del debito sovrano. Nel frattempo, tutte le riforme miranti a rafforzare la tenuta della zona Euro miglioreranno la sua attrattività e la sua competitività. Le esigenze e le sfide europee sono già state individuate. Le autorità sono consapevoli che è necessario agire, ma manca un accordo sui mezzi da implementare, in particolare tra i Paesi del Nord e del Sud Europa. Per giungere a un compromesso sono necessarie fitte consultazioni.

Abbiamo individuato due elementi portanti sui quali le autorità europee dovranno intervenire in modo significativo nel 2020-2021: l’unione dei mercati di capitali e le regole di bilancio.

L’unione dei mercati dei capitali è un prerequisito

I dati empirici dimostrano come la ripartizione del rischio, molto di più dell’integrazione fiscale e monetaria, consenta all’economia USA di assorbire gli shock, soprattutto quando sono asimmetrici. In particolare, notiamo che la buona tenuta dell’economia americana deriva dal maggior ricorso delle imprese al finanziamento dei mercati, un fattore che rende l’economia USA meno sensibile agli shock bancari.

•  Un sistema finanziario più integrato aumenta la resistenza del sistema agli shock.  Più i rischi sono distribuiti geograficamente, maggiore è la stabilità dell’Unione. L’idea è piuttosto semplice:

-   se un Paese entra in una recessione, ma le famiglie e le imprese di quel Paese ricevono redditi da dividendi e interessi da altri Paesi che non sono in recessione, tali redditi aiuteranno a stabilizzare la recessione.

-   lo stesso accade quando il settore bancario di un Paese è colpito da una crisi e deve limitare la distribuzione del credito al settore privato. L’accesso ai finanziamenti sarà molto più agevole se le famiglie e le imprese avranno accesso alle banche e agli investitori di Paesi non interessati dalla crisi.

•  Attualmente la condivisione del rischio non è possibile con il presente assetto dei mercati dei capitali, ma potrebbe essere ottenuta incoraggiando le partecipazioni incrociate in attivi di altri Paesi della zona Euro.

•  Le normative fiscali per le transazioni transnazionali sono ancora troppo complesse e le procedure nazionali sull’insolvenza sono ancora troppo diverse.

I benefici del mercato unico dei capitali sono ancora scarsamente compresi dal grande pubblico e quindi manca il sostegno popolare alle iniziative in quest’area, ma ciò non dovrebbe impedire alle autorità di intervenire.

Ripensare le norme di bilancio

Questo è un argomento molto spinoso per la nuova Commissione europea perché in realtà gli Stati europei non hanno mai rispettato le norme del Patto di stabilità e crescita. I Paesi core della zona Euro sono stati addirittura i primi a dare il cattivo esempio.  Ora che sono trascorsi oltre vent’anni dall’introduzione dell’euro, c’è un nuovo consenso riguardo alla necessità di introdurre regole nuove e più credibili e ciò per i seguenti motivi:

1.Le regole sono diventate troppo complesse e di conseguenza meno efficaci;

2.Il quadro normativo è diventato più opaco nel corso del tempo: molti indicatori chiave non sono direttamente osservabili (vuoto di PIL, equilibrio di bilancio strutturale) e quindi sono l’oggetto di discussioni infinite tra gli economisti.

3.La divisione dei ruoli tra la Commissione (inizialmente responsabile dell’analisi legale ed economica) e il Consiglio (organo politico) è diventata più sfumata nel corso del tempo. La Commissione ora svolge un ruolo chiave nell’imporre le sanzioni, ruolo probabilmente poco desiderabile.

4.Le sanzioni non hanno funzionato. Un sistema di bilancio senza meccanismi di correzione non è credibile.

Il sistema attuale è il risultato di una serie di riforme che col passare degli anni hanno reso il quadro normativo più complesso.  Colpisce il fatto che esse siano diventate più pro-cicliche. L’introduzione dei primi elementi di flessibilità e delle correzioni cicliche risale al periodo antecedente la Grande crisi finanziaria, quando l’economia della zona Euro godeva ancora di buona salute, ma il sistema è poi stato rafforzato. Nuovi elementi di flessibilità sono stati introdotti dopo la crisi del debito sovrano e ciò ha portato a un allentamento degli obiettivi fiscali che deriva dalla pro-ciclicità sottostante delle politiche fiscali nella zona Euro; risulta quindi evidente la difficoltà di applicare un sistema fiscale sovranazionale. Il Patto di stabilità e di crescita è il risultato di un compromesso politico tra gli Stati Membri. Nel nuovo contesto macro-finanziario spetterà alla Commissione lavorare a un nuovo compromesso che migliori la governance dell’unione monetaria senza mettere in discussione l’esistenza delle norme. L’ aderenza democratica a tali norme deriverà dalla loro natura stabilizzante in caso di crisi.

Nel complesso, l’Europa, e più in particolare la zona Euro, sembra essere pronta ad affrontare una “piccola” recessione utilizzando un mix di politiche monetarie e fiscali accomodanti.  Tuttavia, per evitare un persistente sforamento del bilancio è essenziale ancorare la credibilità delle azioni fiscali con chiare norme contro-cicliche.  Ciò significa che nei periodi di espansione la spesa dovrà essere sottoposta a maggiori vincoli. Per contro, la zona Euro non è ancora dotata di un’architettura finanziaria sufficientemente consolidata da poter affrontare una “grande crisi” o una recessione molto grave. Questo è il compito che spetta ora alle autorità europee, non tanto perché all’orizzonte si sta profilando una crisi, ma perché la resilienza di una regione è il cardine sul quale si poggia la fiducia.

Commento a cura di Didier Borowski, Head of Global Views Amundi

 

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