Schroders. Outlook 2020 private equity, le opportunità migliori sono nei deal più piccoli. Commento di Nils Rode

Financial and Technical Data Analysis Graph Showing Stock Market TrendsI tassi di interesse bassi e le valutazioni elevate sui mercati pubblici sono spesso citati come possibili venti contrari per le asset class tradizionali nel 2020. Questo contesto ha sicuramente contribuito a incrementare l’interesse nei confronti del private equity (PE). Per di più, quest’area si sposa bene con l’attenzione diffusa tra gli investitori per i rischi ambientali, sociali e di governance (ESG), grazie all’orizzonte di investimento più lungo e al maggiore controllo sugli investimenti che fornisce. Di conseguenza, non sorprende che l’interesse degli investitori per il PE oggi sia così marcato e che possa rimanere vivo anche il prossimo anno. Secondo gli esperti di Prequin, il 79% di coloro che investono in PE prevedono di incrementare la propria allocazione all’asset class nei prossimi 5 anni. Sebbene vi sia sempre una certa ciclicità nell’attività di fund-raising, crediamo che il PE stia attraversando una fase di crescita di lungo termine, che presenta ben pochi ostacoli sul percorso. Il private equity da tempo fornisce un contributo importante alla creazione di valore nell’economia reale e nei portafogli degli investitori, giocando un ruolo cruciale nella trasformazione delle aziende e nella creazione di nuove società ad elevata crescita. Inoltre, il PE permette di facilitare le transizioni generazionali, vale a dire il passaggio efficace di un’impresa da una generazione che si avvicina alla pensione ad una più giovane. Il PE può anche consentire un migliore allineamento degli interessi degli investitori con quelli dei gestori di portafoglio, grazie al crescente investimento diretto da parte di questi ultimi.

Attenzione a flussi consistenti e valutazioni elevate in alcuni segmenti di mercato. Nonostante i pur numerosi elementi positivi, la crescita dell’interesse per il private equity ha generato un contesto che pone diverse sfide per gli investitori. In passato, alcuni periodi caratterizzati da un forte appetito da parte degli investitori hanno portato ad un accumulo di capitale da investire, che a sua volta ha danneggiato i rendimenti per alcuni vintage year, come il 1999-2000 per il venture capital e il 2006-2008 per i buyout. Oggi vi è il rischio che queste dinamiche si ripetano. La raccolta dei fondi di buyout di grandi dimensioni è decisamente superiore alla media di lungo termine, sebbene non tanto quanto lo fosse nel periodo 2006-2008.

Inoltre, le società non ancora quotate con valutazioni superiori al miliardo di dollari – i cosiddetti ‘unicorni’ – si sono moltiplicate degli ultimi anni. Ciò è stato spinto dagli investimenti di investitori insoliti ‘late-stage’, come il fondo da $100 miliardi Softbank Vision, supportato dall’Arabia Saudita, che rappresenta il più grande fondo di PE della storia.

Le valutazioni private di molte di queste società sono state spinte così tanto al rialzo da rivelarsi una delusione quando si è cercato di portarle sui mercati pubblici. Ad esempio, Uber, Lyft, Slack e Pinterest, società predilette del mondo private, ora scambiano al di sotto dei prezzi delle rispettive IPO. WeWork ha dovuto addirittura bloccare la propria quotazione, non essendo riuscita ad attirare sufficiente interesse, nemmeno a prezzo scontato.

La fascia del mercato a capitalizzazione più bassa è meno costosa. In generale, le strategie di private equity che sono maggiormente a rischio a causa dei consistenti afflussi di capitale sono quelle che consentono ampi investimenti singoli senza che venga raggiunto un limite massimo di ownership. Tipicamente si tratta dei fondi di maggiori dimensioni.

All’opposto, i segmenti di mercato con le maggiori barriere all’ingresso sono caratterizzati da dinamiche più ‘sane’. I deal più piccoli in aggregato rappresentano un universo di investimento molto ampio, che può risultare inaccessibile ai fondi più grandi, essendo più difficile investirvi grandi quantità di capitale in modo rapido.

Per i buyout di piccole e medie dimensioni negli USA e in Europa, le start-up a livello globale e gli investimenti nelle prime fasi della crescita delle aziende asiatiche, l’andamento del fund raising è stato costante o addirittura in declino. Ciò rappresenta un indicatore positivo per le aspettative di rendimento di questi vintage year. Per di più, il contesto attuale di tassi bassi ha consentito ad alcuni gestori di ‘passare di livello’ e di ampliare significativamente i propri fondi, uscendo perciò dai segmenti più piccoli. Ciò contribuisce a stabilizzare ulteriormente questa fascia del mercato.

Una conseguenza di questi trend divergenti nella raccolta di capitale è che i multipli di valutazione per i buyout di maggiori dimensioni sono aumentati fino a massimi storici, mentre per i buyout di piccole dimensioni sono rimasti più ragionevoli. Nel 2020 ci aspettiamo che la fascia del mercato a capitalizzazione più bassa continui a offrire le opportunità migliori nel PE.

Ci aspettiamo che nel prossimo anno aumenti l’enfasi posta dagli investitori sulle caratteristiche ESG e – in misura minore – sull’impact investing, nelle decisioni di investimento di PE. Questo aspetto è sempre più rilevante soprattutto in Europa, dove la maggiore consapevolezza del cambiamento climatico e l’iniziativa Finanza Sostenibile della Commissione Europea rappresentano driver significativi. Ci aspettiamo che l’investimento ESG e impact acquisiscano maggiore importanza anche nelle altre aree globali.

Nils Rode, CIO, Schroder Adveq Investments, Schroders

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