C’è molta attesa per il meeting della Fed di fine ottobre. Il mercato scommette su un ulteriore taglio dei tassi di 25 punti base, con una probabilità del 70%. La curva dei rendimenti nelle ultime settimane ha già incorporato il movimento, con il 3 mesi sceso (guarda caso) di 25 centesimi. All’interno del Fomc, però, non pare esserci unanimità di vedute; alcuni banchieri, fra cui il Presidente della Fed di Chicago, sarebbero orientati a mantenere il livello attuale fino a fine anno, mentre altri sembrano propensi ad un’ulteriore sforbiciata. I recenti dati, come l’ISM di settembre, non appaiono compatibili con le previsioni di crescita al 2,3% (stime Conference Board), ma fanno presumere una progressione più contenuta. La Fed sembra quindi in un angolo, accerchiata dalle altre principali Banche Centrali in modalità “espansiva” e da Trump che preme per un approccio più aggressivo, tale da indebolire il dollaro e ridare respiro alle esportazioni. Benché il gap commer-ciale con la Cina ad agosto abbia fatto segnare il minimo da 5 mesi, il deficit della Bilancia è salito oltre le attese. L’effetto dei dazi sull’operatività delle imprese è ormai evidente. La prossima reporting season è alle porte e il mercato stima una discesa degli utili delle aziende Usa del 2,7% rispetto allo scorso anno e una contrazione degli investimenti generalizzata.
Diversamente dal passato, quando dati deludenti significavano automaticamente più stimoli da parte delle Banche Centrali e le asset class rischiose reagivano positivamente, nelle ultime settimane pare sia tornata la “normalità”: un brutto dato è semplicemente un brutto dato, le azioni scendono, i governativi si apprezzano.
Un rallentamento in questa fase avanzata del ciclo sarebbe fisiologico, così come una moderata correzione degli indici azionari, ma le continue tensioni politiche e commerciali rischiano di esacerbare i timori di imprenditori ed investitori. Come in una profezia che si auto avvera, la paura della recessione genera la recessione. Spetta a Powell tranquillizzare il mercato, o quantomeno non agitarlo ulteriormente, in attesa che gli stimoli fiscali cinesi possano avere effetto sull’economia. Il 2020 poi sarà un’altra storia. Da un punto di vista operativo, malgrado i livelli raggiunti, il Treasury resta una scelta difensiva contro ulteriori giravolte in questa interminabile trattativa.
Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR