Amundi. I fiori del male… Commento di Giordano Beani

Il toro (Bull) a Wall Street

Il toro (Bull) a Wall Street

“I fiori del male”, dal francese «Les fleurs du mal», è la raccolta di poesie più conosciuta di Charles Baudelaire pubblicata nel 1857. Baudelaire è considerato il capostipite dei “poeti maledetti”, anticipatore del decadentismo e della Scapigliatura italiana. Dal titolo si inferisce l’orientamento della poetica dell’autore francese: estrarre la bellezza dal male, infatti letteralmente il titolo può essere tradotto in “i fiori dal male”, facendo poesia su argomenti cupi, scabrosi e talvolta immorali, ma estraendo da essi la bellezza dell’arte. Ebbene di “male” i mercati azionari internazionali ne hanno subìto e assorbito parecchio soprattutto nei primi giorni della scorsa settimana. I dati relativi agli indici PMI manifatturieri statunitensi prima, con la discesa rilevante per il secondo mese dell’indice sotto la fatidica soglia di 50 (47,8), la decisione del WTO poi di considerare legittimi 7,5 miliardi di dazi che gli Stati Uniti imporranno contro alcune merci europee, come compensazione delle pratiche giudicate anti concorrenziali di Airbus nei confronti di Boeing, per finire con il dato sui PMI dei servizi sempre in USA, che rimane sopra la soglia di 50 (52,6), ma che si attesta ben al di sotto delle previsioni degli analisti (55), sono gli elementi che puntano ad un incremento delle probabilità che il male per antonomasia in economia, vale a dire la recessione, possa materializzarsi presto. Ma dal male, ci insegna Baudelaire, si può estrarre la bellezza, in senso figurato per noi gli elementi che possono rivelarsi positivi al fine di scongiurare la recessione. In tal direzione si sono rivelati i dati sull’occupazione statunitense per il mese di settembre pubblicati venerdì, dati che segnalano il tasso di disoccupazione più basso dalla fine degli anni sessanta, 3,5%, una crescita più moderata degli occupati non agricoli, ma pur sempre solida (136mila rispetto ai 145mila attesi), ma soprattutto una crescita anno su anno dei salari orari che scende al 2,9% dal 3,2% precedente.

In sintesi un dato che può consentire alla Federal Reserve che si riunirà il 29 e 30 ottobre, di continuare ad abbassare i tassi ufficiali per contrastare la debolezza dell’economia e verosimilmente di trasformare i recenti tagli da semplici interventi preventivi in un ciclo di ribassi vero e proprio. Sempre in tema di Banche Centrali il tema dell’inefficacia delle politiche monetarie dei tassi negativi e della mancanza di frecce nella faretra degli istituti centrali è ormai consenso tra politici e operatori di mercato, dimenticando forse che sia la Federal Reserve sia la BCE dispongono invece di munizioni ancora non utilizzate dalla riapertura del QE (allentamento quantitativo) per la Fed all’acquisto di obbligazioni bancarie o alla revisione dei limiti attuali all’APP, il programma di acquisto di attivi governativi e corporate, per la BCE nella nuova era Lagarde che sta per aprirsi.

C’è poi un possibile fiore da cogliere dagli ormai prossimi incontri tra le delegazioni cinesi e statunitensi per verificare se il forte rallentamento globale fungerà da stimolo per entrambe le parti a raggiungere almeno un accordo parziale in tema di commercio internazionale. Infine, ci sono fiori da estrarre anche dall’analisi delle valutazioni dei mercati azionari La forte discesa dei rendimenti obbligazionari, unitamente alla correzione delle ultime due settimane, hanno di nuovo fatto aumentare il “premio per il rischio”, vale a dire l’attrattiva relativa delle azioni rispetto alle obbligazioni e qualora la tanto temuta stagione di pubblicazioni degli utili si rivelasse meno peggio del previsto, ciò potrebbe ridare nuova linfa ai mercati. Ma vediamo in dettaglio il “male” causato la settimana scorsa sui mercati azionari. Gli Stati Uniti, come spesso accade, hanno dato il la al ribasso, ma concludono la settimana con un moderato 0,33 dell’indice S&P 500 e con il Nasdaq Composite persino positivo 0,54 grazie all’ottima reazione ai dati sull’occupazione sul finire di settimana. L’Europa invece, anche qui come spesso accade, è l’area che esce maggiormente malconcia dalla correzione, con l’indice Eurostoxx 50 che lascia sul terreno il 2,8 ed il FTSE 100 inglese ben il 3,65 a causa dei citati dazi statunitensi e per quanto concerne il Regno Unito della confusione istituzionale in atto a poche settimane dal 31 ottobre. Il Giappone chiude con un 2,14 del Nikkei 225 mentre i Mercati Emergenti subiscono un lieve ribasso con l’Indice MSCI Emerging che arretra del 0,49.

Sui mercati obbligazionari governativi, curva tedesca senza significativi movimenti, mentre i Treasury USA reagiscono ai deludenti indici PMI con il rendimento decennale che scende di ben 15 punti base a 1,53 e quello sulle scadenze biennali di 23 punti base a 1,4. Poco da segnalare sulle divise se non un rafforzamento dello Yen, mentre per le commodity significativa correzione del petrolio con il Brent che torna sotto i 60 dollari al barile (-5,7). In conclusione, la situazione delle economie globali, soprattutto per il settore manifatturiero, è oggettivamente difficile, ma azioni delle Banche Centrali, speranze su una tregua nelle guerre commerciali tra USA e Cina (ed anche Europa), valutazioni non eccessive dei mercati, ci inducono a cogliere “i fiori dal male” attuale. Come cantava Fabrizio De André, qui in chiave baudelairiana, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

Azioni. Questa settimana è stata negativa per i mercati azionari di tutto il mondo. Gli  investitori hanno rivolto la loro attenzione ai dati economici più deboli del previsto; l’attività manifatturiera negli USA è scesa ai minimi degli ultimi dieci anni e più, aggravando i timori di una lunga disputa commerciale tra Washington e Pechino. Il quadro è stato poi reso ancora più fosco dalla decisione degli istituti tedeschi sulla ricerca economica di tagliare le stime sulla crescita del PIL della maggior economia europea. La sovraperformance dei titoli growth rispetto a quelli value resta eccezionale nonostante la correzione di settembre. Siamo sempre dell’idea che i titoli growth siano più a rischio di quelli value. Tuttavia, questi ultimi riconquisteranno delle posizioni solo quando ci sarà un rialzo dei rendimenti obbligazionari. In questa fase i titoli value “difensivi” sono quelli su cui puntare. Riguardo ai prossimi dodici mesi assumiamo una posizione prudente; la fase matura del ciclo favorisce i titoli di qualità e i rendimenti da dividendi.

Obbligazioni governative. I rendimenti dei Treasury decennali USA e dei bund decennali tedeschi hanno registrato un calo rispettivamente di 15 pb e 2 pb. Anche il rendimento dei gilt decennali britannici è sceso di 5,6 pb, mentre lo spread tra il rendimento dei BTP decennali italiani e quello dei bund tedeschi è rimasto praticamente invariato. Il segmento 2-10 anni della curva USA si è irripidito di 8 pb. È stata una settimana turbolenta per i mercati, su cui sono comparsi ulteriori segnali di un peggioramento della crescita. I dati degli indici ISM USA hanno deluso le aspettative e hanno evidenziato non solo la persistente  debolezza del settore manifatturiero, ma anche alcuni timori riguardo al settore dei servizi. Nella zona Euro, il quadro delineato dagli indici PMI non induce all’ottimismo e ha contribuito a esercitare  pressioni ribassiste sui rendimenti nominali core.

Obbligazioni corporate. I dati macroeconomici più deboli e le notizie dalla zona Euro hanno causato un ampliamento degli spread del credito nel corso della settimana. Le obbligazioni societarie europee hanno sovraperformato rispetto a quelle denominate in dollari, in particolare quelle di grado speculativo, in linea con i trend recenti caratterizzati da una maggior tenuta di questi titoli soprattutto nelle fasi di maggior avversione al rischio. Il peggioramento del quadro macroeconomico e il riaffiorare di alcuni rischi legati ai singoli Paesi stanno mantenendo una certa pressione sui mercati del credito. Al contempo l’equilibrio tra domanda e offerta appare favorevole alle obbligazioni societarie grazie agli afflussi costanti nella classe di attivi e ai nuovi, imminenti acquisti da parte della BCE. I fattori tecnici sono migliori in Europa e dovrebbero sostenere la sovraperformance delle obbligazioni societarie denominate in euro dall’inizio dell’anno a oggi. Il credito rimane quindi relativamente impermeabile alle improvvise debolezze dei mercati azionari.

Tassi di cambio. Il dollaro USA rimane nel range1,09-1,10.  Lo yen giapponese continua a essere sostenuto dai crescenti timori sulla crescita mondiale. Il dollaro neozelandese ha quasi toccato i minimi degli ultimi dieci anni nei confronti del dollaro USA. In qualità di valuta sensibile alla crescita, è stato trascinato al ribasso dai timori sul commercio mondiale e sul diffuso rallentamento congiunturale. Le valute dei mercati emergenti si sono riprese negli ultimi giorni rispetto al dollaro USA. Rimaniamo dell’idea che l’andamento del biglietto verde sarà influenzato soprattutto dal ritmo della crescita mondiale. Il nostro scenario macroeconomico prevede il proseguimento dell’attuale, moderato rallentamento delle economie dei mercati sviluppati e quindi la valuta dovrebbe rimanere attorno ai livelli attuali. Secondo noi, nei prossimi 12 mesi ci saranno ancora i margini potenziali per un rafforzamento delle valute dei mercati emergenti rispetto al dollaro.

Materie prime. Questa settimana i mercati delle commodity sono rimasti complessivamente invariati. Il petrolio continua a ritracciare perché gli investitori ora sono focalizzati sull’indebolimento della domanda. Le quotazioni del Brent sono scese a 58,4 dollari al barile. L’oro è stato scambiato attorno ai 1.504,7 dollari l’oncia e non ha mostrato una grande sensibilità ai deboli dati economici mondiali. Le quotazioni dei metalli di base sono rimaste pressoché invariate. Il braccio di ferro tra i timori per un’interruzione delle forniture e la debole domanda mondiale sarà uno dei temi chiave che riguarderà il petrolio nelle prossime settimane, mentre l’instabile  quadro economico mondiale  potrebbe pesare sulle quotazioni delle materie prime cicliche. Le decisioni delle banche centrali incideranno sull’oro e sugli altri metalli preziosi. Finora, il nostro target rimane tra i 60 e 70 dollari per il Brent. Il fragile sentimentper il rischio e la reattività delle banche centrali rimangono gli elementi trainanti dell’oro che dovrebbe continuare a salire anche nei prossimi mesi.

Stati Uniti. L’indice ISM manifatturiero ha proseguito la sua discesa in territorio di contrazione, con un calo a settembre di 1,3 punti a 47,8. Si tratta del minimo degli ultimi dieci anni, e questo dato ha suscitato delle preoccupazioni sullo stato di salute dell’economia USA. C’è stato un calo dell’indice ISM manifatturiero in tutte le sue componenti, in particolare scorte, produzione e occupazione. I partecipanti al sondaggio hanno espresso la loro preoccupazione per una domanda più debole del previsto sia sul fronte interno, sia su quello internazionale. La debolezza della domanda internazionale si è vista soprattutto nell’indice ISM delle esportazioni, che ha proseguito la sua china discendente e ora è a quota 41.

Zona Euro. Aumento delle vendite al dettaglio. Le vendite al dettaglio hanno segnato ad agosto un progresso mensile dello 0,3% (in linea con le aspettative e dopo un calo dello 0,5% a luglio). Su dodici mesi, l’incremento è stato del 2,1%. Su base geografica, c’è stato un aumento delle vendite al dettaglio su base annua, + 3,2% in Germania, + 2,3% in Francia e +3,2% in Spagna. Il dato sull’Italia non è ancora stato pubblicato. Tra le categorie dei beni, l’aumento è stato dello 0,4% per gli alimentari, del 2,1% per il carburante e del 4,1% per le altre categorie. Questo dato è rassicurante per la tenuta dei consumi in un contesto in cui la debolezza del settore manifatturiero potrebbe contagiare il resto dell’economia. I consumi europei sono supportati dalla solidità del mercato del lavoro (ad agosto il tasso di disoccupazione è sceso al 7,4%, toccando il minimo degli ultimi dieci anni e più) e dall’aumento dei salari. Tuttavia, la perdita di fiducia da parte delle famiglie potrebbe indurle a convogliare una percentuale maggiore dei loro redditi nei risparmi invece che nella spesa al consumo.

Mercati Emergenti. Il 3 ottobre la Turchia ha pubblicato i dati sull’inflazione, che a settembre si è attestata al 9,3% annuo, in calo rispetto al 15% di agosto. La flessione è stata generalizzata in tutte le sue componenti ad eccezione delle bevande alcoliche e del  tabacco. La maggior componente, quella delle bevande non alcoliche e degli alimentari, è scesa a settembre al 15% su base annua rispetto al 18,2% di agosto. Questo calo dell’inflazione, ampiamente atteso, è dovuto all’intervento di un effetto di base favorevole e all’attuazione di alcune misure volte a  ridurre i prezzi. In futuro, l’inflazione dovrebbe rimanere  al di sotto del 10% per un altro mese per poi risalire verso l’11%-12%. La traiettoria anticipata dell’inflazione lascia alla banca centrale i margini di manovra per ridurre ancora il tasso di riferimento.

Giappone. Il rapporto Tankan sulla fiducia delle imprese emesso dalla banca centrale giapponese ha evidenziato un certo peggioramento della fiducia delle imprese a settembre per il terzo trimestre consecutivo. L’indice del settore manifatturiero è sceso ai minimi degli ultimi sei anni, mentre quello dei servizi è sceso ai minimi degli ultimi quattro anni. La riluttanza delle imprese a investire ha in generale indebolito il settore delle macchine utensili, mentre il calo dei prezzi delle materie prime ha avuto ripercussioni negative sulle raffinerie di petrolio, sulle società che producono metalli non ferrosi e sulle imprese commerciali mondiali. È ormai evidente che la debolezza della domanda esterna ha iniziato a contagiare anche l’economia interna. Eppure la fiducia del settore dei servizi è ancora ben al di sopra della soglia di criticità. La robusta domanda del settore edilizio sta favorendo i costruttori, il settore immobiliare, il settore dei materiali da costruzione e quello dei servizi alle imprese. Le principali società intendono aumentare quest’anno gli investimenti di capitale del 6,6%. Persino gli esportatori che sono stati frenati dal rallentamento dell’economia mondiale stanno mantenendo il loro appetito per gli investimenti.

Giordano Beani, head of Multi-Asset Fund Solutions Italy di Amundi SGR

 

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