Amundi. Gli ignavi. Analisi di Giordano Beani

FOTODivina Commedia, Canto III dell’Inferno, Dante con la sua guida Virgilio incontra gli Ignavi, “coloro che visser sanza infamia e sanza lodo”. Persone e Angeli che a causa della loro incapacità di prendere una posizione netta tra Bene e Male, non sono degni né del Paradiso, né dell’Inferno, tant’è che la loro pena sempiterna è scontata nell’Antinferno. Questa è l’immagine che ci hanno trasmesso i mercati finanziari la settimana scorsa, un’incapacità o una non volontà di prendere una posizione chiara e netta. E sì che di motivi per schierarsi la settimana ne ha offerti più d’uno. A cominciare dalla situazione di caos politicoistituzionale che si è aperta martedì negli Stati Uniti, allorché la portavoce democratica della Camera, Nancy Pelosi, ha annunciato l’inizio di un’inchiesta che potrebbe portare alla messa in stato di accusa del Presidente Donald Trump (l’ormai noto “impeachment”) in relazione al coinvolgimento del Presidente nel tentativo di forzare il Presidente ucraino Zelensky ad indagare sulle attività del figlio del candidato democratico alle primarie per l’elezione presidenziale del 2020, Joe Biden, già vice presidente degli Stati Uniti durante la presidenza Obama. Per passare poi ai dati macroeconomici dell’Area Euro che, come hanno confermato gli indici PMI manifatturieri pubblicati lunedì, certificano una situazione di recessione dell’industria, con i soli servizi che riescono a tenere a galla le aspettative dei direttori degli acquisti. Infatti, l’indice PMI manifatturiero per l’Area ha segnato un valore di 45,6, ben al di sotto di quel 50 che indica la neutralità tra espansione e contrazione, mentre l’indice composito, che tiene anche conto del settore dei servizi è atterrato a 50,4, un soffio sopra la soglia della contrazione. Per finire con il conto alla rovescia verso il 31 ottobre, data entro la quale ad oggi il Regno Unito dovrebbe uscire dall’Unione Europea, in una situazione di massima incertezza con riferimento alle opzioni disponibili per il Premier Boris Johnson, sempre più indebolito politicamente e giuridicamente.

Nonostante tutto ciò i mercati azionari “ hanno sì ripiegato, ma in una misura che non lascia traccia delle oggettive preoccupazioni che li potrebbero affliggere Il mercato USA, infatti, chiude la settimana con un “ 1 l’Area Euro contiene il passivo nel 0 7 dell’indice Eurostoxx 50 l’Italia arretra del 0,5 ed il Giappone lascia sul terreno lo 0 9 Sui Paesi Emergenti, infine, situazione più variegata con la Cina che corregge del 2 e l’India che prosegue il suo recupero con un 2 sull’onda lunga dell’effetto positivo della decisione del governo di ridurre le imposte sulle società annunciata la settimana precedente Nel complesso l’indice MSCI Emerging chiude comunque in territorio negativo 1,93. Quanto ai mercati obbligazionari settimana di transizione dopo i recenti annunci delle principali Banche Centrali, con il rendimento del Bund decennale che arretra di 5 punti base a 0 57 dato il prosieguo delle pubblicazioni di dati deboli in Germania e nell’Area Euro, ed il decennale statunitense che arretra di 4 punti base a 1,68. Migliora leggermente il nostro differenziale con la Germania sulle scadenze decennali passando da 144 a 139 punti base, in attesa della pubblicazione all’inizio di questa settimana della nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (documento preparatorio alla stesura della legge di bilancio per il 2020). Con riferimento alle divise da segnalare solo il rafforzamento del dollaro sull’Euro che chiude sotto quota 1 10 1 094 mentre sulle commodity il petrolio perde circa la metà di quanto guadagnato la settimana precedente, 37 a 61,9 dollari al barile per il Brent, in seguito agli attacchi agli impianti produttivi sauditi, dato che in apparenza non sembra al momento esservi in programma un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nelle questioni del Golfo. In conclusione, i mercati appaiono in una situazione attendista, le notizie negative sul fronte politico, Stati Uniti in primis, sembrano essere compensate dalle attese per una ripresa fruttuosa del dialogo tra Stati Uniti e Cina sui temi del commercio internazionale prevista per i primi di ottobre, mentre le notizie negative sul fronte macro economico appaiono compensate dall’atteggiamento ultra accomandante delle principali Banche Centrali.  Chi o cosa potrà scuotere i mercati dalla loro attuale ignavia? Il futuro, ahinoi o per fortuna, è per definizione imperscrutabile e pertanto seguiamo le indicazioni del Duca Virgilio al Sommo Poeta in riferimento agli Ignavi ::“non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.

Azioni. Questa settimana debolezza dei mercati azionari. Gli indici PMI tedeschi, di nuovo deludenti, non hanno di certo contribuito a far segnare i nuovi  massimi storici dell’anno né in Germania, né in Europa. L’avvio della procedura di impeachment contro il presidente Trump non ha avuto un impatto significativo sui mercati USA. La procedura di impeachment del presidente USA avrà un impatto sui mercati solamente se ci saranno delle conseguenze economiche, cosa che appare improbabile. Il mercato è focalizzato più sul commercio mondiale, sugli indici PMI, sulle banche centrali e sugli utili societari che verranno pubblicati tra poco; la pubblicazione degli utili non dovrebbe fornire un grande supporto.

Obbligazioni governative. Il rendimento dei Treasury decennali è rimasto sostanzialmente invariato in un contesto caratterizzato dal calo di 4pbnel corso della settimana. Il rendimento dei bund decennali è diminuito di 5 pb. Da notare l’ulteriore, marcato calo (-14 pb) dei rendimenti dei titoli di Stato decennali britannici. Lo spread tra i BTP decennali italiani e i bund decennali tedeschi si è ristretto di 6pb. I dati preliminari di settembre sui PMI hanno scatenato una discesa piuttosto vigorosa dei tassi nominali. Dopo la pubblicazione dell’indice IFO in Germania, è emerso un quadro più contrastato, visto che  la componente sulle aspettative  ha riservato delle delusioni. Riguardo agli USA, l’indice PMI manifatturiero ha sorpreso positivamente, mentre nel settore dei servizi è successo il contrario. Nel Regno Unito, la sentenza della Corte Suprema riguardo all’ “illegalità” della sospensione del Parlamento ha pesato sulla curva britannica.

Obbligazioni corporate. In questi ultimi giorni i mercati del credito sono stati in genere più fragili sia negli USA, sia in Europa. Gli spread si sono ampliati in misura maggiore in Europa e nei segmenti a beta elevato per via dell’aumento della volatilità azionaria implicita. I flussi degli investimenti tra gli attori di grado speculativo sono stati meno importanti rispetto alle settimane precedenti. Il quadro d’insieme rimane propizio alle obbligazioni societarie. In questa fase, tra i forti fattori tecnici e i fondamentali macroeconomici che si stanno indebolendo prevalgono questi ultimi. Il supporto della BCE ai mercati europei del credito dovrebbe ben presto diventare più visibile grazie alla ripresa degli acquisti mensili e ai reinvestimenti più massicci delle obbligazioni societarie in scadenza all’interno del portafoglio. I flussi di investimento nei prodotti investment grade in euro stanno seguendo un trend rialzista stabile. L’apertura della Fed alla crescita organica del suo bilancio, unitamente all’ultimo taglio dei tassi, sostiene i fattori tecnici dei mercati del credito USA.

Tassi di cambio. In una settimana relativamente incolore per il dollaro USA, sono state poche le valute che hanno brillato. Il dollaro neozelandese ha guadagnato lo 0,5% per via dei dati sul PIL e sulle esportazioni migliori del previsto. Tra le valute dei mercati emergenti, quelle che hanno guadagnato  di più sono state la lira turca, il peso argentino e la rupia indiana. La debolezza degli indici PMI tedeschi ha pesato sull’euro, mentre le dichiarazioni della BoE hanno spinto al ribasso la sterlina. La stabilizzazione della domanda mondiale e dell’attività manifatturiera nella zona Euro sono dei prerequisiti per il futuro rafforzamento dell’euro. Nonostante le discussioni riguardo al bisogno di stimoli fiscali nella zona Euro, non ci aspettiamo che essi vengano implementati a breve e li consideriamo delle munizioni da usare nel caso di un ulteriore peggioramento dell’attività economica.  Di conseguenza, il biglietto verde dovrebbe continuare a essere vigoroso ancora per un po’ prima di iniziare a scendere.

Materie prime. Questa settimana le quotazioni del petrolio sono rimaste relativamente tranquille. Il Brent è stato quotato attorno ai 61,9 dollari, con il mercato che ha tirato un sospiro di sollievo alla notizia che Aramco intende ripristinare piuttosto rapidamente la produzione di petrolio. Questa settimana l’oro è stato scambiato attorno ai 1.497 dollari l’oncia, mentre i metalli di base si sono stabilizzati dopo la pubblicazione dei buoni dati sull’economia USA. Il fragile quadro del settore manifatturiero mondiale dovrebbe pesare sui prezzi delle materie prime cicliche nonostante. D’altro canto, le decisioni delle banche centrali potrebbero favorire l’oro e gli altri metalli preziosi. La domanda mondiale, le decisioni dell’OPEC e le questioni geopolitiche saranno gli elementi che influenzeranno le quotazioni del petrolio. Il nostro target rimane entro un range tra i 60 e i 70 dollari per il Brent. Il quadro rimane decisamente favorevole all’oro, le cui quotazioni dovrebbero continuare a salire anche nei prossimi mesi.

Stati Uniti. Sul fronte internazionale, le speranze di un accordo a breve termine tra gli USA e la Cina sono state ravvivate dalle dichiarazioni del presidente Trump: sul fronte interno, i rischi di un indebolimento della domanda dei consumatori sono in qualche modo aumentati  come evidenziato dai dati dell’indice del Conference Board -che misura la fiducia dei consumatori -e che a settembre è risultato più debole del previsto.  Le speranze di un accordo a breve termine tra gli USA e la Cina si sono riaccese quando il presidente Trump ha detto che gli Stati Uniti e la Cina stanno avendo “delle conversazioni interessanti” e che un accordo commerciale “potrebbe essere concluso prima di quanto pensiate”, migliorando così l’umore dei mercati. Gli indici del Conference Board sono stati deludenti: preoccupa soprattutto il calo della fiducia nelle condizioni future dell’economia.

Zona Euro. Forte peggioramento del clima di fiducia delle imprese in Germania. In base alla stima flash, l’indice PMI composito tedesco è sceso a settembre a 49,1 (rispetto al 51,5 atteso e al 51,7 di agosto). È la prima volta dal 2013 che l’indice ritraccia sotto quota 50, la soglia che indica una contrazione dell’attività complessiva del settore privato. L’indice tedesco sulla fiducia delle imprese (IFO) si è invece ripreso leggermente (dal 94,3 di agosto al 94,6 di settembre), ma la componente delle attese (strettamente correlata alla crescita del PIL) ha continuato a scendere (da 91,3 a 90,9). Questi indicatori evidenziano che l’attività in Germania non ha ancora toccato il fondo. Se da un lato è evidente soprattutto la debolezza del  settore manifatturiero, dall’altro sul mercato sono sempre più visibili segnali di contagio ai servizi e al mercato del lavoro.  Una crescita negativa del PIL nel terzo trimestre segnerebbe tecnicamente l’inizio di una recessione visto che nel secondo trimestre il PIL era già leggermente negativo. Tuttavia, per ora, il governo tedesco rimane restio a introdurre delle misure di stimolo fiscale.

Mercati Emergenti. La settimana scorsa, in Asia, le banche centrali della Thailandia (BoT) e delle Filippine (BSP) hanno tenuto le loro riunioni di politica monetaria. La BoTha mantenuto invariato il tasso di riferimento all’1,5%, mentre la BSP ha abbassato il tasso di riferimento dal 4,25% al 4%. Entrambe le decisioni sono state in linea con le attese di mercato. Segnalando la persistente debolezza dell’economia nonché uno scenario di riferimento in materia d’inflazione ben ancorato all’interno del loro target, le due banche centrali hanno mantenuto un atteggiamento accomodante.  La BSP si è pronunciata chiaramente in favore di una traiettoria espansiva, mentre la BoTha fatto esplicitamente riferimento al fatto che le questioni strutturali del Paese dovrebbero essere affrontate da tutte le parti in causa, invocando anche maggiori sostegni fiscali.

Giappone. Il Giappone e gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo sul commercio bilaterale dopo solamente sei mesi di negoziati.  Il Giappone abbasserà i dazi sulla carne di manzo, sulla carne di maiale, sul mais, sulla frutta e sul vino in cambio della promozione delle esportazioni della carne di manzo e dei macchinari industriali giapponesi. Per quanto riguarda le automobili, l’area più delicata, il rappresentante per il commercio americano Robert Lighthizer ha dichiarato che non è di certo intenzione del presidente Trump imporre i dazi sulle automobili giapponesi ricorrendo alla sezione 232 del Trade Expansion Act.  Trump appare impaziente di vedersi attribuire il merito della conclusione dell’accordo prima delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Gli Stati Uniti hanno assunto un approccio pragmatico, limitando i negoziati ai prodotti sui quali per entrambi i Paesi è facile trovare un compromesso. Nonostante gli USA si siano dimostrati recalcitranti ad affrontare il tema delle automobili, il Giappone è riuscito a evitare un dazio del 25% e/o i controlli quantitativi sui veicoli.  Trump potrebbe anche ricompensare gli agricoltori che hanno subito le rappresaglie cinesi in materia di dazi e che hanno risentito dell’esclusione dal Partenariato trans-pacifico (TPP).

 Giordano Beani, head of Multi-Asset Fund Solutions Italy di Amundi SGR

 

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