MainStreet Partners. Il paradosso delle obbligazioni “verdi” e il ruolo dei Transition Bond. Analisi di James Hay

Bond verdi

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Negli ultimi anni, il mercato dei green bond è cresciuto a un ritmo straordinario, con emissioni per oltre 600 miliardi di dollari. Nel 2019 le emissioni di obbligazioni “verdi” e sostenibili sembrano destinate a superare la soglia dei 200 miliardi di dollari: solo nel primo semestre sono stati emessi green bond per 117 miliardi di dollari, un incremento del 47% rispetto allo stesso periodo del 2018. E, dato ancora più significativo, quest’anno sono stati emessi bond social e sostenibili per 30 miliardi di dollari, il doppio di quanti ne erano stati emessi dodici mesi fa. L’Europa continua a dominare, con circa metà delle nuove emissioni. Le aziende spingono il mercato con emissioni di green bond societari non finanziari per 31 miliardi di dollari e bond societari finanziari per 22 miliardi di dollari. La domanda è molto sostenuta: i green bond raccolgono in media il quintuplo del target fissato dagli emittenti. Questa domanda contrasta con una sottoscrizione media pari a tre volte l’offerta per i bond tradizionali con caratteristiche analoghe.

In teoria, qualunque azienda che emetta bond tradizionali può emettere anche green bond. Il requisito principale è che i proventi netti vadano a finanziare attività green: ad esempio, la costruzione di un impianto solare, l’ammodernamento di un edificio efficiente dal punto di vista energetico o il miglioramento dell’utilizzo e del riciclo dell’acqua. Questo tipo di framework però contribuisce a creare una situazione paradossale che porta le industrie “green” ad accedere facilmente al mercato dei capitali, lasciando sempre più indietro le industrie cosiddette “marroni”, quelle inquinanti, che invece dovrebbero raccogliere capitali su ampia scala per intraprendere una seria transizione e ridurre drasticamente il loro impatto ambientale.

In effetti, se l’obiettivo comune è un mondo completamente de-carbonizzato, allora gli sforzi dei settori “marroni” in transizione verso basse emissioni di carbonio assumono un ruolo essenziale e non possono rimanere ai margini della scena. Tuttavia, esistono davvero modi efficaci e rigorosi per includere i settori in transizione senza compromettere l’integrità della finanza green? È qui che entrano in scena i Transition Bond che vengono utilizzati da quelle aziende nella fase iniziale della transizione.

L’industria si sta già muovendo su questo tema: a giugno di quest’anno, AXA Investment Managers ha pubblicato le proprie linee guida in materia di transition generando grande interesse; nello stesso mese è stata pubblicata una bozza di Tassonomia UE che definisce proprio le attività “in transizione” come il cemento e la siderurgia.

Per fare qualche esempio, nel marzo del 2014 Unilever emise un bond sostanzialmente per ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività come le emissioni, la quantità di acqua utilizzata e i rifiuti prodotti. Unilever tentò di fare rientrare il proprio bond all’interno della cornice dei Green bond Principles, ma senza successo. Si trattava a nostro avviso più propriamente di uno dei primi esempi di transition bond. Nell’ottobre del 2016 Danone emise un bond da 6,2 miliardi di euro per finanziare l’acquisizione di WhiteWave Foods, azienda produttrice di cibo e bevande biologici di origine vegetale. Questa acquisizione contribuì a iniziare la transizione di Danone verso alimenti più salutari, aprendo la via per una successiva operazione, con cui nel marzo 2018, Danone emise il primo corporate social bond al mondo.

Il produttore di acciaio POSCO fu il primo del settore a lanciare quello che ribattezzò un “bond ESG” per finanziare progetti eco-friendly. SNAM, fornitore di gas naturale, ha emesso un “climate action bond” per ridurre le emissioni derivanti dalle proprie attività. Proprio questo mese, Enel ha emesso un cosiddetto “SDG-linked bond” per rafforzare gli sforzi per raggiungere i propri obiettivi in termini di energie rinnovabili. Infine Marfrig Global Foods ha emesso un “sustainable transition bond” per garantire che le proprie forniture di bestiame in Amazzonia prevengano la deforestazione ed eliminino dalla filiera ogni forma di lavoro forzato. Dato il core business di alcune di queste aziende, vi sono stati casi che hanno sollevato controversie infatti alcuni investitori ESG vogliono investire esclusivamente nelle aziende più “pulite”, mentre altri vogliono finanziare anche il cambiamento. Alla luce di questa considerazione, è estremamente importante cominciare a distinguere i concetti di green e di transition bond senza “diluire” la serietà degli standard applicati.

Tutto ciò spiega perché i transition bond siano complessi da interpretare, ma fondamentali per la riduzione dell’inquinamento: ecco perché affidarsi ad attori esperti in materia è essenziale per evitare investimenti che potrebbero causare più danni che benefici. Bisogna infatti evitare del tutto il rischio di un significativo greenwashing, provocato dalla mancanza di trasparenza o di accountability da parte delle aziende.

      James Hay, Investment associate, MainStreet Partners

 

 

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