La Financière de l’Echiquier. Inversione di marcia. Commento di Olivier De Berranger

La Borsa di Wall Street a New York

La Borsa di Wall Street a New York

Al termine di un mese di minacce crescenti nella guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, contro ogni previsione Pechino e Washington sembrano ora volersi accordare su una ripresa imminente dei negoziati. Di seguito, un breve riepilogo dei momenti salienti sui mercati ad agosto mentre imperversava il conflitto che vede il Regno di Mezzo contro lo Zio Sam. In pieno torpore estivo, ormai deluso dalle concessioni fatte dalla Cina dopo il G20 di Osaka, il 1° agosto Donald Trump decide di aumentare i dazi del 10% su prodotti cinesi per un controvalore di 300 miliardi di dollari. La reazione dei mercati è immediata con i principali indici azionari che perdono dal 3% al 5% in pochi giorni. Con questa decisione Trump mette a segno un colpo doppio obbligando, da un lato, i cinesi a fare delle concessioni e aumentando, dall’altro, la pressione sulla Fed perché riduca i tassi in modo più significativo visto il rischio che incombe sulla crescita e sulla fiducia globale. La risposta di Pechino non si fa attendere, che sfodera la sua arma preferita: il tasso di cambio. Il deprezzamento supera la soglia simbolica di 7 yuan per un dollaro, compensando così in parte l’aumento dei dazi. Benché l’amministrazione centrale cinese si rifiuti di intervenire sulla sua valuta per darle credibilità come moneta di riserva, gli investitori non si lasciano trarre in inganno e pensano che questo movimento sia accuratamente pilotato da Pechino, come è già avvenuto in passato.
Il 23 agosto segna una nuova tappa con la risposta della Cina che intende aumentare i dazi sulle importazioni americane più simboliche (prodotti agricoli, petrolio e automobili). Anche in questo caso la minaccia di un rapido contrattacco da parte di Trump provoca, lo stesso giorno, una correzione del 3,1% sull’S&P 500. Ed è quanto fa il giorno dopo, dichiarando un ulteriore aumento del 5% dei dazi su tutte le importazioni cinesi.

 Eppure, appena pochi giorni dopo interviene una repentina inversione di tendenza. Entrambe le parti esprimono il desiderio di tornare al tavolo dei negoziati e sospendono o rimandano alcune minacce. In questo contesto, ipotizzare i prossimi passi non è affatto facile vista l’imprevedibilità sia dei protagonisti sia dei loro tempi di riposta, anche se possiamo cercare di delineare la reazione del Presidente americano. Trump è ormai entrato in campagna elettorale e ritiene, a ragione, che tre condizioni almeno debbano essere riunite perché il suo bilancio sia credibile sul piano economico. Innanzitutto, il mercato azionario deve continuare a crescere in modo significativo durante tutto il suo primo mandato. Per questo motivo, infatti, compie delle marce indietro repentine non appena le azioni perdono dal 5% al 10% dopo i suoi tweet. La crescita, poi, deve rimanere solida fino alle elezioni presidenziali, anche se potrebbe essere compromessa dalla guerra commerciale e dalle incertezze che ne derivano. Infine, almeno in apparenza, dovrà dimostrare una vittoria nel conflitto con la Cina. A nostro avviso, è questa la griglia di lettura da tenere a mente per analizzare la posizione di Trump senza dimenticare che il suo metodo negoziale, benché sembri improntato alla “Madman Theory”, segue in realtà alcune precise regole logiche.

Olivier De Berranger, Chief Investment Officer di La Financière de l’Echiquier

 

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