GAM Emerging Markets Day. Emergenti: scelta strategica, tattica e pure opportunistica

image002Nell’ultima fase di un lungo ciclo espansivo, l’economia globale fa i conti con numerose fonti di incertezza, dalle politiche monetarie alle sorprese della politica. La novità dei mesi scorsi è l’efficacia delle misure fiscali e monetarie con le quali la Cina ha stabilizzato la propria economia. I mercati emergenti, soggetti adulti nel mercato globale, continuano a fornire valore nelle scelte allocative. Riccardo Cervellin, Amministratore Delegato di GAM (Italia) SGR  ha commentato: “Il 2018 è stato particolarmente faticoso per i mercati emergenti, sotto il segno delle guerre commerciali e del rallentamento dell’economia cinese. Il nuovo anno ha visto il ritorno della Federal Reserve a registri accomodanti, ne hanno immediatamente tratto beneficio anche i mercati emergenti.  Ma al di là delle considerazioni sui mercati, per loro natura imprevedibili, l’investimento nei mercati emergenti ha le credenziali adatte per dare al portafoglio una equilibrata diversificazione e la giusta prospettiva di lungo termine. Con il GAM Emerging Markets Day abbiamo ribadito le credenziali di GAM in queste classi di attivo, la partecipazione di tanti nostri partner mi conforta sulle prospettive del prossimo futuro.”

Per quanto riguarda le prospettive macroeconomiche dei mercati emergenti, Paul Mc Namara Investment Director, Emerging Markets Debt di GAM ha spiegato: “Come di consueto, le prospettive per i mercati emergenti sono guidate dalle economie dei “big 3″, Stati Uniti, Eurozona e Cina. I mercati emergenti hanno accusato una certa fatica nel 2019 a fronte di una crescita globale asimmetrica – forte negli Stati Uniti, poco brillante in altre regioni – che ha favorito gli asset statunitensi. Per quest’anno ci aspettiamo un leggero rallentamento negli Stati Uniti, una ripresa limitata in Europa ma un discreto rimbalzo in Cina. Il che ci rende ottimisti nei confronti dell’evenienza di un anno migliore per i mercati emergenti. Ovviamente i due rischi che emergono a livello globale coincidono con un inasprimento della politica e della guerra commerciale. Se la crescita degli utili negli Stati Uniti sta iniziando a mostrare segnali di vita, sono pochi i riscontri di un netto incremento dell’inflazione, e chiaramente la Fed è peraltro preoccupata per lo stato dei mercati relativi agli asset statunitensi.

La guerra commerciale sarà un grosso problema per i Paesi che esportano manifatture leggere negli Stati Uniti – il manifatturiero rende conto dei posti di lavoro che l’amministrazione Trump desidera rimpatriare – mentre l’Europa non ha alcun interesse a replicare i dazi a stelle e strisce. Il Messico si distingue in quanto molto più vulnerabile di qualsiasi altro Paese; sebbene l’impatto sui mercati asiatici appaia come molto più ridotto, non è effettivamente così e necessita di un attento monitoraggio. Nel complesso, tuttavia, a parte il Messico, pensiamo che il destino del credito in Cina ricoprirà una maggiore importanza rispetto alla politica commerciale americana per i mercati emergenti nel loro complesso. Sicuramente il 2019 non ha visto paesi vulnerabili come la Turchia e l’Argentina di un anno fa. Storicamente il periodo successivo a una crisi costituisce un buon momento per investire nei mercati emergenti: in media, i rendimenti post-crisi sono 3 volte superiori alla media degli ultimi 17 anni. Dei due, pensiamo che la Turchia – con la sua economia relativamente aperta, la vicinanza all’Europa e un maggiore spazio di manovra sul piano fiscale – abbia prospettive migliori, mentre l’Argentina risentirà dell’incertezza di una tornata elettorale in cui un candidato populista e ostile alle logiche del mercato ha ottime possibilità di vincere.

Abbiamo una visione più negativa nei confronti dell’Europa Centrale, dove i governi populisti non sono inclini a un inasprimento della politica monetaria per fare fronte a un chiaro slancio al rialzo dell’inflazione. Con rendimenti del 7%, un ragionevole momentum economico e un commercio equilibrato, i mercati emergenti appaiono come un’asset class interessante, soprattutto dal punto di vista di un investitore europeo”.

“I mercati Emergenti azionari”, ha spiegato Tim Love Investment Director, Emerging Markets Equities di GAM “sono spinti da alcuni importanti driver di crescita. Dal nostro punto di vista sono quattro i fattori ciclici più importanti: gli emergenti hanno sottoperformato rispetto ai mercati sviluppati ma stanno entrando in un quadrante favorevole per quanto riguarda il profilo di rischio/rendimento; le valutazioni appaiono interessanti se paragonate ai mercati sviluppati; ci aspettiamo importanti flussi da parte degli investitori crossover; i titoli dell’universo emergente hanno del terreno da recuperare rispetto alle controparti dell’obbligazionario sovrano. Infine, crediamo che l’azionario emergente presenti del potenziale sul fronte del rerating. Otto dei primi dieci paesi emergenti sono classificati come investment grade e un contesto di crescita globale, volatilità ridotta e liquidità globale in eccesso tende a supportare questo tipo di asset. In generale, l’azionario emergente è ben posizionato in termini di struttura e robustezza dei bilanci e appare attraente per gli investitori value, growth e alla ricerca di rendimenti. Allo stesso tempo, alcune valute emergenti si sono deprezzate fino a raggiungere dei minimi assoluti. Altri tre driver di natura secolare sono da prendere in considerazione: l’esplosione di un middle class giovane e ricca; la creazione di fondi pensione captive e programmi di riforma domestici orientati ai consumi; la riclassificazione da parte di MSCI del proprio indice dedicato ai mercati emergenti (MXEF), che includerà le A Shares cinesi. Nel 2012 l’86% della popolazione globale si trovava nei mercati emergenti, tuttavia il peso di questi mercati all’interno dell’indice azionario globale era pari solo al 12%. Questo enorme squilibrio rappresenta secondo noi un’opportunità. Il Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, stima che nei prossimi vent’anni si svilupperanno 100 nuove città di dimensioni paragonabili a Londra o New York, la maggior parte delle quali negli emergenti.

 

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