Aegon AM. Non tutto il Trump vien per nuocere. Commento di Stephen Jones

Donald Trump

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Mentre Margaret Thatcher è stata, e rimane tuttora, una figura controversa nella storia della politica Britannica, in pochi negherebbero che la sua lotta al potere sindacale era una battaglia che andava combattuta – e vinta. Mrs T era una maniaca del lavoro, che non aveva bisogno di essere gradita e che godeva nei dettagli. Nonostante le molte differenze, ci sono dei parallelismi con ciò che sta accadendo ora con Donald Trump, con la sua sfida all’imperialismo cinese e al loro approccio nella gestione della proprietà intellettuale, giusto per nominare due fronti. Ora che si è concretizzata la prospettiva di una possibile seconda presidenza Trump, i mercati dovranno esaminarne le implicazioni.

Dalla vittoria di Trump, l’economia Usa è cresciuta del 7% in termini reali, molto più delle altre maggiori economie sviluppate (Eurozona e Giappone si sono espanse del 3,4% e, nonostante tutto, il Regno Unito ha fatto segnare un +4,3%). L’azionario statunitense ha avuto un ritorno prossimo al 50%, un 20% in più rispetto agli altri mercati, mentre, curiosamente, il rendimento sulle obbligazioni a lunga scadenza Usa non è cambiato (2,6%). Infine, il valore del dollaro, guardando al tasso di cambio multilaterale, è salito del 2%. Dalla prospettiva di un investitore, e con le società americane che hanno aumentato i propri utili per azione del 32%, l’America è “tornata grande”; chi direbbe di no a un po’ di più di tutto ciò?

Continuare così potrebbe rappresentare una sfida. La sovraperformance dell’economia Usa è stata trainata da un cospicuo pacchetto di tagli fiscali che altri paesi potrebbero copiare. E’ quasi certo che prima della fine del prossimo mandato presidenziale statunitense, gli Usa – se non il mondo intero, entri in una fase di recessione. Trump potrebbe scoprire, come fece Gordon Brown, che usare stimoli fiscali pro-ciclici dà i suoi frutti per un po’ ma riduce le munizioni disponibili per dare supporto all’economia in fase anti-ciclica, ovvero quando ce n’è più bisogno. La Fed è stata in grado di aumentare i tassi di interesse durante l’ufficio di Trump e adesso è l’unica nel mondo sviluppato ad avere margine per una nuova politica di accomodamento e Trump non si lamenterebbe di certo. Il ritmo di operazioni di buy-back potrebbero inoltre diminuire, dati i volumi di liquidità già rientrati negli Stati Uniti, ma l’outlook per l’azionario statunitense appare alquanto stabile.

Una seconda presidenza Trump potrebbe rivelarsi più sfidante per gli investitori non americani. Prima delle elezioni l’attuale presidente cercherà senza dubbio di portare a termine le promesse elettorali ancora irrisolte. Adesso ha il suo muro (di soldati messicani) alle spese del Messico; le tensioni con la Cina non se ne andranno, ma ormai sono largamente scontate; il regime fiscale scelto non dovrebbe essere modificato in quanto solo pochi democratici sembrano interessati a metterci mano, nello stesso modo in cui i labouristi non hanno toccato all’epoca la leggi sul lavoro della Thatcher.

L’occhio di Trump è probabile verrà puntato su Europa e Medio Oriente. Incoraggiato dal suo apparente rapido successo nell’uso delle tariffe contro il Messico, sfide simili in una serie di industrie europee sembrano inevitabili, mentre l’equilibrio energetico raggiunto dagli Stati Uniti rischia di far diventare il Medio Oriente una fonte fertile di nervosismo.

Thatcher e Trump dimostrano che i nostri campioni non sono mai perfetti. I mercati sotto Trump hanno fatto molto meglio di quanto molti potrebbero aver supposto in origine. Esaminando un’eventuale seconda presidenza, è probabile ci sarà lo stesso risultato. Il problema è solo quanto protezionismo potrebbe scatenare la recessione quando colpirà. Le cose potrebbero diventare disordinate.

Stephen Jones, CIO di Aegon Asset Management Europe

 

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