VanEck. Gli azionisti delle società aurifere fanno sentire la propria voce

FOTO SOCIETA AURIFERENel mese di maggio, l’azione di dinamiche di mercato contrastanti ha consolidato la traiettoria del prezzo dell’oro su tre mesi. La debolezza del mercato azionario, dovuta alla battuta d’arresto dei negoziati Usa-Cina sui dazi doganali, ha creato un contesto favorevole. Un ulteriore contributo positivo per l’oro è venuto dalla flessione dei tassi reali, con il calo dei rendimenti dei Treasury Usa a cinque anni sotto il 2%. In direzione opposta a questi catalizzatori positivi si sono mossi il dollaro statunitense e le materie prime. L’indice del dollaro statunitense (DXY)[i] si è mantenuto stabile nella fascia superiore del recente intervallo di contrattazione. Allo stesso tempo, le materie prime hanno registrato una considerevole flessione, per i timori relativi ai dazi e al quadro economico più in generale. In maggio, il greggio Wti ha perso il 15,9% e il rame il 9,5%. L’oro ha retto al tracollo delle materie prime, guadagnando 21,90 dollari (+1,7%) nel mese e salendo a 1.305,45 dollari l’oncia. Anche i titoli auriferi hanno registrato un rialzo, con il Nyse Arca Gold Miners Index (GDMNTR)[ii] progredito del 3,0% e il Mvis Global Junior Gold Miners Index (MVGDXJTR)[iii] avanzato dello 0,2%.

Nel primo trimestre, come reso noto dal World Gold Council, la domanda di oro da parte delle banche centrali si è confermata robusta, con un aumento di 145,5 tonnellate. Si tratta del valore più elevato da sei anni a questa parte e di una crescita del 68% rispetto all’anno precedente. La Serbia è stato l’ultimo paese, in ordine di tempo, ad annunciare l’intenzione di aumentare le proprie riserve aurifere.

Compiacenza in un contesto caratterizzato da una divergenza tra fiducia e quadro manifatturiero

In maggio, i dati del settore manifatturiero sono stati implacabilmente deludenti. L’indice Ism, la produzione industriale, l’indice Markit Flash Pmi e i beni durevoli hanno tutti segnato ribassi. La domanda di spedizione e trasporto merci è calata, mentre lo sconfortante andamento delle nuove immatricolazioni di auto ha determinato una contrazione delle vendite al dettaglio. L’ultimo sondaggio Duke University/CFO Global Business Outlook ha evidenziato che quasi la metà dei Cfo statunitensi prevede una recessione entro fine anno, mentre due terzi la prevedono nei prossimi 18 mesi. Tutto questo è in netto contrasto con la fiducia dei consumatori, che in base al Conference Board Index ha registrato un’impennata e secondo i dati preliminari dell’indice della University of Michigan ha toccato i massimi su 15 anni. Il 1° maggio, l’S&P 500 Index (SPX)[iv] ha raggiunto un nuovo record storico. Secondo il Wall Street Journal, erano decenni che i fondi su titoli municipali high yield (“junk” munis) non registravano afflussi tanto consistenti. E secondo l’High Tech Strategist, nei primi quattro mesi dell’anno il PHLX Semiconductor Sector Index (SOX)[v] ha guadagnato uno sbalorditivo 35%, proprio mentre il settore attraversava una delle più severe fasi di contrazione degli ultimi decenni. La compiacenza imperante nei mercati odierni è alimentata dall’aspettativa di ulteriori stimoli economici da parte della Federal Reserve (Fed) statunitense – l’“opzione put Powell” – qualora il mercato azionario dovesse andare incontro a difficoltà. Noi, però, siamo dell’avviso che le politiche della Fed serviranno a ben poco se il trend della produzione manifatturiera punta verso una nuova recessione. L’oro potrebbe continuare a generare rendimenti mediocri fino a quando il mercato non vedrà che la Fed ha perso il controllo di un’economia sempre più debole.

Governance ed engagement nel settore dell’estrazione aurifera

La stagione delle assemblee 2019 si sta avviando alla conclusione e volevamo fare una riflessione sull’attività di engagement da parte degli azionisti. Uno dei buoni regolamenti finanziari post-crisi messi in atto dal Dodd-Frank Act del 2010 è il voto per delega sulla retribuzione della dirigenza, altrimenti noto come “say on pay”. Questa norma permette realmente agli azionisti di decidere se i Ceo siano retribuiti eccessivamente. Il voto non è vincolante, anche se viene preso molto seriamente, e abbiamo assistito alla decisione di alcune società aurifere di modificare le proprie politiche retributive se il consenso espresso dal “say on pay” scende sotto l’80%. La crescente importanze dei criteri Esg (ambientali, sociali e di governance) nelle decisioni di investimento ha indotto gli investitori a concentrarsi ulteriormente sulla corporate governance.

Il coinvolgimento degli azionisti è in aumento e mira ad allineare gli incentivi e gli obiettivi di una società con quelli dei relativi azionisti. Secondo Activist Insight, come riferisce il Wall Street Journal,[vi] nel 2018 ben 284 società a livello globale (un record) sono state oggetto di richieste da parte di investitori attivisti, con la sostituzione di ben 194 consiglieri ai vertici (anche questo un record). Allo stesso tempo, la società di investimento Neuberger Berman ha pubblicamente espresso il proprio parere contrario 60 volte nel 2018, in aumento rispetto alle 40 del 2014[vii].


Quando si parla di coinvolgimento degli azionisti, è possibile suddividere i fondi in tre categorie:

  • Attivisti – Private equity e hedge fund che adottano un approccio attivista, modificando la composizione dei Consigli di Amministrazione e della dirigenza. Gli attivisti intraprendono spesso battaglie sulle deleghe.
  • Attivi – Fondi comuni che si avvalgono di specialisti, i quali selezionano attivamente le azioni e conoscono a fondo i fondamentali delle società. I fondi a gestione attiva palesano le proprie posizioni esprimendo il voto per delega, spingendo in direzione del cambiamento e rilasciando di quando in quando dichiarazioni pubbliche sul proprio punto di vista.
  • Passivi – ETF e altri fondi di replica degli indici che, di norma, ricorrono a comitati di governance per guidare il voto per delega.

VanEck si trova in una posizione piuttosto particolare, poiché gestisce fondi auriferi sia attivi sia passivi. All’inizio del decennio in corso, i rendimenti per gli azionisti sono stati deludenti, a causa di acquisizioni errate, dell’indebitamento e di performance operative inadeguate. Sebbene i bassi prezzi dell’oro abbiano imposto al settore aurifero una certa disciplina finanziaria e operativa, non vorremmo vedere mai più un ritorno alle discutibili prassi di gestione così diffuse negli anni del boom. Il nostro engagement con i Consigli di Amministrazione e con il top management delle società è aumentato poiché lo scopo, adesso, è adottare un approccio disciplinato lungo l’intero ciclo dell’oro. Abbiamo notato un analogo aumento del coinvolgimento in altri investitori auriferi.

Vediamo qualche esempio:

  • Lo scorso giugno, il gestore di hedge fund Paulson & Co. ha avviato una battaglia vincente sulle deleghe durata sei mesi per licenziare il Ceo e sostituire il Consiglio di Amministrazione di Detour Gold, un produttore mid-tier canadese. Detour Gold gestisce una miniera di rilevanza mondiale a Detour, in Canada, in costante difficoltà dopo cinque anni funestati da infortuni sul lavoro, problematiche sociali e aumento dei costi di capitale. Paulson è azionista di lunga data di Detour ed è diventato attivista dopo averne avuto abbastanza del management. La battaglia delle deleghe è stata la molla che ha spinto investitori non attivisti a unirsi in un’iniziativa volta a dare voce alla loro insoddisfazione nei confronti di Detour, votando la destituzione del management.
  • Al contrario dei fondi passivi, i gestori di fondi attivi possono esprimere il proprio voto attraverso azioni concrete, come la vendita di partecipazioni oppure non investendo in società con management scadente. A volte, però, vi sono società che a fronte di performance deludenti propongono piani credibili per raddrizzare la situazione. Questo può invogliare gli investitori a concedere una seconda o terza possibilità al management. Uno sviluppo del genere si è visto in Goldcorp quando agli inizi del 2015 è stato nominato un nuovo management per risollevare la società. Dopo tre anni segnati da problemi di gestione e aspettative disattese, tuttavia, è diventato evidente che anche il nuovo management non era adeguato. Ecco perché a gennaio abbiamo accolto con favore la proposta di acquisizione di Newmont per Goldcorp, poiché siamo convinti che Newmont possegga le competenze necessarie per gestire le miniere di Goldcorp. Il management di Goldcorp, purtroppo, non aveva finito di maltrattare i propri azionisti. Il Ceo di Goldcorp ha ricevuto 11 milioni di dollari (in virtù di una clausola contrattuale sul cambio di controllo), mentre l’indennità di fine rapporto del presidente è stata aumentata da 4,5 a 12 milioni di dollari. Uno dei principali investitori istituzionali canadesi, British Columbia Investment Management Corp. (BCI), ha votato contro la fusione tra Newmont e Goldcorp dichiarando quanto segue: “BCI ritiene che questa disposizione [relativa alla retribuzione del presidente] sia sostanzialmente contraria agli interessi degli azionisti” e “in violazione del principio di governance che prevede una retribuzione basata sulla performance”[viii]. Anche noi ci siamo dichiarati pubblicamente contrari a queste generose buonuscite. Il Consiglio di Amministrazione di Goldcorp non è riuscito a ridimensionare le retribuzioni dei dirigenti, ma il management è stato messo pubblicamente alla berlina e questo spingerà altre società a gestirsi responsabilmente.
  • Nel mese di febbraio, Barrick ha lanciato un’offerta ostile per Newmont allo scopo di unire i due principali produttori d’oro mondiali. VanEck, la società di gestione tedesca Flossbach von Storch e altri operatori sono intervenuti pubblicamente sull’accordo, nel tentativo di ottenere un esito ottimale per gli azionisti (cfr. l’articolo del Wall Street Journal “Investor VanEck Urges Newmont to Renegotiate Merger Deal” per conoscere in dettaglio la nostra posizione in merito). A marzo, però, Barrick ha ritirato l’offerta ostile e le società hanno costituito una joint venture per unire le proprie attività minerarie del Nevada e Newmont ha versato un dividendo straordinario agli azionisti come anticipo sui benefici attesi dalle sinergie offerte dalla joint venture in Nevada. Siamo dell’avviso che, senza il parere espresso in pubblico e in privato dagli azionisti, l’operazione si sarebbe trasformata in una sgradevole battaglia di acquisizione il cui esito probabile sarebbe stato una perdita di valore. Viceversa, abbiamo assistito a una conclusione decisamente vincente per Newmont, Barrick e per i rispettivi azionisti.

Crediamo che nella stagione delle assemblee il nostro impegno e i nostri voti contribuiscano a ricordare alle società le giuste priorità da accordare agli interessi degli azionisti. A volte riteniamo necessario esprimere un voto contrario al management. Come specialisti del settore aurifero, il nostro parere si discosta talora anche dalle raccomandazioni dei proxy advisor. Lo sforzo combinato degli azionisti per massimizzare i rendimenti attraverso i voti per delega, i colloqui privati e le dichiarazioni pubbliche aiuta il settore aurifero ad agire in modo responsabile.

 Joe Foster, Portfolio Manager e Strategist di VanEck

 

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