UBP. Crescita globale, i due scenari della guerra commerciale. Commento di Norman Villamin

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping

La crescita mondiale è entrata in una fase di rallentamento pluriennale, ma rimane positiva, trainata dai consumatori e dal settore dei servizi. I mercati del lavoro continuano ad offrire sostegno a livello mondiale, alimentando la crescita del reddito e la fiducia delle famiglie, a supporto del ciclo economico. Le crescenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, e potenzialmente con Messico, India ed Europa, riducono la visibilità e aumentano i rischi di un peggioramento delle esportazioni globali e del settore manifatturiero. Questo settore è infatti entrato in un mini ciclo, come già accaduto nel 2015-2017, ma il calo dell’export è stato molto più consistente rispetto ad allora. Le crescenti incertezze sul commercio hanno frenato gli ordini e le esportazioni, alimentando un aumento delle scorte in vista di restrizioni sugli scambi commerciali.

Le attuali impostazioni di politica monetaria rimangono accomodanti, il che dovrebbe contribuire a prolungare il ciclo attuale, ma un allentamento più aggressivo sarebbe probabile in caso di rischi di coda per la crescita, come l’escalation della guerra commerciale.

La prossima riunione fra Trump e Xi (28-29 giugno) sarà un momento cruciale per le prospettive di crescita, cioè per valutare se i dazi continueranno ad aumentare o se si comincerà a vedere un futuro ammorbidimento delle tariffe. Il nostro scenario di base vede ancora un potenziale accordo o almeno una tregua tra gli Stati Uniti e i suoi principali partner commerciali, Cina compresa.

In tale contesto, le esportazioni e l’industria manifatturiera dovrebbero riprendersi rafforzando le tendenze già positive nei settori dei consumi e dei servizi. La crescita globale dovrebbe rimanere fra il 3,3 e il 3,5% e il ciclo economico dovrebbe estendersi ulteriormente nel 2020. Se invece gli Stati Uniti imponessero dazi del 25% sui rimanenti 300 miliardi di dollari di merci cinesi e dovessero prendere in considerazione le barriere non tariffarie, l’impatto sulla crescita potrebbe essere significativo e non limitato alla sola Cina. Ciò rappresenterebbe un forte impatto negativo sulla fiducia delle imprese e avrebbe ricadute sulla catena di approvvigionamento mondiale. Le imprese potrebbero rivedere al ribasso le spese in conto capitale e proteggere i margini attraverso il controllo dei costi; l’occupazione e il potere d’acquisto dei consumatori potrebbero finire sotto pressione, erodendo i fragili fondamentali attuali.

La Cina dovrebbe sopportare la maggior parte dello shock di crescita (fra -1,5% e -0,8%), ma anche altri grandi esportatori ne risentirebbero (Asia, Giappone ed Europa). Se l’amministrazione statunitense si concentrasse sull’aumento delle tariffe sulle automobili, l’impatto si sposterebbe verso l’Europa e il Giappone. In questo scenario, la crescita mondiale potrebbe stabilizzarsi al di sotto del 3%.

Se le politiche statunitensi aumentassero ulteriormente i vincoli globali sugli scambi commerciali, ciò potrebbe dare il via a un regime protezionistico e la crescita globale potrebbe andare incontro a una grave recessione, con ripercussioni su tutte le regioni, compresi gli Stati Uniti, che dovranno anche far fronte a un forte rallentamento dell’attività economica.

La crescita mondiale entrerebbe in una forte recessione che richiederebbe nuovi stimoli per proteggere la domanda interna e l’occupazione. Dal punto di vista monetario, dato che lo spazio di manovra sui tassi è inferiore a quello del 2007, molte banche centrali si orienteranno verso un nuovo QE, come misura di ultima istanza.

Norman Villamin, CIO Private Banking e Head of Asset Allocation di Union Bancaire Privée (UBP)

 

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