Schroders. Stati Uniti verso il rallentamento, quali implicazioni per i rendimenti? Commento di Martin Arnold

mercati-finanziari-reviewPer la prima volta negli ultimi due anni il modello sull’output gap negli Stati Uniti sta segnalando un cambiamento nel ciclo economico, suggerendo che l’economia si sta muovendo da un periodo di “espansione” a uno di “rallentamento” (gli altri due stadi sono “recessione” e “ripresa”).L’ultimo periodo di rallentamento ha avuto luogo durante la crisi finanziaria globale, quindi quello attuale dovrebbe essere visto come un segnale d’allarme per i policymaker Usa: all’orizzonte potrebbe esserci una recessione. Il modello sull’output gap di Schroders stima la differenza esistente tra l’attuale e il potenziale output dell’economia (Pil), utilizzando disoccupazione e utilizzo della capacità come variabili.

Sin dalla sua nascita nel 1978, il modello ha suggerito un rallentamento dell’economia Usa solo sei volte. Di queste sei fasi, quattro sono state seguite da un periodo di recessione, mentre le restanti due hanno preceduto un ritorno all’espansione, in particolare all’inizio degli anni ’90 (quando il rallentamento ha rappresentato un falso segnale) e alla fine del 1998 (quando si è trattato di un rallentamento a metà – e non alla fine – del ciclo).

Riteniamo che la crescita negli Stati Uniti è stata sostenuta dalle politiche accomodanti della Banca centrale e ci aspettiamo che un rallentamento della crescita porterà la Fed a tagliare i tassi nel 2020 per supportare l’attività. Anche se crediamo che la fase di rallentamento sarà prolungata e non porterà a una recessione, la valutazione dei rischi connessi al nostro scenario base indica che la recessione è comunque una possibilità, soprattutto se i policymaker non rispondono alla minaccia. Tralasciando le prospettive di recessione, la fase di rallentamento del ciclo economico ha storicamente avuto implicazioni notevoli per le perfomance delle varie asset class. Naturalmente, le performance passate non rappresentano una guida per quelle future, e potrebbero non ripetersi.

Nei periodi di rallentamento nel modello sull’output gap, i mercati azionari non solo performano peggio rispetto alle altre fasi del ciclo, ma mostrano anche una volatilità maggiore. In tali fasi l’azionario Usa ha avuto rendimenti inferiori del 5% in media su base annuale, con una volatilità del 15% maggiore.I periodi di rallentamento rappresentano storicamente le uniche fasi in cui i Titoli di Stato sovraperformano rispetto all’azionario.

Durante le fasi di rallentamento i Titoli di Stato hanno sovraperformato anche rispetto ai bond societari investment grade, che a loro volta hanno avuto performance migliori rispetto al credito high yield, di circa il 2% e il 4,5% rispettivamente, su base annuale. Nei periodi di recessione, le performance tendono a invertirsi: il credito high yield sovraperforma rispetto all’Investment Grade e ai Titoli sovrani, in media di circa il 2% e il 5% rispettivamente.

L’attuale fase di rallentamento potrebbe essere diversa. La fase di ripresa che ha seguito la crisi finanziaria globale è stata la più lunga e lenta della storia. Con politiche monetarie che continuano a essere accomodanti, la Fed potrebbe rendere possibile una fase di rallentamento che sia più lunga della media e che non porti necessariamente a una recessione, anche detta di “stagnazione secolare”.

In superficie, tale periodo di crescita debole potrebbe sembrare sfavorevole. Tuttavia, se non porteranno a una recessione, le politiche delle banche centrali potrebbero aver raggiunto un obiettivo che da decenni cercano di ottenere: una crescita più moderata, evitando i cicli di “boom and bust”. Infatti, la Fed sostiene che le politiche monetarie funzionano “stimolando o frenando la crescita della domanda complessiva di beni e servizi”. In tal modo riescono a “stabilizzare l’economia” e a “guidare l’attività economica…verso livelli più sostenibili”.

Solo il tempo mostrerà gli sviluppi di questa fase, per il momento gli investitori farebbero bene quindi a incrociare le dita.

Martin Arnold (economista di Schroders)

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