UBP. Verso l’estensione della tregua USA-Cina, quali conseguenze? Commento di Anthony Chan

Il Presidente degli Stati Uniti, Doland Trump e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping

Il Presidente degli Stati Uniti, Doland Trump e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping

Fortunatamente, tutti i segnali dell’attuale ciclo di negoziati commerciali in corso fra Cina e Stati Uniti hanno rafforzato le aspettative del mercato secondo cui entrambi i governi stanno lavorando verso un accordo temporaneo per un’estensione dei negoziati sulle questioni più importanti. Se le cose si muovono secondo i piani, un accordo finale sfocerà in un incontro al vertice tra il presidente americano Trump e il presidente cinese Xi Jinping per siglare un accordo. Entrambe le parti stanno lavorando ad un accordo temporaneo sotto forma di vari memorandum d’intesa su sei questioni principali: agricoltura, servizi, barriere non tariffarie, trasferimenti di tecnologia, protezione della proprietà intellettuale e stabilità della valuta cinese.

La Cina propone di acquistare ulteriori 10 milioni di tonnellate di soia americana (l’11% in più rispetto alle importazioni totali dello scorso anno, 88 milioni di tonnellate) e, a lungo termine, importerà anche 1,2 trilioni di dollari di merci americane per correggere lo squilibrio commerciale. Secondo alcuni rapporti, la Cina propone di aumentare le importazioni di semiconduttori, prodotti energetici e automobili statunitensi (a scapito dell’ultimo sussidio nazionale per l’acquisto di automobili). La Cina potrebbe anche accettare di aprire il proprio mercato dei pagamenti elettronici a Visa e MasterCard, consentendo alle società di servizi finanziari statunitensi di accedere in anticipo all’enorme mercato nazionale cinese dei consumatori.

Un accordo solido, a nostro avviso, dovrà essere vincolante e applicabile ai sei settori chiave in discussione. Una parziale eliminazione di alcune delle tariffe esistenti da entrambe le parti (relative a settori in cui la Cina aumenterà le sue importazioni statunitensi, come l’agricoltura, l’automotive e l’elettronica) darà fiducia agli investitori e avrà un impatto positivo sugli utili in questi settori.

La Cina sembra quindi essere abbastanza flessibile nell’aumentare gli acquisti di beni e servizi dagli Stati Uniti, nel mettere in campo un programma puntuale per l’apertura al mercato e nell’adeguamento dei propri standard sulla proprietà intellettuale a quelli internazionali, in quanto aspira ad essere un leader mondiale nella tecnologia. Tuttavia, costringere la Cina ad abolire il sistema di sovvenzioni statali per le imprese di proprietà pubblica, in particolare a livello di politica industriale, rimarrà una questione spinosa. Secondo quanto riferito, i funzionari cinesi hanno spiegato ai negoziatori statunitensi che qualsiasi accordo per aumentare le importazioni cinesi negli Stati Uniti richiederà un ordine di acquisto (da Pechino) di questi beni da parte delle imprese di Stato. Una revisione immediata delle sovvenzioni statali a queste imprese, quindi, non farebbe altro che ritorcersi contro questa politica.

Un accordo commerciale bilaterale “forzato” è un cattivo sostituto della globalizzazione e non farà che diluire l’efficienza della catena di approvvigionamento globale costruita efficacemente negli ultimi decenni. Oltre all’impatto potenziale sull’efficienza e sulla redditività, l’aumento delle importazioni cinesi dagli Stati Uniti avrà un effetto di sostituzione sulle importazioni cinesi da altri paesi, il che potrebbe avere implicazioni a più lungo termine per le esportazioni e gli utili societari.

Anthony Chan, Chief asia investment strategist di Union Bancaire Privée (UBP)

 

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