Ref Ricerche. L’economia italiana ristagna

Il ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria

Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria

“Il 2019 avrebbe dovuto essere l’anno della “normalizzazione” delle politiche monetarie internazionali; la strategia avviata nel 2018 con diversa determinazione dalle banche centrali, sarebbe stata ribadita dalla Federal Reserve e, con maggiore gradualità, dalle autorità monetarie degli altri maggiori paesi. La congiuntura internazionale sta, però, deludendo, e in parte anche perché i mercati non sembrano nella condizione di sopportare un percorso di rialzi dei tassi d’interesse”. E’ quanto si legge nella congiuntura di Ref Ricerche di Milano, diretta dal professore Fedele De Novellis, resa nota oggi.

Le tensioni hanno colpito inizialmente i paesi emergenti, e poi i principali mercati azionari, prosegue la nota: “Al peggioramento delle condizioni dei mercati finanziari si stanno aggiungendo diversi elementi di fragilità che possono essere riuniti all’interno della sfera del “rischio politico”, volendo ricondurre a una matrice unica un insieme di linee di politica economica diverse, ma ispirate dal comune denominatore della limitazione della libertà di circolazione delle merci e delle persone. I passaggi principali al riguardo sono i mutamenti del quadro politico negli Usa e nel Regno Unito, con l’avvio delle “guerre commerciali” da parte di Trump e il tuttora incerto percorso di uscita del Regno Unito dalla Ue”. Diversificato, ma non meno problematico si presenta il quadro macro in Europa. “Nell’area euro il quadro si presenta variegato, ma non sono mancati i momenti di tensione, già in Spagna lo scorso anno, con il referendum sull’indipendenza della Catalogna, le tensioni sui mercati indotti dall’iter della recente legge di bilancio in Italia, il crollo del consenso verso le politiche di Macron in Francia” rilevano i ricercatori di Ref.

E’ una serie di focolai di tensioni che costella le maggiori economie avanzate. Anche nei paesi emergenti non mancano le situazioni di crisi: Argentina, Venezuela, Turchia sono i paesi in maggiore difficoltà, ma lo spettro delle economie attraversate da una fuoriuscita di capitali con deprezzamenti dei rispettivi tassi di cambio si sta allargando. Il caso più significativo è quello cinese, un’incognita che pesa sulle prospettive globali.

L’area euro si è dimostrata molto fragile rispetto al peggioramento del quadro economico internazionale. La frenata degli investimenti a livello globale sta penalizzando soprattutto l’economia tedesca, che presenta tradizionalmente una elevata dipendenza dalla domanda mondiale di beni di investimento, e che sta anche subendo le conseguenze della frenata del ciclo dell’auto, in parte spiegata da problemi nell’adeguamento dei nuovi modelli alle normative ambientali.

Non manca nella congiuntura un focus sull’Italia.

“L’Italia segue, anche per il grado di integrazione significativo con l’industria tedesca, e per un ciclo che resta strutturalmente dipendente dal traino della domanda estera. La nostra economia sta attraversando un percorso di aggiustamento caratterizzato dall’apertura di un differenziale d’inflazione rispetto alle altre economie dell’area euro. Sono le spinte deflazionistiche indotte dagli abbondanti spazi di capacità produttiva inutilizzata e dai livelli elevati della disoccupazione. La bassa dinamica salariale è tra i fattori che hanno portato negli ultimi tre anni a chiudere il divario di crescita rispetto ai maggiori partner europei in termini di export e attività industriale. Ma è anche parte della spiegazione della bassa crescita dei consumi. Siamo ancora vincolati a un percorso di sviluppo guidato dalle esportazioni, un canale di sbocco delle nostre produzioni per sua natura instabile. Quando le condizioni internazionali si fanno meno favorevoli la nostra economia si spegne” si legge nel rapporto.

“Si apre allora una fase complessa e piena di incognite. Il tentativo del nuovo governo è stato quello di transitare verso uno schema di sviluppo in cui la domanda trae sostegno da una politica di bilancio di segno espansivo. La reazione negativa dei mercati e delle autorità europee hanno spinto a ridimensionare la portata delle ambizioni, indicando un target di indebitamento al 2 per cento nel 2019 e in flessione nei due anni successivi sino all’1,5 per cento. Come avevamo già argomentato nelle previsioni di ottobre, a nostro avviso i saldi di quest’anno sono meno a rischio di quanto enfatizzato nel dibattito corrente, considerando che le principali misure di spesa, soprattutto il reddito di cittadinanza, potrebbero richiedere tempi di attuazione più lunghi rispetto a quanto ipotizzato in sede di costruzione del bilancio. I nodi della finanza pubblica saranno da sciogliere soprattutto nel 2020. La politica di bilancio ha fatto ampiamente ricorso ancora una volta alle clausole di salvaguardia. Gli obiettivi di finanza pubblica dal prossimo anno sono blindati attraverso un’ipotesi di aumento delle aliquote dell’Iva di entità rilevante. Sebbene si tratti di una impostazione già sperimentata nel corso degli anni passati, quando si è poi riusciti di fatto a disinnescare di anno in anno gli aumenti dell’Iva programmati, le circostanze attuali contengono un maggiore grado di rischio. In particolare, negli anni scorsi le clausole erano introdotte al fine di garantire il rispetto di un percorso di rientro che puntava nel medio termine all’obiettivo del pareggio, e questo aveva poi consentito di evitare tali aumenti rivedendo di anno in anno in senso peggiorativo l’obiettivo. Questa volta invece le clausole puntano a conseguire un deficit che si posizionerebbe all’1.5 per cento del Pil nel 2021, un livello quindi abbastanza elevato rispetto al target di medio termine; senza gli aumenti dell’Iva lo stesso quadro programmatico del Governo sposterebbe il saldo al 3 per cento del Pil.

Una semplice revisione in senso peggiorativo degli obiettivi non potrà quindi bastare questa volta. E’ per questo che la partita delle politiche di bilancio è ancora tutta da giocare, e nuove fasi difficili sono da mettere in conto.

Pur essendo difficile formulare delle ipotesi sulle politiche che verranno effettivamente adottate, nelle nostre previsioni abbiamo indicato livelli del saldo superiori agli obiettivi. Questo perché abbiamo escluso la clausola di salvaguardia, e adottato misure compensative solo parziali. In particolare, ridimensionando il livello degli investimenti pubblici rispetto ai programmi e incorporando solamente una frazione delle clausole, ovvero un incremento di un punto dell’aliquota dell’Iva ordinaria, per un gettito atteso di circa quattro miliardi di euro.

Nella nostra impostazione queste misure correttive basterebbero appena a stabilizzare il rapporto fra deficit pubblico e Pil poco sopra il 2 per cento e non appaiono sufficienti neanche a tenere il rapporto debito Pil lungo un sentiero decrescente. Su quest’ultimo punto pesano d’altra parte il contesto di bassa crescita reale, e la protratta fase di bassa inflazione.

Evidentemente il quadro non è esente da problemi, anche perché una correzione più consistente dei conti rischierebbe di ridimensionare ulteriormente le già fragili prospettive di crescita.

Un passaggio importante è costituito dalle prossime elezioni europee di maggio che consentiranno di testare tanto la tenuta del grado di consenso di cui gode il Governo italiano, quanto i risultati in aggregato dei partiti cosiddetti “sovranisti” in Europa e quindi anche il contesto politico nel quale si inserirà la prossima trattativa con l’Europa.

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