Amundi. Terzo shutdown del governo americano nel 2018 e mercati obbligazionari

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump

Sabato 22 dicembre si è verificato a Washington DC il blocco parziale delle attività amministrative (shutdown). Al momento in cui stiamo scrivendo questo articolo non ci sono accordi in vista anche se, stando ad alcune dichiarazioni, sembrerebbero esserci dei progressi nelle trattative. Questo  shutdwon proseguirà quindi nel 2019 e spetterà al 116esimo Congresso degli Stati Uniti, insediatosi il 3 gennaio, trovare una soluzione alla questione nonostante non esista una vera e propria maggioranza.  Per ora l’impatto economico appare limitato, ma quello sulla fiducia degli attori economici dipenderà dalla durata del blocco.  A titolo comparativo, secondo i calcoli del Bureau of Economic Analysis, lo shutdown (totale) dell’ottobre 2013, durato 16 giorni, determinò nel quarto trimestre del 2013 un calo dello 0,3% su base annua del PIL reale; stando ad altre stime, in ognuno dei 16 giorni dello shutdown andarono in fumo 1,5 miliardi di dollari.

Sui mercati obbligazionari il 2019 è iniziato così come si era concluso il quarto trimestre del 2018: i rendimenti dei titoli di Stato “rifugio” sono scesi in un contesto caratterizzato dalla revisione al ribasso delle aspettative di inflazione, visto che i segnali macroeconomici recenti confermano un rallentamento, ma non un indebolimento, dell’economia.  Negli ultimi due mesi del 2018 le aspettative di inflazione nella zona Euro sono state nettamente riviste al ribasso e questo trend è proseguito nei primi giorni del 2019. Uno degli indicatori utilizzati più di frequente per misurare le aspettative d’inflazione dei mercati, ovvero il tasso swap sull’inflazione di pareggio a cinque anni su un orizzonte quinquennale,  è sceso dall’1,70% di inizio novembre all’attuale 1,54%, un livello vicino a quello registrato ai tempi dell’annuncio del programma di allentamento quantitativo. Di certo il brusco calo del prezzo del petrolio occorso nel quarto trimestre del 2018 ha accentuato questa forte flessione. Tuttavia, la revisione al ribasso dei rendimenti obbligazionari si è verificata in un contesto di rivalutazione non solo dei rendimenti obbligazionari, ma anche delle previsioni per i tassi di riferimento. Infatti, mentre stiamo scrivendo, il rendimento dei bund decennali è di 17 pb, vicino ai livelli del marzo 2015 quando la BCE lanciò il programma d’acquisto di titoli del settore pubblico (PSPP). In America, invece, il calo del rendimento dei Treasury decennali osservato a partire da novembre è proseguito anche nei primi giorni del 2019. Inoltre, negli ultimi due mesi del 2018, il mercato ha rivisto le sue attese sui rialzi dei tassi nel 2019 a opera della Fed, e la probabilità che non avvenga alcun rialzo è ora salita all’80%.

I timori riguardo alle prospettive della crescita e alla volatilità degli attivi rischiosi sono ancora i principali elementi propulsori di questo trend, e gli ultimissimi segnali provenienti dagli indicatori anticipatori confermano uno scenario di rallentamento della crescita. L’indice ISM manifatturiero pubblicato giovedì ha evidenziato un calo superiore al previsto, con una flessione di oltre cinque punti in un solo mese. Tuttavia, nonostante il rallentamento congiunturale, l’indice, attestatosi a 54,1, segnala ancora un’espansione.

Su un altro segmento dei mercati obbligazionari, quello delle obbligazioni societarie, le valutazioni sono generalmente in linea con il quadro di rallentamento suggerito dagli indicatori anticipatori. Stando alle regressioni storiche, gli attuali premi al rischio delle obbligazioni americane HY e IG sono in linea con un indice ISM attorno ai 51 punti, un dato inferiore al 54,1 appena registrato. Al contempo, l’aumento del premio al rischio per le obbligazioni HY in euro è stato in linea con il calo progressivo degli indicatori anticipatori.

In conclusione, i rendimenti delle obbligazioni “rifugio” appaiono piuttosto esagerati visto il quadro pessimista implicato dalle attuali valutazioni, soprattutto tenendo conto dei parametri storici, mentre i premi al rischio sono più in linea con gli indicatori anticipatori. L’ultima flessione dell’indice ISM  sembra riportare la palla nel campo delle banche centrali.

 

 

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