Invesco. Processi di investimento solidi per orientarsi sui mercati. Commento di Luca Tobagi

mercati-finanziariIn una fase di agitazione sui mercati finanziari, è bene fermarsi un momento a riflettere sulle nostre radici. In particolare sulle radici di un processo di investimento disciplinato, che aiuta a rimanere saldi nelle fasi di turbolenza e che, lungi dall’essere un elemento di costrizione, può rappresentare un elemento di valore aggiunto molto significativo, quando il rischio di rimanere confusi e disorientati dal flusso delle notizie e dall’emotività aumenta. Sappiamo bene – era il tema del nostro evento di fine anno del 2017 – come la diversità di pensiero all’interno di Invesco sia incoraggiata. Anche processi di investimento diversi, sviluppati da centri di investimento differenti per le varie asset class, hanno elementi in comune. Per coglierne uno importante, osserviamo insieme un’analisi delle determinanti storiche dei rendimenti delle azioni, le attività finanziarie rischiose per eccellenza. Prendiamo il mercato azionario USA, punto di riferimento globale, per il quale disponiamo di serie storiche di dati. Dopo che i recenti cali di mercato ne hanno riportato le valutazioni all’incirca in linea con le medie storiche, possiamo guardarlo, consapevoli che considerazioni analoghe potranno essere svolte per gli altri indici azionari, che trattano a valutazioni inferiori.

Il prezzo pagato in termini di qualche metrica fondamentale (utili, dividendi, flussi di cassa, patrimonio netto) è la principale determinante della performance di un investimento azionario nel lungo periodo.

Già il grande value investor Ben Graham aveva riconosciuto che acquistare a valutazioni basse, rispetto agli utili o al patrimonio netto, costituisse un margine di sicurezza rispetto ai rischi imprevisti, operativi o di mercato, a cui un investitore inevitabilmente si espone.

A questo primo passo ne facciamo seguire un altro, anzi, altri due. Il primo è che esiste un’evidenza empirica piuttosto regolare secondo cui, in contrasto con l’ipotesi dei mercati efficienti, le azioni con le valutazioni più basse rispetto al proprio patrimonio netto tendono ad avere performance migliori della media. Il secondo è che le valutazioni tendono a convergere verso i loro livelli medi nel lungo periodo.

A volte le valutazioni di singoli titoli o indici possono discostarsi dalla media per periodi prolungati, in funzione di vari fattori. Uno da tenere sotto controllo potrebbe essere l’aumento della correlazione fra le azioni all’interno dell’indice. Le valutazioni, negli ultimi vent’anni, hanno mostrato una debole tendenza ad essere tanto più alte quanto minore era la correlazione fra i titoli che compongono l’indice. Dopo la correzione di ottobre, le valutazioni dell’S&P 500 sono tornate in un intorno dei livelli medi storici e la correlazione fra i titoli all’interno dell’indice è aumentata. Detto questo, il passo successivo è cercare

di capire quale futuro possano riservarci gli investimenti azionari in termini di rendimento. Partendo dalla base, cioè il dividend discount model, che calcola il valore teorico di un’azione a partire dal flusso di dividendi che l’investitore può percepire nel tempo, Ibbotson e Straehl hanno pubblicato un’evoluzione dell’analisi in uno studio recente (2016), per tenere conto del riacquisto di azioni proprie: gli share buyback, che negli ultimi anni hanno superato i dividendi negli USA. L’effetto del riacquisto delle proprie azioni può essere rappresentato in vario modo a seconda della struttura dei modelli: in alcuni l’enfasi è sui tassi di crescita, in altri è sul rendimento complessivo che l’investitore percepisce. In ogni caso, quanto erogato sotto forma di dividendi e buyback è stato, storicamente, la principale determinante del rendimento reale che l’investitore in azioni riceve nel tempo, a cui si aggiunge il tasso di inflazione medio. Ciò appare particolarmente evidente negli ultimi 40-50 anni.

A differenza dei dividendi, che rappresentano un flusso piuttosto stabile di reddito, perché le aziende non amano doverli ridurre, il riacquisto di azioni proprie è più volatile. Spesso segue il ciclo economico, ma talvolta, quando le valutazioni si riducono, tende ad espandersi opportunisticamente. Senza entrare nei dettagli tecnici, includere il riacquisto di azioni proprie può rendere le aspettative sui rendimenti azionari più verosimili e migliorare la “coerenza macroeconomica” dei modelli stessi: il tasso di crescita dei flussi che l’investitore incassa è volatile nel breve periodo, ma nel lungo è sostanzialmente allineato al tasso di crescita del PIL pro capite.

Tutto questo ci porta ad oggi. Payout complessivi elevati tendono a corrispondere a valutazioni compresse, se guardiamo ai multipli.

Con economie e utili in crescita, ha ancora senso ancorarci, con prudenza, alle radici che affondano nel terreno, per proiettarci verso il futuro con attività finanziarie “rischiose” perché ci espongono alla dinamica economica positiva, e per resistere anche ai venti avversi e alle intemperie che periodicamente possono colpirci.

Il contesto generale sta diventando più confuso e volatile. Distinguere i segnali dai rumori di fondo è più impegnativo che in passato. A fronte di maggiori incertezze, i rendimenti attesi azionari interessanti e i rendimenti obbligazionari in crescita, benché ancora piuttosto compressi, ampliano le possibilità di investimento rispetto agli ultimi anni.

Le attività scelte e la misura dell’esposizione dipendono in maniera essenziale dalla tolleranza al rischio, dall’orizzonte temporale e dagli obiettivi finanziari degli investitori. In una fase di complessità crescente e di progressiva

maturazione del ciclo economico, una maggiore accortezza nella costruzione dei portafogli è d’obbligo, senza lasciarci frenare da timori oltre misura, ma ricercando una diversificazione efficace, anche, se lo si vuole, per processo di investimento.

Come scrisse Oscar Wilde, “meglio vale godersi una rosa che osservarne la radice al microscopio.” Sono d’accordo. Le radici profonde, stabili e sane non si vedono, o quasi. Un bravo giardiniere se ne prende cura per poter continuare a coltivare nel tempo rose belle e odorose, pur sapendo che ogni tanto sarà inevitabile pungersi con qualche spina.

Luca Tobagi, strategist investment di Invesco

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