Grande divergenza tra Stati Uniti e resto del mondo – continuerà? Articolo di Witold Bahrke

Jerome Powell, governatore della Fed

Jerome Powell, governatore della Fed

Mentre l’economia globale si lascia alle spalle un picco nella crescita, due aspetti stanno caratterizzando l’attuale fase di rallentamento: in primo luogo, il trade-off tra crescita ed inflazione continua a peggiorare, causando difficoltà ai mercati. In secondo luogo, la decelerazione si sta trasformando in uno scenario di divergenza dirompente. L’economia americana sta lasciando gli altri paesi indietro, mentre la Cina continua a rallentare, con un ritmo di crescita che nel terzo trimestre ha toccato il livello più basso dalla crisi finanziaria. Una crescita più lenta non necessariamente deve causare la fine del bull market, purché le condizioni monetarie non diventino troppo rigide. Storicamente è un esagerato inasprimento da parte della Fed a causare una sorta di rottura, dunque l’attenzione del mercato si sta spostando inesorabilmente sulle decisioni della banca centrale Usa. È esattamente in questo contesto che la divergenza tra gli Stati Uniti ed il resto del mondo rappresenta un problema per l’economia mondiale e per i mercati finanziari. Il problema è che la crescita globale è in gran parte “made in China”, in quanto seconda maggior economia mondiale. Le condizioni monetarie globali sono fortemente influenzate, invece, dalla banca centrale di Washington, poiché il dollaro Usa rappresenta la valuta di denominazione delle riserve internazionali.Quando i cicli economici in Cina e negli Stati Uniti non sono allineati, la forza statunitense, combinata ad una debolezza del Dragone, innesca condizioni monetarie troppo rigide da sostenere per il resto del mondo. Quindi, più divergenza porta a una (eccessiva) restrizione delle condizioni monetarie, che a loro volta comportano maggiori tassi di interesse per gli Stati Uniti, un dollaro americano più forte ed una contrazione del bilancio della Fed.

Per ora, è probabile che le divergenze e le conseguenti condizioni monetarie restrittive continuino. Secondo i nostri indicatori, le condizioni monetarie hanno appena raggiunto livelli che potrebbero portare al picco per le azioni globali nei prossimi sei mesi. Il segnale non è ancora particolarmente forte, ma conferma la nostra opinione secondo cui negli ultimi mesi si è già avviato il processo di una consolidazione dei massimi per i mercati. Il segnale è anche in linea con la sconfortante somiglianza tra i sell-off azionari di febbraio e ottobre, entrambi anticipati dall’aumento dei tassi di interesse statunitensi. Considerando la possibilità di un rimbalzo tattico degli asset rischiosi dopo il sell-off, la storia è passata da “buy-the-dip” a “sell-into-strength” (sempre per quanto riguarda gli asset rischiosi appunto).

Dati i venti contrari descritti sopra, il beneficio del dubbio viene gradualmente rimosso man mano che il mercato diventa “meno indulgente” rispetto, ad esempio, a rischi politici (come l’Italia) e guadagni deludenti.

Per quanto riguarda l’asset allocation, ci aspettiamo che i mercati sviluppati e i settori difensivi sovraperformino per quanto riguarda l’azionario in uno scenario che vede un dollaro Usa in continuo rafforzamento e revisioni negative degli utili. Le obbligazioni ad alto rating dovrebbero essere sempre più ricercate a mano a mano che ci si avvicina ai massimi. I sell-off nelle obbligazioni core come quelli visti a settembre potrebbero, invece, essere considerati come opportunità di acquisto.

Guardando ai prossimi 6-12 mesi, la domanda chiave per i mercati è se vedremo il resto del mondo raggiungere gli Stati Uniti o gli Stati Uniti “riabbassarsi” verso il resto del mondo. Il recupero comporterebbe un deja-vu del 2017, con asset rischiosi in recupero, mentre il secondo scenario porterebbe ad una minore propensione al rischio. Riteniamo che la seconda ipotesi sia più probabile. I fattori che supportano la forza degli Stati Uniti sono per lo più temporanei (tagli alle tasse e jobs act ad esempio), e rischiano di svanire nel 2019. D’altra parte, le difficoltà riscontrate dalla Cina sembrano di natura più strutturale e, quindi, persistenti. Infine, come abbiamo già detto, i rischi finanziari stanno aumentando nell’attuale contesto di fine ciclo.

Dato che l’effetto degli stimoli da parte delle autorità cinesi hanno sempre meno effetto sull’economia domestica, l’attenzione continua ad essere concentrata sulla Fed in quanto principale entità in grado di innescare un ripianamento di questa divergenza. C’è da dire che un contesto simile non è insolito in una fase molto avanzata del ciclo economico, tuttavia negli ultimi anni la storia ha insegnato ai mercati che la liquidità ha molto più peso di quanto gli investitori pensassero: questo rende il ruolo della Fed ancora più cruciale. Una frenata della Fed aumenterebbe la probabilità dello scenario di recupero descritto sopra, facilitato da condizioni finanziarie più accomodanti. Dal nostro punto di vista, questo è più probabile che accada nella seconda metà del 2019, quando gli Stati Uniti rallenteranno ed i rischi finanziari aumenteranno.

 

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