L’Economic outlook 2018 di Invesco. John Greenwood: “Tutti i segnali indicano una sostenuta espansione globale”

imagesCi avviciniamo al nuovo anno con la convinzione che le economie più importanti del mondo continueranno a mostrare forza e resilienza. L’economia statunitense si profila come leader, sostenuta dalla ripresa in corso nell’Eurozona e dal rinnovato slancio che interessa il commercio globale. La probabile fase di espansione che si osserverà nei Paesi sviluppati dovrebbe avere effetti positivi sulle economie di stampo manifatturiero e orientate all’export dell’Estremo Oriente e sui produttori di materie prime in altri Paesi emergenti. L’economia statunitense si profila come leader, sostenuta dalla ripresa in corso nell’Eurozona e dal rinnovato slancio che interessa il commercio globale.

Stati Uniti. Nel 2018 un robusto mercato del lavoro (il tasso di disoccupazione è sceso al 4,2% in settembre – il punto più basso degli ultimi 16 anni) e un’inflazione favorevole dovrebbero sostenere una crescita moderata del PIL reale. Riteniamo che negli Stati Uniti la crescita economica possa raggiungere il 2,2% in termini reali. Per la maggior parte del 2017, l’inflazione è rimasta al di sotto del target previsto dalla Federal Reserve. Governatori e presidenti Fed hanno attribuito i tassi d’inflazione inferiori all’obiettivo alle riduzioni una tantum dei prezzi dei contratti dei cellulari e ad altri eventi eccezionali, sostenendo che la sottoperformance dell’inflazione rispetto all’obiettivo del 2% è “temporanea”. Dopo nove mesi di debolezza dei prezzi, l’affermazione secondo la quale le variazioni osservate sarebbero temporanee comincia tuttavia a perdere credibilità. Uno dei momenti cruciali arriverà nella primavera del 2018, quando i cali dei prezzi del 2017 usciranno dalle comparazioni su base annua. Siamo del parere che il problema sottostante sia la lenta crescita della moneta e del credito. Questo modesto grado di debolezza dei prezzi non è tuttavia destinato a causare grandi danni, purché l’anno prossimo l’inflazione di base cominci a risalire.

In questo quadro, la Federal Reserve ha proseguito la politica di graduale normalizzazione

- non una stretta – dei tassi d’interesse e nel settembre 2017 ha annunciato l’inizio di un piano di riduzione del proprio bilancio. Il “dot plot” allegato alla dichiarazione del Federal Open Market Committee (FOMC) ha prospettato un altro rialzo dei tassi d’interesse a dicembre 2017, seguito da tre ulteriori rialzi di un quarto di punto percentuale nel 2018. Entro la fine del 2018 i tassi dovrebbero essere compresi tra il 2,0% e il 2,25%. Il programma di riduzione del bilancio dovrebbe invece servire a dare nuovo slancio all’economia nel 2018.

Il ridimensionamento inizierà con 10 miliardi di dollari statunitensi al mese durante il quarto trimestre del 2017, ma si prevede un aumento fino a 50 miliardi di dollari statunitensi al mese nel trimestre finale del 2018. Ciò significa che gli

investitori del settore privato dovranno sostituirsi alla Fed come detentori di tali titoli e che il Tesoro statunitense e le agenzie governative dovranno pertanto incrementare le dimensioni delle loro aste. La vendita di altri titoli di debito per 50 miliardi di dollari statunitensi al mese potrebbe far crescere i tassi a lungo termine, inasprire le condizioni finanziarie e contrarre il credito bancario e la crescita monetaria. Siamo del parere che la Fed debba procedere con cautela.

Ci sono buone ragioni per ritenere che l’attuale espansione dell’economia americana sia destinata a protrarsi e potrebbe diventare la fase positiva più lunga della storia finanziaria degli Stati Uniti. Ciò implicherebbe una ripresa continua superiore all’espansione record – dal minimo al massimo congiunturale – di 120 mesi registrata tra marzo 1991 e marzo 2001 (secondo il National Bureau of Economic Research). L’unica minaccia reale a queste previsioni è la possibilità che la Federal Reserve e le altre banche centrali possano commettere un errore sulla strada della normalizzazione, adottando una linea di politica monetaria troppo rigorosa. In caso di stretta eccessiva, vi è il rischio reale di un rallentamento nel 2018-19 e di una continuazione di tassi d’inflazione al di sotto dell’obiettivo in molte economie primarie.

Questo non è il nostro scenario base, ma gli investitori devono essere consapevoli di tale possibilità.

Zona euro

Recentemente la zona euro si espande con una dinamica prossima al potenziale dell’economia. Questo è essenzialmente il risultato del programma di acquisto di titoli iniziato dalla Banca Centrale Europea (BCE) nel marzo 2015 e

della relativa accelerazione dell’aggregato monetario (M3). Per assicurare un sostegno a questo dinamismo economico, le banche devono creare credito più rapidamente. In caso contrario con la riduzione del volume d’acquisto da parte della Bce, il credito potrebbe subire una notevole flessione. Sebbene le singole economie dell’area della moneta unica siano in ripresa, la base per una crescita sostenuta della M3 pari al 5% o più nella zona euro (che a nostro giudizio è il minimo necessario per garantire una crescita reale del 2% e un’inflazione del 2%, tenuto conto del calo dell’1% annuo della velocità di circolazione, o circolazione della moneta rispetto al reddito) è nettamente fragile. Sussiste pertanto il rischio che a fronte di una riduzione del quantitative easing, l’aggregato monetario subisca una nuova flessione con il conseguente declino del tasso di inflazione che si allontanerebbe ulteriormente dal

target del 2%. Prevedo che il prossimo anno l’inflazione rimanga sotto il target stabilito in seguito alla crescita inadeguata dell’aggregato M3.

Regno Unito

Dopo un primo semestre deludente, nel Regno Unito l’economia ha mostrato qualche segno di ripresa nel terzo trimestre del 2017, rimanendo però al di sotto della sua recente tendenza. Nei prossimi 12 mesi la spesa dei consumatori e delle imprese potrebbe fare da elemento trainante. Riteniamo che la crescita sia destinata a protrarsi per due ragioni. In primo luogo per lo stimolo impresso dalla politica monetaria e inoltre a causa della debolezza della sterlina, che ha rafforzato il settore dell’export in misura molto maggiore del previsto. Nel Regno Unito anche il mercato del lavoro appare essere in buona salute: cresce il numero di posti di lavoro, il tasso di disoccupazione è ai minimi, mentre il tasso di partecipazione è a livelli record.

In questo contesto la Banca d’Inghilterra ha alzato i tassi d’interesse dallo 0,5% allo 0,25%, per la prima volta dal 2007, con 7 voti a favore e 2 contrari del Monetary Policy Committee (MPC).

Oltre all’inflazione importata, vi è il pericolo che l’accelerazione dell’espansione monetaria e del credito nel Regno Unito possa aggiungersi all’inflazione generata a livello locale. Oltre a ciò,

riteniamo che la crescita si assesterà intorno all’1,5% fino al superamento delle incertezze legate ai negoziati sulla Brexit.

Giappone

L’andamento dell’economia giapponese è soddisfacente. Il Pil ha registrato una crescita reale per sei trimestri consecutivi. Una serie così positiva non si verificava da più di dieci anni. Sul mercato del lavoro si continua ad osservare un irrigidimento che dovrebbe protrarsi anche nel 2018 e una bassa crescita dei salari, a dimostrazione del fatto che la curva di Phillips non è una teoria affidabile per l’inflazione.

Nonostante un ampio allentamento quantitativo e qualitativo (QQE) della Banca del Giappone, l’inflazione dovrebbe rimanere debole e sotto il target definito dalla banca centrale, benché sopra lo zero. Per il 2018, la crescita economica dovrebbe rimanere stabile (circa l’1,2%), anche se inferiore a Stati Uniti ed Europa.

Cina e Asia emergente

Sia la Cina, sia i Paesi emergenti dell’Asia dovrebbero beneficiare di una crescita seppur modesta del commercio globale. Mentre questa evoluzione dovrebbe sostenere i prezzi delle materie prime, non credo che osserveremo un boom di questo settore. Poiché la Cina è di gran lunga il mercato emergente maggiore e anche il più grosso acquirente di materie prime sui mercati mondiali, la crescita delle importazioni cinesi è di fondamentale importanza per numerosi esportatori di materie prime, dei mercati sviluppati ed emergenti. Nel caso in cui la Cina riesca ad attuare una stabile ripresa interna nei prossimi due anni, le prospettive per tali economie esportatrici di materie prime sono destinate a migliorare notevolmente. Tuttavia alla luce di una ripresa moderata delle economie sviluppate dell’Occidente, lo slancio cinese potrebbe non essere vigoroso a sufficienza per trainare i Paesi produttori di commodity.

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