Amundi. L’Italia verso la procedura d’infrazione per deficit eccessivo

Il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte

Il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte

Come previsto, dopo aver riesaminato la proposta di legge di bilancio per il 2019 presentata il 13 novembre dal governo italiano (proposta alla quale non sono stati apportati dei cambiamenti significativi sia sul fronte delle previsioni economiche, sia su quello degli obiettivi di deficit), la Commissione europea ha confermato l’esistenza di “un’inosservanza particolarmente grave” delle raccomandazioni del Consiglio dell’Ecofin. Alla base di tale valutazione c’è lo scostamento dell’1,4% del PIL tra il peggioramento strutturale del bilancio (0,8%) programmato dal governo italiano e la correzione (-0,6%) raccomandata dal Consiglio nel luglio 2018. Nel fine settimana, però, il Premier Conte nel colloquio con il Presidente della Commissione europea Jean – Claude Juncker ed i commissari Dombrovskis e Moscovici, si è detto disponibile a ridurre il rapporto deficit/Pil dal 2,5% al 2,2% e a diluire l’entrata in vigore delle misure relative al reddito di cittadinanza e Quota Centro per le pensioni facendone slittare l’applicazione non all’inizio del nuovo anno, ma alcuni mesi dopo. Questa disponibilità a riportare verso il basso l’asticella del deficit e a diluire l’impatto sui conti pubblici sulla manovra finanziaria è subordinata all’accettazione da parte della maggioranza gialloverde e ai due vice premier Luigi Di Maio (M5S) e Matteo Salvini (Lega) che hanno sempre difeso a spada tratta il documento programmatico di bilancio sostenendo di non essere disponibili ad indietreggiare.

Al momento, come ha accertato la Commissione, la decisione del Governo di aumentare il rapporto deficit-Pil al 2,5% nel 2019, costituisce “una violazione deliberata, importante e senza precedenti”. Pertanto, il Patto di Stabilità e Crescita prevede quindi che si passi dalle misure del meccanismo preventivo a quelle del meccanismo correttivo. Di conseguenza, la Commissione europea ha effettuato i primi passi per aprire la procedura d’infrazione per deficit eccessivo basato sul debito (PDE), un processo che sarà comunque relativamente lungo.

Secondo la procedura, dopo alcuni passi chiave (si rimanda all’art. 126, paragrafi 4.-5-6-7 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFEU), il Consiglio potrà inviare una raccomandazione all’Italia in cui specificherà gli obiettivi annuali sia in termini nominali che strutturali, in particolare per il deficit, basati sulle previsioni economiche della Commissione. Questa raccomandazione sarà accompagnata da un processo di follow-up e da un calendario, così da valutare i progressi realizzati verso il ripristino del rispetto delle norme sul deficit e sul debito (che consentiranno di chiudere la procedura d’infrazione).

Lo scenario più probabile è che la decisione del Consiglio di aprire la PDE sarà emessa al più tardi tra metà gennaio e metà febbraio in base ai passi previsti dalla procedura. Visto che si tratta di una procedura per debito eccessivo, il monitoraggio dei progressi sarà probabilmente meno frequente (ogni sei mesi). Tenuto conto dell’attuale contesto macroeconomico, e nell’ipotesi che ci sia la collaborazione del governo italiano, ci vorranno perlomeno tre anni per ristabilire il rispetto delle norme sul deficit e sul debito.

Focus

A ottobre l’indice S&P 500 è ridisceso ai minimi (-10% rispetto ai massimi).  Non si trova ancora tuttavia nella fase di “bear market” (-20%) associata alle recessioni. Esiste tuttavia un’eccezione a questa regola: il 1987. Allora il crollo era stato certamente molto più dirompente di quello odierno            (-33% per l’indice S&P 500), ma la reazione della Fed (un taglio dei tassi di 100 pb), aveva consentito al mercato di ripartire nel mese di dicembre con una ripresa degli utili nel 1988.

Di solito, l’aumento dei tassi sui Fed fund è negativo per il rapporto prezzo/utili. Il 1987 ha costituito un’eccezione. Tuttavia la diminuzione del P/E, una volta iniziata, si è interrotta solo quando la Fed ha abbassato la guardia. Nel 2017, anche se il P/E ha continuato a salire durante i primi aumenti dei tassi (ed è quindi venuto meno il rischio di deflazione), ha poi vacillato un paio di volte nel 2018 (febbraio e ottobre).

Ci sono due possibili scenari: 1) il calo delle azioni proseguirà e finirà col piegare la Fed, come nel 1987, 2) i mercati verranno rassicurati riguardo al fatto che la crescita degli utili rimarrà positiva nel 2019. In entrambi i casi è d’obbligo la prudenza perché la situazione peggiorerà prima di migliorare e perché i tassi più alti e gli utili sono ormai in contrapposizione, e ciò ridurrà il rendimento sul capitale investito.

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Economia, Finanza e contrassegnata con , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


quattro + due =

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>