Amundi. L’analisi della settimana: crollo del prezzo del petrolio e Brexit

oil-and-gas-shutterstock_164604326Il crollo senza precedenti del prezzo del petrolio, – 27% in 40 giorni, è legato al cambiamento radicale della posizione dell’amministrazione Trump sulle sanzioni in Iran. Le preoccupazioni riguardanti l’interruzione delle forniture in Iran e in Venezuela sembrano essersi dissolte dopo l’annuncio di Trump di deroga dalle sanzioni per otto Paesi che ha spianato così la strada ad un aumento delle esportazioni del petrolio iraniano nel breve termine. Inoltre la produzione non-OPEC è aumentata a ottobre di 127mila barili al giorno, esercitando delle pressioni ribassiste sui prezzi. Al contempo, questa settimana l’OPEC ha rivisto al ribasso le sue previsioni sulla domanda di petrolio nel 2019 che dovrebbe rallentare ancora più rapidamente del previsto.

Da un’ipotesi di offerta insufficiente si è passati rapidamente ad un’offerta potenzialmente in eccesso nel 2019, e questo rovesciamento di fronte ha causato la scorsa settimana un crollo spettacolare del prezzo del petrolio. I mercati hanno probabilmente reagito in modo eccessivo ai recenti sviluppi politici e ai rapporti dell’OPEC, per cui noi prevediamo che nei prossimi trimestri il Brent si manterrà al di sopra dei 70 dollari.

La settimana è stata caratterizzata da un susseguirsi di notizie riguardo alla Brexit con l’annuncio di un accordo tra l’Unione europea e il Regno Unito, la sua approvazione da parte del Gabinetto del primo ministro britannico, le dimissioni di diversi ministri e l’inizio da parte di alcuni parlamentari euroscettici Tory della procedura per una mozione di sfiducia.

Il motivo principale per cui i fautori di una hard Brexit rifiutano l’accordo è che nel “backstop plan” in cui si prevede che non ci sarà un confine rigido in Irlanda, il Regno Unito rimarrà in un’unione doganale con l’UE fin quando non sarà trovata un’altra soluzione, senza la possibilità di uscirne in modo unilaterale.

T.May sembra essere in grado di mantenere la sua posizione di PM. Mentre la soglia di 48 Parlamentari conservatori necessari per il voto di sfiducia potrebbe essere raggiunta, appare invece improbabile che tra i 315 parlamentari venga ottenuta la maggioranza per defenestrarla.

La ratifica dell’accordo da parte del Parlamento britannico sarà molto difficile e probabilmente creerà nuovi episodi di tensione, ma non è impossibile. Per ora, la maggioranza dei parlamentari dice o fa capire che respingerà l’accordo. Tuttavia, l’atteggiamento finale di alcuni di loro probabilmente cambierà (possibilmente dopo numerose votazioni) quando e se risulterà chiaro che le sole alternative sono il mancato accordo sulla Brexit oppure una crisi politica che potrebbe sfociare nelle elezioni anticipate. Riguardo alle intenzioni di voto, alcuni parlamentari potrebbero anche fare del tatticismo.

Per ora continuiamo ad attribuire una probabilità del 70% ad uno scenario di accordo in cui il Regno Unito entrerà in un periodo di transizione almeno fino alla fine del 2020.

Questa probabilità comprende percorsi diversi e molto accidentati inframmezzati da tattiche allarmiste, nuove trattative, crisi politiche, nuove elezioni e una breve estensione delle scadenze, ma comunque con un accordo alla fine. La probabilità di una Brexit senza accordo rimane del 20%, ben sapendo che le misure di tamponamento probabilmente impediranno comunque di finire in un quadro commerciale regolamentato unicamente dalle norme dell’OCM. La probabilità di un secondo referendum dopo nuove elezioni e la vittoria dei partiti dell’opposizione continua secondo noi ad aggirarsi attorno al 10% (con diversi esiti a seconda delle domande poste e del risultato).

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