Invesco. Alla ricerca di segnali in un contesto complesso: la curva dei tassi

Wall Street a New York

Wall Street a New York

Si parla molto della curva dei tassi negli Stati Uniti. Giustamente, perché è molto piatta, cioè i titoli a scadenza lunga non rendono molto più di quelli a breve, come normalmente invece accade. E nel passato una curva “invertita,” cioè con i rendimenti di breve più alti di quelli a lunga, è stato un indicatore che ha anticipato l’arrivo di una recessione di periodi variabili fra i 6 e i 24 mesi. Anche senza pensare alle recessioni, una curva dei rendimenti più piatta si è spesso associata a una più lenta crescita economica reale a distanza di circa due anni. Oggi la curva, benché molto poco inclinata, non è ancora invertita. E possono esistere ragioni tecniche per cui l’inclinazione è bassa. L’argomento di cui vogliamo parlare però è se e quale relazione esista fra pendenza della curva dei tassi USA e volatilità del mercato azionario.

Il mercato azionario USA infatti è il riferimento per tutte le borse mondiali e ha fatto registrare un’impressionante sequenza di nuovi massimi negli ultimi anni, in un bull market, lunghissimo in chiave storica, che dura dal marzo 2009 e sostenuto dall’espansione economica che per soli otto mesi non è ancora la più lunga dal 1854.

Se, come si dice spesso, una correzione del mercato può essere fisiologica, e i bruschi rovesci di mercato delle ultime giornate ce lo stanno ricordando, e ci troviamo in una fase di maturità del ciclo economico e di quello del mercato azionario, meglio cercare elementi che possano aiutarci a prepararci ai possibili scenari futuri. E tutto sommato l’inclinazione della curva dei tassi fra le scadenze 2-10 anni ci dà informazioni interessanti sulla volatilità del mercato. Che, come sappiamo, aumenta in modo significativo nelle fasi di discesa. È interessante notare come, su orizzonti temporali piuttosto brevi, l’inclinazione della

curva dei tassi abbia una relazione positiva con la volatilità realizzata dell’indice S&P 500. Cioè, se la curva si irripidisce, la volatilità aumenta, se invece si appiattisce, la volatilità diminuisce.

Le due informazioni sono contrastanti solo in apparenza. Una possibile spiegazione logica sottostante è che, nel breve periodo, l’assenza di un irripidimento della curva segnali l’assenza di una necessità di stimoli monetari (tassi a breve che scendono) o di un’accresciuta percezione del rischio (tassi a lunga che salgono). Poiché tendenzialmente nessuna delle due cose è favorevole al mercato azionario, la loro assenza giustifica la presenza di una volatilità contenuta.

Su un arco temporale più lungo (2-3 anni), abbiamo visto come una curva piatta indichi un rallentamento dell’attività economica, che di solito non è accolto bene dai mercati azionari Oggi la curva dei tassi USA, quindi, sembra mandarci tre messaggi. I primi due di mercato. Che forse non è il caso di aspettarci un rialzo

brusco e duraturo della volatilità a breve, quindi le correzioni recenti potrebbero non avere una vita lunga. E che nel medio termine, invece, potremmo assistere a una fase di rialzo più significativo della volatilità.

Il terzo è metodologico. I fondamentali macroeconomici e microeconomici per il momento rimangono buoni. Il livello di preoccupazione legato a fattori di rischio esogeni, a partire da quelli politici, è salito molto e provoca un comprensibile nervosismo:

un forte rumore di fondo che rende difficile captare i segnali. La crescente complessità del contesto in cui ci troviamo richiede un più intenso sforzo interpretativo degli indicatori e delle informazioni. Facili letture “meccaniche,” dalle implicazioni automatiche sulle scelte di investimento, non sono più disponibili. Ma non sarà certo questo a scoraggiarci.

Luca Tobagi CFA

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