Presentata la congiuntura REF di ottobre. Il ciclo economico espansivo si avvia verso l’epilogo e l’Italia si fa male con le proprie mani

Giovanni Tria, ministro dell'Economia e delle Finanze

Giovanni Tria, ministro dell’Economia e delle Finanze

Il ciclo economico espansivo si avvia verso l’epilogo. I segnali di deterioramento del quadro macroeconomico si accentuano. I rischi al ribasso sono aumentati. All’orizzonte si stanno addensando nubi che preannunciano l’arrivo di una recessione. Le banche centrali hanno sostenuto ovunque la ripresa economica dopo l’inverno della caduta in recessione a seguito della Grandi Crisi, con potenti iniezioni di liquidità, ma ora – di fronte all’enorme stock di debito pubblico e privato – ma il processo di normalizzazione della propria politica monetaria (per altro messo in pratica solo dalla Fed e in maniera per altro accorta e con comunicazioni ai mercati attentamente studiate) è accompagnata dalla grande incognita della reazione dell’economia al venir meno progressivamente degli stimoli monetari. Tutto questo pone interrogativi sulla tenuta delle economia (americana, europea e degli emergenti) quando le Banche centrali avranno del tutto cessato la politica del quantitative easing. Un problema che più che gli Stati Uniti, riguarda i Paesi emergenti (schiacciati dal tasso d cambio sfavorevole con il dollaro sempre più valuta superstar, che fa fuggire i capitali di investimento e ne appesantisce deficit e debito), e l’area dell’euro, dove l’Italia con la sua manovra pubblica in deficit rappresenta un fattore che ulteriore indebolimento delle policy.

E’ questo in sostanza la conclusione cui perviene l’ultima congiuntura di REF Ricerche di Milano.  “Nel 2018-19 cambiano regime le politiche monetarie internazionali. Siamo ancora in una fase espansiva, i cui stimoli alla crescita della domanda verranno gradualmente rimossi proprio mentre il ciclo mondiale inizia a mostrare segnali di decelerazione” si legge tra l’latro nel comunicato stampa diramato in occasione della presentazione del rapporto redatto dal team di ricercatori di Ref Ricerche, coordinato dall’economia Fedele De Novellis. “I tempi lunghi nella reazione delle banche centrali al miglioramento della congiuntura sono eloquenti dei tratti peculiari che hanno caratterizzato le tendenze dell’economia globale nell’ultimo decennio. I comportamenti sono stati adeguati a un regime di tassi d’interesse vicini a zero e la prospettiva di una normalizzazione delle politiche solleva diversi elementi di incertezza. Difatti, la strategia di uscita dalle politiche monetarie espansive degli anni scorsi si dovrà confrontare con un mondo caratterizzato da un livello del debito, pubblico e privato, che non ha precedenti; ciò crea il rischio di una recessione globale”.

Lo snodo centrale del prossimo anno – sostengono gli analisti di REF – avrebbe dovuto essere rappresentato dalla capacità della politica monetaria americana di guidare la transizione verso un livello dei tassi d’interesse più elevato. Un compito certamente non agevole, ma reso ancor più gravoso dalle scelte del Presidente Trump, che è entrato prepotentemente al centro della scena, intervenendo in diverse materie, non sempre secondo uno schema coerente.

Il primo passo è stato rappresentato quest’anno dagli sgravi fiscali. La politica di bilancio espansiva americana è anomala, proprio perché realizzata in una fase molto avanzata del ciclo, quando l’economia ha oramai chiuso l’output gap e viaggia in piena occupazione. Proprio la politica fiscale sta spingendo la Federal Reserve ad accelerare gli aumenti dei tassi d’interesse e a puntare a un obiettivo più alto di quello pensato fino a pochi mesi fa. Lo stesso Trump, dopo avere concorso con le sue politiche a determinare le condizioni per politiche monetarie meno accomodanti, ha quindi criticato la Fed per le sue scelte.

Il policy mix americano, caratterizzato dalla sovrapposizione di una politica di bilancio espansiva e di una politica monetaria che diventerà restrittiva, spinge nella direzione di fare apprezzare il dollaro. Il rientro dei capitali verso gli Usa penalizza i paesi emergenti, che subiscono l’irrigidimento delle condizioni finanziarie interne e il deprezzamento dei rispettivi tassi di cambio. Tanto più che a favore del dollaro gioca un altro tassello della Trumpnomics: l’imposizione di aumenti delle tariffe sugli scambi commerciali.

Si è così aperta la guerra dei dazi, inizialmente con misure di entità poco più che simbolica, dato il numero limitato di prodotti e paesi interessati, ma con una estensione graduale e potenzialmente crescente a una fascia più ampia e significativa degli scambi globali.

All’esuberanza della politica di bilancio Usa si contrappongono d’altra parte oggettive difficoltà per le politiche economiche europee, chiamate a interagire con un quadro esterno sempre più complesso. L’elemento di incertezza peculiare per il prossimo anno è anche l’uscita del Regno Unito dalla Ue, sulle cui modalità ancora non si è pervenuti a un accordo definitivo e che è sempre più probabile venga rinviata. L’Eurozona fatica a trovare una linea di policy anche per i cambiamenti negli equilibri politici all’interno di diversi paesi. Inoltre, l’impasse delle politiche è anche legato all’approssimarsi dell’appuntamento elettorale europeo del prossimo maggio.

La politica monetaria ha avviato l’uscita dal Quantitative easing, ma con molta gradualità e i tassi d’interesse aumenteranno al più nella seconda metà del prossimo anno.

Le politiche di bilancio non vedono grandi elementi di innovazione, fatta eccezione ovviamente per il caso dell’Italia.

Molti paesi hanno oramai approssimato, e talvolta superato, gli obiettivi di convergenza verso il pareggio; alcuni, soprattutto la Francia, stanno ancora diluendo i tempi di convergenza.

La posizione italiana è peculiare nel panorama europeo. Ai segnali di decelerazione emersi sin dai primi mesi dell’anno in corso, e legati soprattutto al quadro internazionale meno favorevole (calo dell’export in presenza di consumi interni sempre deboli), si sono aggiunte le tensioni finanziarie, con l’allargamento dello spread e le forti perdite degli indici di Borsa. Se la situazione sui mercati non si normalizzerà in tempi brevi gli effetti reali attesi dalla politica di bilancio espansiva del Governo verranno annullati.

Nello scenario di REF Ricerche gli impulsi di bilancio alla crescita si producono gradualmente, anche perché le nostre ipotesi scontano che diverse misure – soprattutto il reddito di cittadinanza e gli investimenti pubblici aggiuntivi – riusciranno a essere realizzate solo in misura parziale nel primo anno. Questo rende peraltro plausibile un livello del deficit nel 2019 inferiore all’obiettivo del Governo.

Più difficile, invece, il quadro dei conti pubblici negli anni successivi. Il Governo anticipa un andamento decrescente del deficit, ma incorporando nel percorso di rientro un’altra clausola di salvaguardia sull’Iva. È una misura che però non è scontato che verrà adottata; appare peraltro oggettivamente difficile individuare interventi alternativi in tagli alle spese. D’altra parte, è contraddittorio fissare obiettivi di crescita prodotti nel primo anno da maggior deficit pubblico e accompagnati poi da minor deficit.

Non è neanche facile, però, seguire l’ipotesi di una disattivazione delle clausole in disavanzo: questo accadeva negli anni scorsi, ma una cosa è rivedere un obiettivo di saldo in pareggio, altra cosa è rivedere al rialzo obiettivi di deficit già al 2 per cento. I rischi insomma, sono che il quadro dei conti pubblici scivoli verso saldi prossimi o superiori al 3 per cento.

Non è un caso che i mercati abbiano reagito male alle proposte del Governo. Le tensioni finanziarie stanno montando e il rischio che si palesa è quello di un avvitamento, che passa per le perdite registrate dalle quotazioni delle banche e un possibile ridimensionamento dell’off erta di credito al sistema.

Non è da escludere che nelle prossime settimane la struttura della manovra possa subire qualche aggiustamento. Una fase di aumento delle tensioni sui mercati non sembra utile, anche dal punto di vista degli obiettivi politici del Governo: se è vero che lo scontro con le autorità europee può fare gioco per giustificare la realizzazione solo parziale dei programmi annunciati, è anche vero che un avvitamento in una recessione non giova, soprattutto se l’obiettivo è quello di traguardare le elezioni europee di maggio prossimo.

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