Invesco. Le turbolenze di breve termine non possono compromettere i fattori fondamentali che alimentano la vivacità del ciclo economico globale. Articolo di John Greenwood

FOTO CRESCITA ECONOMICAI mercati sono stati alle prese con una combinazione di incertezze, quali l’intensificazione delle tensioni commerciali, il rafforzamento del dollaro americano, la Brexit e i problemi politici e finanziari della zona euro. Sebbene questi elementi possano causare turbolenze sui mercati nel breve termine, John Greenwood, Invesco Chief Economist, ritiene che nessuno di essi sia di per sé sufficiente a compromettere i fattori fondamentali che alimentano la ripresa del ciclo economico globale. Né si aspetta che gli attuali aumenti dei tassi d’interesse negli Stati Uniti, la prima delle grandi economie a iniziare il processo di normalizzazione della politica monetaria, possano soffocare l’attuale fase di vivacità. Come spiega nel suo Economic Outlook per il 3° trimestre 2018, le fasi di aumento dei tassi d’interesse statunitensi sono generalmente di due tipi: o correzioni di medio periodo – ovvero normalizzazioni – durante le espansioni del ciclo economico, oppure rialzi di fine ciclo concepiti per arginare l’aumento dell’inflazione. Greenwood ritiene che gli attuali aumenti dei tassi d’interesse negli Stati Uniti siano del primo tipo, analoghi a quelli operati nel 1994-95 e 2004-05. Secondo l’Invesco Chief Economist, questo tipo di adeguamento dei tassi d’interesse può essere momentaneamente allarmante per i mercati finanziari, ma di norma è salutare.

In sostanza, Greenwood sostiene che i tassi d’interesse statunitensi siano aumentati per prevenire eccessi di crescita della massa monetaria e surriscaldamento economico, consentendo alla fase di espansione del ciclo economico di continuare ancora per parecchi anni. Non ravvisa alcuna tendenza rialzista fondamentale sul fronte del tasso d’inflazione USA e dei perduranti bassi tassi di crescita della moneta e del credito, il che significa che non sarà necessario che la Federal Reserve continui ad aumentare i tassi d’interesse quando questi avranno raggiunto livelli “neutrali”.

Al contempo, i tassi d’inflazione sono ampiamente al di sotto dell’obiettivo del 2% in altre economie primarie, come la zona euro e il Giappone. Greenwood ritiene pertanto che non vi siano rischi di una stretta improvvisa o destabilizzante della politica. Per le economie avanzate nel loro complesso, ciò significa che trascorreranno almeno due anni, forse tre o quattro, nel corso dei quali il ciclo economico globale potrà espandersi, senza intraprendere il tradizionale percorso inflazionistico. “Ciò implica che i massimi dei mercati azionari e immobiliari per il ciclo potrebbero essere toccati parecchi anni dopo il completamento della serie degli attuali aumenti dei tassi d’interesse”, afferma l’Invesco Chief Economist.

Sul piano dei singoli paesi, i rafforzamenti dei dati economici di recente comunicati indicano che il rallentamento statunitense nel primo trimestre è stato puramente passeggero. Sebbene molti analisti prevedano che i tagli fiscali di Trump alla fine del 2017 apporteranno un forte contributo alla crescita del PIL americano il prossimo anno, Greenwood crede che gli stimoli fiscali siano stati significativamente compensati dalla lenta crescita della moneta e del credito. Pertanto, benché ne possa scaturire qualche effetto “spiazzamento” sul fronte dei tassi d’interesse, l’impatto a livello di crescita e inflazione è destinato a essere limitato. Nel complesso, l’Invesco Chief Economist si attende pertanto una crescita del PIL reale del 2,5% per l’economia statunitense nel 2018.

Al contempo, l’Unione Europea è stata alle prese con il separatismo in Spagna, la crisi della coalizione in Italia e il dibattito europeo sull’immigrazione, che ha minacciato di diventare critico per la Cancelliera tedesca Merkel, mentre le trattative per la Brexit sono continuate a ritmo incerto. Questi sviluppi politici hanno gravato sull’attività economica nella zona euro. In prospettiva, Greenwood si attende un ulteriore indebolimento dell’attività economica nel corso dell’estate a fronte delle controversie commerciali con gli Stati Uniti, dei persistenti problemi nel sistema bancario e della perdurante crescita fiacca del credito.

Secondo l’Invesco Chief Economist, quest’ultima implica che nel momento in cui la Banca Centrale Europea concluderà gli acquisti di asset a dicembre, i depositi e quindi la crescita M3 in tutta la regione scenderanno a un livello più basso. Ciò potrebbe rappresentare un freno sulla crescita economica e scendere l’inflazione verso l’1% o meno, il che induce l’Invesco Chief Economist ad attendersi una crescita del PIL reale del 2,1% nel 2018 per la zona euro nel suo complesso.

Nel Regno Unito, lo shift verso le esportazioni e gli investimenti legati all’export ha ridotto la dipendenza dell’economia dai consumi nell’ultimo paio d’anni. Tuttavia, negli ultimi trimestri tale tendenza si è attenuata in quanto le incertezze sugli accordi commerciali post-Brexit hanno convinto le aziende a rinviare gli investimenti. Greenwood è del parere che ciò, in combinazione con la debolezza dei salari reali e la crescita lenta della moneta e del credito, farà sì che la crescita nel Regno Unito nel breve termine continuerà probabilmente a essere inferiore a quella statunitense e della zona euro. Nel complesso, si attende una crescita del PIL reale dell’1,4% per il 2018.

In Asia, il Giappone continua a evidenziare performance deboli che rispecchiano la mancanza di crescita della forza lavoro associata all’invecchiamento della popolazione e la cronica mancanza di domanda interna. Come sottolinea Greenwood, l’aggregato monetario ampio (M2) del Giappone non è ancora abbastanza rapido da generare un’inflazione sostenuta. Ciò significa che l’inflazione continuerà mediamente a scendere ampiamente al di sotto dell’obiettivo del 2% della BoJ e sarà accompagnata da una bassa crescita del PIL nominale, una crescita dei salari inferiore alla media e spese al consumo deludenti. L’Invesco Chief Economist si attende una crescita del PIL reale dello 0,9% per il Giappone per l’anno 2018.

In Cina, le misure per ridurre la leva finanziaria dopo parecchi anni di accumulo di debito eccessivo a livello di governi locali, imprese e istituti finanziari non bancari, stanno dando risultati. Il rallentamento della crescita della moneta ha provocato qualche indebolimento della domanda interna. Sul fronte esterno, l’Invesco Chief Economist rileva due forze contraddittorie in azione. Da una parte, le esportazioni cinesi hanno registrato una modesta ripresa, mentre dall’altra gli effetti negativi dei dazi sulle importazioni imposti dall’amministrazione Trump – mirati a molti dei settori cinesi più avanzati – stanno cominciando ad avere effetto.

Sebbene sia troppo presto per dire con certezza come si evolverà la guerra commerciale di Trump, Greenwood delinea due scenari plausibili. Nel primo, Stati Uniti e Cina riprendono le trattative e la Cina offre concessioni nei prossimi quattro mesi, in vista delle elezioni statunitensi di medio termine a novembre. Nel secondo scenario, la Cina risponde interamente ai dazi USA con contromisure equivalenti, costringendo l’amministrazione Trump ad alzare nuovamente la posta, facendo così continuare la guerra commerciale per un periodo indefinito, con potenziali danni significativi al commercio internazionale e alle relazioni sino-americane. Per ora, Greenwood si attende una crescita del PIL reale ufficiale cinese del 6,7% nel 2018.

John Greenwood, Chief  economist di Invesco

 

 

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