Invesco. E se la tecnologia creasse occupazione? Articolo di Luca Tobagi

borsa-mercati-finanziariSentiamo da anni frasi come questa “i robot ci ruberanno il lavoro”, conseguenze dell’innovazione tecnologica. Nel contesto della Grande Recessione seguita alla Grande Crisi Finanziaria, in cui molti posti di lavoro sono stati distrutti, possono suonare macabre. È veramente così? Fra le visioni estreme di chi abbraccia con entusiasmo la tecnologia e chi invece la osteggia, è molto probabile che cadiamo in un equilibrio intermedio. Più interessante, a mio parere, è interrogarsi sul perché e quali prospettive potrebbero derivarne per i mercati. Mi sono messo a cercare dati. Curiosamente, per quanto si parli di robot, non è semplice reperirne di attendibili. La International Federation of Robotics ne raccoglie alcuni. Che ci mostrano come le economie in cui la presenza di robot è maggiore (2016) hanno i tassi di disoccupazione minori. I grafici vanno contro la vulgata classica che i robot eliminino posti di lavoro. Se fosse vero, le economie con una maggiore penetrazione di robot potrebbero mostrare tassi di disoccupazione più elevati. Invece sembra vero il contrario. Perché? Ho due ipotesi, che non si escludono a vicenda.

La prima è che la tecnologia abbia un impatto positivo sulla produttività, in particolare del lavoro più costoso e a più alto valore aggiunto, rispetto a quello che crea un minore valore aggiunto.

La seconda è che la tecnologia e i robot possano sostituire il lavoro laddove c’è carenza di offerta. In un esempio banale: non si riescono a trovare tutti gli operai specializzati che servirebbero in Giappone? Li sostituiamo con un robot. Ma “sostituiamo” quelli che vorremmo assumere e mancano, non eliminiamo chi già lavora. Queste due ipotesi presentano un lato positivo: sono compatibili con un’evidenza empirica che da tempo sfida la consolidata relazione fra inflazione e disoccupazione della famosa curva di Phillips, in base alla quale la riduzione del tasso di disoccupazione spinge al rialzo l’inflazione. In alcuni Paesi ormai il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli molto bassi, mentre l’inflazione, riportata faticosamente in territorio positivo con le manovre non convenzionali delle Banche Centrali, non raggiunge gli obiettivi di politica monetaria.

Non possiamo escludere che la tecnologia, aumentando la produttività del lavoro, in particolare quello più costoso in termini di salario, possa aver contribuito a tenere a freno la dinamica dei prezzi. Questo è un altro argomento controcorrente: molte analisi e serie di dati mostrano una tendenza decrescente della produttività. Non amo andare contro l’evidenza – lo ripeto, qui stiamo solo ragionando, non proponendo soluzioni a puzzle economici – ma bisogna sottolineare come la quantificazione della produttività sia uno dei compiti più sfuggenti e complessi.

Nel 1987 il premio Nobel Robert Solow dichiarò che si vedono computer ovunque, tranne che nelle statistiche sulla produttività. Oltre trent’anni dopo, potremmo trovarci in una situazione simile. Se così fosse, potrebbero esserci conseguenze positive per i mercati finanziari, per almeno due motivi diretti.

Innanzitutto, se la disoccupazione non fosse destinata ad aumentare per effetto della tecnologia, la traiettoria dei consumi, elemento preponderante nella composizione del Pil dei Paesi più avanzati, avrebbe un problema in meno da fronteggiare, con ripercussioni positive per la crescita economica.

In secondo luogo, se l’inflazione rimanesse su livelli moderati ancora a lungo, le Banche Centrali avrebbero meno pressioni ad agire per restringere le proprie politiche monetarie accomodanti. Dato il ruolo cruciale che esse hanno svolto negli ultimi anni, gli investitori pensano a come posizionarsi in una fase di

normalizzazione, ed è facile comprendere l’importanza dell’eventualità, che ritengo inattesa dal consenso, di un’azione più morbida delle aspettative in un contesto benigno, e non a causa di nuove difficoltà.

Mentre aspettiamo di vedere che cosa accadrà, concludo con questa frase di Steve Jobs: baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate. Giusto per ricordarci che noi umani abbiamo ancora molto da dire.

Luca Tobagi, CFA investment strategist Invesco

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