Hermes. L’Italia e l’Europa, un dilemma di integrazione. Articolo di Silvia Dall’Angelo

Il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte tiene al Senato il discorso sulla fiducia

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Il recente caso politico italiano ha riacceso il dibattito sul futuro dell’Unione Europea e sulla sostenibilità della moneta unica nel suo attuale quadro istituzionale. Mentre la situazione si sta normalizzando, il panorama italiano rimane fragile e rappresenta l’emblema delle sfide che l’eurozona sta affrontando nella nuova era politica. Questo nuovo contesto politico enfatizza la sovranità nazionale, ha un approccio rivolto verso l’interno e favorisce le forze centrifughe, ponendo ostacoli all’integrazione europea. La doppia recessione italiana – la crisi finanziaria globale del 2008, seguita dalla crisi del debito sovrano in Europa nel 2012-2013 – è stata particolarmente dura, in quanto il Paese non era sufficientemente attrezzato per affrontarla. Il ciclo politico, tipicamente di breve durata – 65 amministrazioni dalla Seconda guerra mondiale a oggi – ha favorito gli sprechi della spesa pubblica e le soluzioni rapide, piuttosto che riforme strutturali lungimiranti. In questo contesto, il debito pubblico è cresciuto rapidamente, riducendo così lo spazio di bilancio disponibile in tempi di crisi.

Oggi l’Italia sta ancora risentendo degli effetti della doppia recessione: il Pil reale è inferiore al 5% rispetto ai livelli che si erano registrati prima della crisi del 2008. Il tasso di disoccupazione si è ridotto, ma l’11% è ancora un livello elevato. Inoltre, la disoccupazione giovanile è molto alta attestandosi a circa il 30%.

Nell’outlook di breve termine ci sono alcuni elementi positivi, ma si profilano rischi sostanziali di un peggioramento della situazione in un contesto di elevata incertezza politica, sia internamente che all’esterno. Negli ultimi due anni, la ripresa ha subito una leggera accelerazione: nel 2017 la crescita annua del Pil si è attestata all’1,5%, che per i recenti standard italiani è un dato discreto. Tuttavia, questo è ancora al di sotto dei tassi di crescita che attualmente prevalgono nel resto dell’eurozona.

La sostenibilità della ripresa in Italia sembra limitata se il sostegno della domanda esterna dovesse vacillare. I fondamentali della domanda interna sono eterogenei. Il reddito disponibile reale è leggermente migliorato, riflettendo i miglioramenti sul mercato del lavoro e una contenuta inflazione derivante dai consumi. Tuttavia, il mercato del lavoro è ancora debole. L’occupazione è migliorata negli ultimi anni, ma la qualità dei posti di lavoro si è deteriorata.

Mentre la politica monetaria accomodante della Banca Centrale Europea ha contributo alla ripresa italiana negli ultimi anni, a ostacolare l’espansione del credito in Italia è stata la situazione del sistema bancario, ancora gravato da un elevato ammontare di non-performing loan. La situazione è, tuttavia, migliorata negli ultimi due anni: gli NPL netti sono scesi al 3% del Pil rispetto al picco di oltre il 5% registrato nel 2015-16.

I principali rischi della situazione italiana derivano dalla politica e dalle politiche interne. La nuova coalizione di governo populista è intrinsecamente fragile. I suoi principali componenti appartengono a due partiti che hanno approcci differenti, obiettivi differenti nonché una diversa base elettorale. Questo potrebbe portare ad azioni di governo inconsistenti e inefficaci e, più rilevante, a tensioni interne alla coalizione che potrebbero compromettere la tenuta del governo. Detto ciò, il rischio di nuove elezioni nel corso del prossimo anno che porterebbero a una rinnovata instabilità politica è significativo.

È importante sottolineare che le voci iniziali su una possibile uscita dell’Italia dall’euro sono state dissipate e alti funzionari governativi hanno sottolineato l’impegno del Paese nei confronti della moneta unica. Il debito pubblico ammonta a circa 2,3 trilioni di euro e il 70% di questo è detenuto all’interno del Paese. In generale, l’Italia ha una solida posizione internazionale con passività che nel quarto trimestre 2017 erano pari solo a circa il 7% del Pil. Pertanto, non ha molto senso per il Paese uscire dall’euro e riscattare il proprio debito estero.

Mentre è improbabile che tutte le misure fiscali promesse dalla coalizione si concretizzino nel prossimo bilancio, un’inclusione anche parziale porterebbe a uno scostamento di bilancio. I mercati finanziari hanno già chiesto una maggiore compensazione per la detenzione del debito italiano sin dalla formazione del governo un mese fa, in quanto ora lo percepiscono come più rischioso. L’Italia, infatti, ha un debito pubblico elevato di oltre il 130% del Pil e la strada verso la sostenibilità è molto stretta.

La situazione italiana è sintomatica di un malessere radicato: richiede serie considerazioni e una risposta credibile e condivisa sia dai politici nazionali che da quelli europei.

Sul piano interno, sarebbe utile una combinazione di stimoli fiscali limitati e mirati e di riforme strutturali. I risultati sono piuttosto modesti: il nuovo governo potrebbe rendere più efficiente il sistema giudiziario, semplificare il sistema fiscale e favorire la creazione di imprese e la competitività in diversi settori, in particolare quello dei servizi. Lo spazio fiscale dovrebbe essere utilizzato per ridurre le imposte sul lavoro e per stimolare gli investimenti nell’innovazione, nell’istruzione e nelle infrastrutture.

Tuttavia, non è chiaro se l’attuale governo italiano disponga del capitale politico e della visione necessari per perseguire riforme strutturali e stimoli fiscali mirati attuando riforme che probabilmente non daranno i loro frutti nel breve periodo.

In generale, nonostante i progressi compiuti dal 2009, il divario tra i paesi centrali e periferici dell’area dell’euro persiste e una convergenza significativa è ancora lontana. Ciò implica che la prossima crisi avrà probabilmente un impatto diverso nei vari paesi membri, agendo quindi come uno shock asimmetrico. Attualmente non esiste alcun meccanismo che possa rispondere efficacemente agli shock che colpiscono in modo disomogeneo i vari paesi.

Questo richiede una risposta condivisa: il processo di integrazione europeo necessita di un avanzamento. I leader dovranno lavorare per colmare alcune lacune del progetto europeo, fornendo alla moneta unica un sostegno politico e fiscale più forte.

Storicamente, il processo di integrazione europea è andato avanti in tempi di crisi. Pertanto, questa volta la concretizzazione della minaccia populista può fungere da catalizzatore. La presenza di forze anti-establishment nel governo italiano dovrebbe ricordare che il malessere generale e la disillusione dovrebbero essere presi sul serio.

Silvia Dall’Angelo (senior economist di Hermes IM)

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