La Financière de l’Echiquier. Da Powell a Draghi

Il Presidente della Fed, Jeremy Powell

Il Presidente della Fed, Jeremy Powell

Non vi sono dubbi: sono stati gli interventi delle banche centrali ad alimentare la settimana scorsa i movimenti sui mercati. La  Fed ha aperto le danze mercoledì con l’annuncio di un nuovo rialzo dei tassi compresi ormai nel range 1,75% – 2,00%. Dato per scontato, il tema non è stato posto tra i punti principali all’ordine del giorno del FOMC. Ad attirare invece l’attenzione sono stati il discorso di Jerome Powell e le previsioni dei membri del FOMC, più interessanti e decisivi per i movimenti di mercato. A marzo, infatti, si ipotizzavano i Fed Fund al 2,1% a fine 2018 – a seguito di 3 rialzi complessivi dei tassi nel corso dell’anno. Sono dati ora al 2,4% con, in previsione, un rialzo aggiuntivo dei tassi di riferimento. I membri del FOMC mantengono altresì l’ipotesi di tre aumenti complessivi nel 2019. Powell ha inoltre affermato che la Fed non lascerà che l’inflazione superi in modo significativo l’obiettivo del 2% e che la stessa dovrà dimostrarsi pragmatica adeguando i tassi in base al comportamento dell’economia.

Il giorno dopo è stata la volta della  Banca Centrale Europea con una comunicazione molto attesa in cui è stata confermata la volontà di porre fine agli acquisti netti di asset a dicembre 2018, riducendoli a 15 miliardi di euro mensili negli ultimi tre mesi dell’anno. Questo scenario era stato condiviso da tempo, anche se qualche dubbio era sorto a seguito del recente episodio italiano e della pubblicazione di dati macroeconomici contrastati nell’Eurozona. Alcuni avevano persino paventato un rinvio a luglio della comunicazione della Bce sul futuro del QE. Il Consiglio direttivo ha inoltre rivisto al ribasso le sue aspettative di crescita nell’eurozona per il 2018 portandole dal 2,4% al 2,1%. La principale sorpresa, però, è consistita nell’annuncio del mantenimento dei tassi di interesse ai livelli attuali “almeno fino alla fine dell’estate 2019″. Stando al consensus si prevedeva un primo innalzamento del tasso di deposito a giugno, posticipato ora di almeno tre mesi. E’ sicuramente quest’ultimo punto a spiegare l’improvvisa reazione sui tassi con il passaggio del 10 anni tedesco dallo 0,5% allo 0,4% e con il cambio EUR/USD passato in poche ore da 1,182 a 1,156. Gli investitori si sono focalizzati su un fatto: la politica monetaria accomodante durerà un po’ più a lungo del previsto. Venerdì, infine, la  Banca del Giappone ha lasciato invariati i tassi di interesse rivedendo al ribasso le aspettative di inflazione che passano dall’”1% circa” in aprile a un range “compreso tra lo 0,5% e l’1%”. Tuttavia, la Banca Centrale ha ulteriormente ridotto i suoi acquisti mensili di titoli di Stato giapponesi. L’era dell’abbondante liquidità creata dall’azione delle banche centrali non si è ancora conclusa ed è il messaggio ricordato dai mercati la scorsa settimana, una settimana che è stata ricca di annunci di politica monetaria. Tuttavia, a poco a poco, i contorni della stretta si stanno profilando con maggior chiarezza … dovremo imparare a conviverci.

Olivier De Berranger, Chief Investment Officer di La Financière de l’Echiquier

 

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