La Financière de l’Echiquier. Nessuna accelerazione (per ora) sul fronte dei salari

La Federal Reserve è la Banca centrale degli Stati Uniti d'America

La Federal Reserve è la Banca centrale degli Stati Uniti d’America

Mercoledì scorso la Federal Reserve, cioè la banca centrale degli Stati Uniti d’America, ha lasciato i tassi invariati, come era stato anticipato. I membri del FOMC (il braccio monetario della Fed) si sono, soprattutto, adoperati per confermare l’avvicinamento effettivo dell’inflazione all’obiettivo «simmetrico» del 2% lasciando ipotizzare un nuovo rialzo dei tassi a giugno. Non erano qesti, però, gli argomenti al centro delle discussioni che si sono focalizzate invece sull’abbinamento della parola «simmetrico» all’obiettivo di inflazione. In attesa della pubblicazione del verbale di questa riunione o di dichiarazioni ufficiali da parte dei membri della Fed, possiamo considerare che, dopo aver avviato la normalizzazione monetaria con un’inflazione che rimane ancora leggermente inferiore al 2%, la Banca centrale statunitense voglia indicare che non intende accelerare il ritmo della stretta se l’inflazione continuerà ad attestarsi leggermente al di sopra del 2% per alcuni mesi.

I membri del FOMC hanno del resto sottolineato che, a prescindere dall’avvicinamento dell’inflazione al target del 2%, le tensioni salariali rimangono contenute. Va detto che alcune indagini possono nondimeno aggiungere qualche sfumatura a questa affermazione. L’ultima ricerca dell’Institute for Supply Management cita, ad esempio, il costo del lavoro alla stregua di uno degli elementi che contribuiscono all’aumento dei prezzi pagati. Le piccole aziende, interrogate dalla Federazione Americana dei Lavoratori Autonomi, la NFBI, registrano anch’esse alcune tensioni salariali più nette. Queste due interpretazioni piuttosto ambivalenti rafforzano l’interesse per i dati sull’occupazione pubblicati venerdì dal BLS, l’Istituto di Statistiche americano per l’occupazione. I nuovi posti di lavoro, invece, sono 164mila contro i 193mila attesi e una revisione tuttavia al rialzo di +32mila rispetto alle statistiche del mese precedente. Sono rigorosamente allineati rispetto alle previsioni. Il dato più analizzato è quello dell’aumento dei salari: con un +0,1% rispetto a un +0,2% atteso (+2,6% a un anno contro +2,7%), sono cresciuti meno di quanto anticipato. E, soprattutto, non si rilevano per ora segnali di una forte accelerazione. Del resto, il dato del mese precedente è stato rivisto al ribasso a +0,2%.

Varie sono le spiegazioni ipotizzabili, tra cui, un aumento dei redditi delle famiglie legato alla riforma fiscale e concentrato all’inizio dell’anno, che limita la volontà di incrementare i salari. Tra le altre ragioni osserviamo un aumento degli organici nelle aziende, come dimostrano varie indagini delle Fed regionali e la flessione dei tassi di sottoccupazione e di disoccupazione. Al 3,9% contro il 4,1% il mese precedente, si è toccato un minimo storico dalla fine del 2000. Se l’assenza di brutte sorprese è sempre una buona cosa per i mercati, pensiamo tuttavia che un aumento più consistente dei salari si materializzerà nelle statistiche ufficiali, e, tra l’altro, in quelle del BLS, il cui report mensile sull’occupazione americana è sempre seguito con grande attenzione dagli investitori. Non vi sono dubbi che lo sarà ancor di più nei prossimi mesi.

Olivier De Berranger, Chief Investment Officer di La Financière de l’Echiquier

 

 

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