Capital Group. L’importanza della flessibilità globale nei portafogli azionari. Articolo di Richard Carlyle

Richard Carlyle, Investment Director di Capital Group

Richard Carlyle, Investment Director di Capital Group

La globalizzazione e l’aumento del commercio stanno avendo un impatto significativo sulle opportunità d’investimento. Molte società con sede in Europa, in Giappone e negli Stati Uniti non generano più necessariamente la maggior parte dei ricavi nel proprio Paese d’origine, come avveniva in passato. Questo cambiamento nel panorama delle opportunità di investimento porta a rivalutare le modalità di costruzione dei portafogli d’investimento, ossia se debbano basarsi su precise linee regionali o sulla sede della società. Tradizionalmente gli investimenti internazionali sono sempre stati visti come una fonte di diversificazione e mitigazione del rischio per gli investitori statunitensi. Tuttavia, negli ultimi 20 anni le correlazioni tra azioni statunitensi e non statunitensi sono diventate meno differenziate. Ad esempio, tra il 1970 e il 1996, la correlazione mensile tra l’indice S&P 500 delle azioni statunitensi e l’indice MSCI EAFE delle azioni non statunitensi non è andata oltre 0,48. I mercati azionari globali sono, però, diventati sempre più interconnessi e le correlazioni fra i due sono aumentate costantemente a partire dalla metà degli anni Novanta. Infatti, le correlazioni mensili dei rendimenti sono quasi raddoppiate a 0,84 negli ultimi 20 anni.

Questo cambiamento della dinamica delle correlazioni azionarie globali ha implicazioni importanti per gli investitori. Storicamente, gli investitori potevano ridurre il rischio dei portafogli semplicemente adottando una strategia di diversificazione tra i vari mercati globali. Ad esempio, per un portafoglio composto per il 60% da azioni statunitensi e per il restante 40% da azioni non statunitensi si è registrata una volatilità inferiore (nell’ordine dell’1,5%) rispetto a un portafoglio composto esclusivamente da azioni USA, senza contare le minori perdite nei mesi negativi.

Con l’aumento delle correlazioni, la riduzione automatica del rischio derivante dall’inclusione in portafoglio delle azioni internazionali ha subito una drastica diminuzione. Negli ultimi 20 anni, i portafogli esposti ai mercati azionari internazionali hanno mostrato livelli di volatilità simili e spesso più elevati. Forse è tempo di ripensare al significato degli investimenti globali nei rispettivi portafogli. Nel momento in cui i benefici della riduzione del rischio e della diversificazione si fanno meno pronunciati, investire nelle azioni globali può essere visto come un mezzo per aprirsi a una gamma più estesa di opportunità, prestando più attenzione sulle singole società.

Negli ultimi 10 anni, le azioni statunitensi hanno registrato un forte impulso a negoziare sui massimi storici, con l’indice S&P 500 che ha superato l’indice MSCI EAFE – che segue l’andamento dei titoli large cap e mid cap di 21 mercati sviluppati, esclusi USA e Canada – di oltre 500 punti base in media all’anno, ossia del 5,3%. Tuttavia, questo risultato non ci dice tutto. Se si considerano le cinque migliori società dei 10 settori in cui è diviso l’MSCI World dell’ultimo decennio, il risultato è opposto a quello che il dato sui mercati in generale potrebbe suggerire: in media, quasi il 60% delle società più remunerative aveva sede fuori dagli Stati Uniti.

Prendiamo in considerazione il 2010: in quell’anno, i mercati azionari statunitensi hanno archiviato un rendimento quasi doppio rispetto al rendimento dei mercati non statunitensi e, tuttavia, oltre due terzi dei titoli più remunerativi sono stati fra quelli delle società non statunitensi. Le azioni internazionali possono quindi favorire un ampliamento delle opportunità di investimento a disposizione di quegli investitori in grado di selezionare i titoli migliori, rappresentando al contempo una scommessa rispetto alle decisioni di investimento basate esclusivamente su precise linee geografiche.

Richard Carlyle, Investment Director di Capital Group

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