Marzotto SIM. Le Banche centrali sempre meno convinti su cosa fare

La Federal Reserve

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Ieri si è concluso il meeting della Federal Reserve durante il quale i tassi sono rimasti invariati all’1.25%, notizia in realtà fortemente scontata dal mercato. Quello che gli operatori di mercato attendevano invece con interesse erano le comunicazioni circa l’andamento dell’economia, ed in particolare dell’inflazione, il futuro trend di rialzi e ulteriori dettagli circa la riduzione dell’ingente bilancio della banca centrale americana pari oggi a 4.500 miliardi di dollari. Di seguito i punti salienti  dello speech del presidente Janet Yellen. Sul fronte economico i consumi sono stati supportati dal forte mercato del lavoro, anche gli investimenti hanno visto una ripresa così come l’export è stato favorito dalla buona crescita economica (e dal dollaro debole n.d.r.) la quale potrà subire una flessione transitoria nei prossimi quarters causa dei danni provocati dai recenti uragani. Il mercato del lavoro ha visto crescere gli occupati al ritmo di 185 mila posti di lavoro al mese negli ultimi 3 mesi con un tasso di disoccupazione al 4,4% (al di sotto delle stime del FOMC). L’inflazione nella lettura di luglio all’1,4% è stata più debole del previsto e sempre al disotto del 2%. Il presidente Yellen continua a ritenere tale debolezza come transitoria. In termini di previsioni la Fed prevede un GDP reale del 2.4% il 2017, 1.9% per il 2018 e 2% per il 2019. Rispetto alle scorse previsioni, per il 2017 le stime del GDP sono leggermente più alte mentre quelle sull’inflazione leggermente più basse

Sulla politica monetariai tassi sono rimasti invariati all’1.25% ma il commento lascia preludere ad ulteriori rialzi: la forza dell’economia implicherà graduali aumenti dei tassi per sostenere il forte mercato del lavoro e stabilizzare l’inflazione al 2% nel lungo periodo. In riferimento alla riduzione di bilancio. Il deleveraging avverrà in maniera graduale: da ottobre a dicembre la riduzione sarà limitata ad un massimo di 6 miliardi al mese per i governativi e 4 miliardi al mese per le agenzie.

Le conseguenze sul mercato di queste dichiarazioni hanno riguardato in primis il rafforzamento del dollaro che da 1.20 contro Euro si è rafforzato fino a 1.185 per poi stabilizzarsi a 1.19 ed il Treasury a 10 anni che ha visto il rendimento salire a 2.28%. lo yen, valuta safe haven si è indebolita con rafforzamento della borsa nipponica. Le banche centrali sono sempre meno convinte rispetto al passato su cosa fare. La ragione di questa indecisione risiede nell’inflazione che non riesce a raggiungere i livelli desiderati. In merito a ciò riteniamo che cambiamenti strutturali nell’economia globale come il massiccio uso di tecnologia e robotica unita ad una deflazione salariale posa aver stabilizzato l’inflazione a livelli più bassi rispetto al desiderata del 2% che riflette un mondo che non esiste più. In tale contesto la Fed è maggiormente avvantaggiata nel perseguire una politica di rialzi dei tassi rispetto alla Bce in quanto la prima ha anche il mandato di contenere il mercato del lavoro che invece sta andando molto bene (grafico).  In riferimento alle diverse asset classes, continuiamo a ritenere che il dollaro sia sottovalutato rispetto all’euro e che questo gap possa chiudersi nei prossimi quarters.

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