Fca. La storia si ripete, cinesi di nuovo alla porta della Fiat. Articolo di Michele Geraci

Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping e il Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni a Pechino in occasione di un recente visita

Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping e il Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni a Pechino in occasione di un recente visita

Negli anni ’80, l’allora ad Cesare Romiti disse che la popolazione cinese non avrebbe mai potuto permettersi di acquistare le auto Fiat e che comunque la Cina non era dotata di un’adeguata rete stradale. Oggi, l’attuale Fiat nel mercato cinese è praticamente inesistente. Spopolano invece le case tedesche, le coreane e le americane, con una forte penetrazione nella classe medio-alta che desidera modelli con comfort e standard di sicurezza elevati. L’occidentalizzazione non avviene solo per i consumatori, ma anche a livello aziendale, come nel caso della ormai nota acquisizione della Volvo da parte della Jili, proprio grazie alle avanzate caratteristiche di sicurezza della azienda svedese. Oggi la questione è molto più complicata e la Cina, con il suo sistema paese che si muove in perfetta sintonia tra aziende private, aziende di Stato e Governo, tenta di arricchire il proprio know-how tecnologico e gestionale laddove è ancora rimasta indietro. E lo fa di fretta, perché il piano ‘China Manufacturing 2025′ impone traguardi ben precisi, non raggiungibili in maniera organica, ma principalmente potenziando le operazioni di M&A cross-border. E così FCA diventa nuovamente appetibile, non importa che sia la Great Wall o chi altri, in fin dei conti sono tutti pedoni che servono uno stesso Re. Cosa deve fare l’Italia? seguire il modello Francia/Macron, che forse anche stiamo già adottando per Vivendi/TIM, e cercare di dettare le condizioni degli investimenti stranieri, anche cinesi, nelle nostre aziende più strategiche. Comunque, un investimento che porti un semplice scambio di azionisti non genera nessun beneficio al Paese e all’azienda, perché non si inietta nuovo capitale. Un investimento in FCA che comporti invece un aumento di capitale sottoscritto dai nuovi azionisti e che quindi introduca denaro in cassa con un conseguente piano di sviluppo più solido, può starci, ma la quota di partecipazione del nuovo azionista cinese deve essere limitata al 30%, con possibilità di incrementarla in presenza di un aumento delle vendite di veicoli nel mercato cinese. In questo modo il piano FCA di raggiungere 7milioni di unità vendute nel 2018 beneficerebbe anche di un incremento delle vendite in Cina (che ha un mercato di 28 milioni di veicoli all’anno) ed il valore generato dal nuovo azionista diventerebbe più evidente con ricadute positive anche sulla componente occupazionale italiana. Così facendo si riuscirebbe a mantenere un certo livello di protezione della nostra industria, senza dubbi di protezionismo.

Michele Geraci (Head of China Economic Policy Program and Ass’t Prof of Finance – Nottingham University Business School, China Head of China Program – Global Policy Institute Senior Research Fellow and Adjunct Professor of Finance – Zhejiang University)

 

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