I soldi ci sono, manca il coraggio. Il mercato del credito. Intervista con Antonio Patuelli, Presidente dell’Abi

Antonio Patuelli, presidente dell'Abi.

Antonio Patuelli, presidente dell’Abi.

Che tempo fa nel mercato del credito? “Nel comparto immobiliare continua la grande fase di ripresa dei mutui. Le famiglie sono tornate ad investire nel mattone  cogliendo il momento favorevole rappresentato dai prezzi degli immobili che negli ultimi anni sono progressivamente diminuiti e dai costi infimi dei mutui sia a tasso variabile, sia a tasso fisso. Quanto ai finanziamenti alle imprese, la situazione è all’opposto: sono i direttori delle filiali che fanno, in concorrenza fra di loro, il “giro” dei responsabili delle imprese per sapere se hanno progetti di investimento, o business plan con piani di sviluppo da finanziare. Sono le banche a sollecitare gli investimenti”.

Insomma non è l’offerta a mancare, ma la domanda a scarseggiare?

“Sì. Siamo purtroppo in quella fase come diceva Guido Carli, grande governatore della Banca d’Italia, che l’acqua c’è, ma il cavallo non beve. Se il cavallo non beve, non lo possiamo costringere a farlo. Bisogna favorire le condizioni per convincerlo che è il momento giusto per bere”.

Il Governo ha messo in campo diversi strumenti dal Gacs ad Atlante 1 e 2, oltre alle nuove leggi per la riduzione dei tempi delle procedure di recupero crediti per agevolare lo smaltimento degli NPL, ma anche per interventi di ricapitalizzazione come quello in progetto per MPS. Vanno nella direzione da voi auspicata?

“Si. Il punto è che fino al 4 novembre 2014, gli Stati potevano fare “regali alle banche”, ovvero concedere aiuti di Stato alle banche. A differenza di altri Stati dell’Ue, l’Italia non l’ha fatto quando era possibile e tanto meno dopo. Per questo l’Italia appare con più sofferenze perché non ha ricevuto gli aiuti pubblici. Premesso questo, alcuni provvedimenti, a cominciare dalla nascita dei fondi Atlante, sono frutto di versamenti e di impegni economici dei soggetti in grande parte privati, tra cui banche e assicurazioni. Per quanto riguarda l’aspetto normativo, sia per il Gacs, sia per le modifiche della Legge fallimentare e le tempistiche accelerate del recupero credito, Governo e Parlamento hanno assunto decisioni che vanno nella direzione giusta. Il fatto è che prevalentemente hanno efficacia per i nuovi contratti, non per quelli già in essere. Quindi auspico che ci possa essere da parte di Governo e Parlamento qualche altro passo, per velocizzare i tempi per il recupero dei crediti”.

Visto che non sono solo le banche italiane a vivere giorni difficili, ma anche numerosi intermediari finanziari di altri Paesi come Germania, Francia e Spagna non stanno bene, è possibile pensare ad un’azione coordinata e congiunta degli Stati e dell’Ue per risanare il settore bancario europeo?

“Apprezzo molto il respiro della sua domanda. Noi siamo alla vigilia del compimento del biennio di Unione Bancaria europea. Dobbiamo considerare questo biennio come un biennio di sperimentazione. Penso che occorra fare un bilancio ed una verifica perché la Vigilanza è unica, ma le normative in materia di diritto bancario, di diritto dei mercati finanziari, di diritto tributario, di diritto fallimentare e di diritto penale dell’economia  sono tutte diverse tra uno Stato e l’altro dell’Ue. Così non si va avanti. Ci sono distorsioni evidenti nell’applicazione di normative differenti. Se non si procede presto a realizzare una legislazione comune nelle materie citate si minano le prospettive di rafforzamento e consolidamento dell’Unione Bancaria”.

Le banche americane stanno valutando se sfidare la Fed nel tentativo di ottenere delle modifiche agli stress test condotti annualmente dalla banca centrale americana sugli istituti di credito che sono un freno in un contesto caratterizzato da tassi di interesse così bassi da pesare sulla redditività. Quello che fa la Fed non è poi diverso dall’operato della Bce. Pensate anche voi ad un’azione analoga a quella delle banche americane?

“Ho qualche elemento per ritenere che in Europa una riflessione sul punto sia in corso negli organismi europei. Invito a fare tesoro delle esperienze degli stress test effettuati in questo biennio per vedere se e dove può rendersi necessario intervenire”.

Perché e in che modo la Direttiva BRRD sul salvataggio e la risoluzione delle banche in crisi dovrebbe essere modificata?

“Rientra nella verifica complessiva sul primo biennio di attuazione dell’Unione bancaria”.

La Commissione si è compiaciuta della recente sentenza della Corte europea di giustizia sul caso sloveno di conversione delle obbligazioni bancarie subordinate sostenendo che le regole del ‘burden-sharing’ e del ‘bail-in’ sono giuste ed eque.

“Il fatto che le Corti Costituzionali di Karlshure, prima, e della Slovenia, dopo, si pronuncino sulle materie dell’Ue testimonia che siamo ancora in una fase di rodaggio, perché sono gli Stati con i loro ordinamenti costituzionali che vanno a valutare la coerenza o meno di singole normative. Allora non è che se il regolamento è sopravvissuto al giudizio di due Corti costituzionali nazionali si trasforma d’incanto in dogma della fede del Vecchio e del Nuovo Testamento. Bisogna guardare laicamente questi testi e vedere e valutare i risultati che da essi sono scaturiti e conservare ciò che è bene ed emendare ciò che è cattivo”.

In occasione della messa in risoluzione delle banche dell’Italia centrale i risparmiatori e gli investitori hanno accusato le banche e lo Stato di “tradimento”.

“Dalle banche no perché le banche ci hanno messo 2,3 miliardi di euro per salvare queste quattro banche. Le banche sono state le “vittime” anche se non le sole. Il punto è che nel 2016 le banche hanno fatto tutto quello che potevano in termini innovativi assieme ad altri per la nascita dei fondi Atlante e poi hanno costituito il ramo volontario del Fondo Interbancario di tutela dei depositi che ora si sta occupando della Cassa di risparmio di Cesena. Del resto è la Vigilanza unica che dispone dei flussi informativi per assolvere ai propri compiti e prevenire eventuali crisi”.

E’ il management delle vecchie banche ad aver tradito la fiducia di correntisti e risparmiatori, con comportamenti e azioni penalmente rilevanti e deontologicamente scorretti, tra l’altro ostacolando proprio l’attività delle Autorità di Vigilanza.

“Sono d’accordo. Sarà la Magistratura a valutare”.

Davanti a fatti del genere, basti citare il caso della Banca Popolare di Vicenza, non si potrebbe intervenire “destituendo” gli organismi di amministrazione per tempo?

“Ci sono meccanismi per sostituire i management bancari da parte della Vigilanza. Le norme sono in vigore da poco tempo”.

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