Le Pmi scoprono la finanza alternativa. Ace, Borsa, Bond e Venture capital, tutti i fondi non bancari

Piazza Affari a Milano sede della Borsa Italiana.

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La questione dei finanziamenti delle piccole e medie imprese (Pmi) in particolare di quelle che intendono intraprendere un percorso di crescita e di innovazione dopo la Grande Crisi è un classico del dibattito economico in Italia da molto tempo. Nel nostro Paese il sistema produttivo è più frammentato che in qualsiasi altra economia avanzata. In termini di valore aggiunto e occupazione le imprese con meno di 250 addetti rappresentano, rispettivamente, circa il 70 e l’80 % del totale, oltre 10 punti percentuali in più rispetto alla media dei paesi dell’Unione Europea. In particolare, sono soprattutto le microimprese, con meno di 10 addetti, a fare la differenza: sono circa 4,2 milioni e occupano 7,8 milioni di persone (il 47% del totale).

Questa peculiarità italiana ha radici lontane e si è accentuata a partire dagli anni Settanta, quando del resto la dimensione media delle imprese è diminuita anche negli altri paesi europei. Più che l’alto numero di piccole imprese, conta la capacità di crescere delle imprese più innovative. I fattori che inibiscono la capacità di crescere sono numerosi e interconnessi tra loro. La finanza è uno tra i più importanti. Per le Pmi il legame tra finanza e crescita non sembra essere di natura quantitativa, ma qualitativa. Non è l’ammontare assoluto di risorse disponibili, ma la composizione a segnare la differenza. La prima grande differenza tra la composizione del passivo delle imprese italiane e quella degli altri principali paesi europei riguarda il peso relativo di debito e capitale di rischio. A parità di settore produttivo, età dell’impresa e altre caratteristiche, le Pmi italiane hanno livelli di indebitamento notevolmente più elevati. La seconda differenza riguarda la scarsa diversificazione del debito che, anche tra le imprese di medie dimensioni, è largamente concentrato negli intermediari bancari. Questo legame è emerso con chiarezza durante la crisi. Le difficoltà delle imprese durante le fasi recessive si sono rapidamente trasmesse alle banche finanziatrici che hanno visto crescere sofferenze e prestiti deteriorati nei propri bilanci. Le banche, a loro volta, hanno irrigidito i criteri di offerta del credito, generando un circolo vizioso a volte difficile da spezzare.

Ci sono due modi principali per incidere sul modello di finanziamento delle Pmi: misure dirette a cambiare gli incentivi delle imprese e interventi sulla struttura del sistema finanziario. Alcune iniziative sono già state intraprese. La neutralità fiscale rispetto alle scelte di finanziamento è stato un obiettivo perseguito in modo intermittente dal legislatore negli ultimi venti anni. Dopo i tentativi di metà anni Novanta con il regime della Dual Income Tax, nel 2008 sono stati adottati limiti alla deducibilità degli interessi passivi nelle società di capitale, che non possono superare il 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. Dal 2011, inoltre, sono stati introdotti sgravi fiscali legati agli incrementi patrimoniali, secondo lo schema mutuato dall’esperienza anglosassone dell’allowance for corporate equity (Aiuto alla crescita economica – ACE).

L’altra grande direttrice del cambiamento del modello di finanziamento delle Pmi riguarda lo sviluppo della finanza non bancaria, ovvero nuovi mercati e nuovi finanziatori.

In alcuni paesi, lo sviluppo di un mercato dei collocamenti privati (private placement) ha consentito di ridurre notevolmente i costi di emissione. È quanto accade negli Stati Uniti dove i private placement hanno raggiunto volumi ragguardevoli (50 miliardi di dollari nel 2014); in Europa il mercato dei private placement si è avviato solo di recente, ma il suo sviluppo è frenato dalla frammentazione delle normative e delle prassi di mercato dei singoli paesi. In Italia sono stati recentemente avviati dalla Borsa Italiana i segmenti AIM (Alternative Investment Market) e ExtraMOT PRO, dedicati rispettivamente alle emissioni di azioni e obbligazioni (i cosiddetti minibond). Qualche segnale di interesse da parte di imprese e investitori c’è stato: dal 2012 al 2015 si sono quotate sull’AIM 74 società e gli emittenti di minibond sono stati 100. Il contenuto importo medio delle emissioni, attorno ai 30 milioni nel 2015, testimonia la partecipazione al mercato da parte delle Pmi.

Il rafforzamento dell’offerta di fondi non bancari è stato perseguito anche con l’introduzione di incentivi fiscali per i sottoscrittori di minibond, i venture capitalist e i business angel e, più di recente, con l’abbattimento di alcune barriere regolamentari che consente il coinvolgimento di nuovi attori nel finanziamento del sistema produttivo. È stata in particolare estesa alle società assicurative, ai credit fund e alle società di cartolarizzazione la facoltà di erogare prestiti direttamente alle imprese. Una spinta indiretta alla diversificazione delle fonti di finanziamento viene anche dall’innalzamento dei requisiti di capitale delle banche per effetto della revisione degli standard prudenziali internazionali dopo la crisi. La riduzione della leva bancaria può andare di pari passo con lo sviluppo di canali di finanziamento basati sull’accesso diretto al mercato o anche sul ruolo di istituzioni finanziarie diverse dalle banche, ovviamente da ricondurre pienamente, dove ciò non avviene, all’interno del sistema prudenziale.

Un mercato finanziario che tende a una crescente integrazione con quello degli altri paesi europei, le politiche nazionali devono necessariamente coordinarsi con progetti comunitari. Il principale tra questi è la creazione di un Mercato unico dei capitali. Le opportunità offerte da questo progetto possono riguardare anche imprese di dimensioni non grandi, purché siano disposte a sfruttarle, anche acquisendo assetti organizzativi più efficienti e trasparenti.

La Commissione europea ha adottato un piano d’azione che individua in dettaglio un certo numero di interventi da attuare entro il 2019. Le priorità riguardano temi quali le regole sulle informazioni che le imprese devono rendere pubbliche se vogliono accedere ai mercati, la semplificazione e l’armonizzazione delle informazioni contabili e creditizie per le PMI, lo sviluppo dei mercati, il venture capital e il private placement. In alternativa all’accesso diretto delle imprese al mercato dei capitali, la Commissione propone di favorire lo sviluppo di un mercato delle cartolarizzazioni dei prestiti alle imprese. Questo consentirebbe a investitori istituzionali di partecipare al finanziamento del settore privato lasciando alle banche la funzione di allocazione del credito.

                                                                             

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